Parlava con calma, e senza esitazioni discernibili. Il suo inglese era privo di accento: era l’inglese che ho sentito parlare dal computer, un linguaggio costruito per mezzo di casti fonemi isolati e perciò immune da ogni contaminazione regionale. La qualità robotica del timbro e dell’enunciazione dava chiaramente l’impressione che quell’uomo parlasse una lingua appresa in vacuo, da una sorta di macchina docente; ma naturalmente un finlandese, un basco o un uzbeco del ventesimo secolo, che avesse imparato l’inglese per mezzo di nastri, avrebbe parlato più o meno allo stesso modo. La voce di Vornan era flessibile e ben modulata, piacevole da ascoltare.
Un giornalista chiese: «Come mai parla inglese?»
«Mi è sembrato che fosse la lingua medievale più utile che potessi imparare.»
«Nei suoi tempi non lo parlano più?»
«Soltanto in una forma fortemente modificata.»
«Ci dica qualcosa del mondo del futuro.»
Vornan sorrise — di nuovo il suo fascino — e disse, pazientemente: «Cosa vorrebbe sapere?»
«La popolazione.»
«Non ne sono sicuro. Parecchi miliardi, a dir poco.»
«Avete raggiunto le stelle?»
«Oh, sì, naturalmente.»
«Quanto vive la gente nel 2999?»
«Finché muore,» disse amabilmente Vornan. «Cioè, fino a quando decide di morire.»
«E se qualcuno non decide di morire?»
«Immagino che continui a vivere. Per la verità, non ne sono ben sicuro.»
«Quali sono le nazioni più potenti del 2999?»
«Non abbiamo nazioni. Abbiamo la Centralità, e poi ci sono gli insediamenti decentrati. È tutto.»
«Cos’è la Centralità?»
«Un’associazione volontaria di cittadini in un’unica area. Una città, in un certo senso, tuttavia è qualcosa di più di una città.»
«Dov’è?»
Vornan-19 aggrottò delicatamente la fronte. «Su uno dei continenti principali. Ho dimenticato i nomi che voi date ai continenti.»
Jack alzò la testa e mi guardò. «Vuoi che spenga? È evidentemente un impostore. Non sa neppure simulare i dettagli in modo convincente.»
«No, lascia,» disse Shirley. Sembrava ipnotizzata. Jack ridivenne teso, ed io mi affrettai a dire: «Sì, guardiamolo ancora un po’. È divertente.»
«… una sola città, quindi?»
«Sì,» rispose Vornan. «Composta da coloro che apprezzano la vita comunitaria. Non abbiamo la necessità economica di affollarci tutti insieme, capisce. Ognuno di noi è del tutto autosufficiente. Ciò che mi affascina è il vostro bisogno di tenere le mani nelle tasche di qualcun altro. La questione del danaro, per esempio. Senza danaro, un uomo muore di fame, va in giro nudo. Ho ragione? Vi mancano i mezzi di produzione indipendente. Ho ragione nel ritenere che la conversione dell’energia non è ancora un fatto compiuto?»
Un’aspra voce americana disse: «Dipende da quello che intende lei per conversione dell’energia. L’umanità ha sempre avuto vari modi per procurarsi l’energia, fin da quando vennero accesi i primi fuochi.»
Un po’ turbato, Vornan disse: «Intendevo una conversione d’energia efficiente. L’utilizzazione completa dell’energia racchiusa in un… ah, in un singolo atomo. Non l’avete?»
Lasciai un’occhiata di sbieco a Jack. Si era aggrappato alla poltrona pneumatica come in preda ad un’angoscia improvvisa, ed il suo volto era alterato dalla tensione. Distolsi di nuovo gli occhi, come se avessi spiato qualcosa di tremendamente personale, e mi resi conto che lì, almeno in parte, stava la risposta ad una domanda che mi assillava da un decennio.
Vornan non stava più discutendo della conversione d’energia, quando fui in grado di dedicare di nuovo, interamente, la mia attenzione allo schermo.
«… un giro del mondo. Vorrei assaporare la gamma completa delle esperienze possibili in quest’epoca. E comincerò negli Stati Uniti d’America.»
«Perché?»
«È interessante vedere in atto il processo della decadenza. Quando si visita una cultura in disfascimento, è meglio esplorarne per prima la componente più potente. La mia impressione è che il caos che si abbatterà su di voi s’irradierà dagli Stati Uniti, e perciò è là che desidero cercarne i sintomi.» Lo disse con una sorta di blanda impersonalità, come fosse del tutto evidente che la nostra società stava crollando e non fosse offensivo fare commenti su di una cosa tanto ovvia. Poi fece balenare il suo sorriso il tempo sufficiente per stordire il pubblico, inducendolo ad ignorare la fondamentale oscurità delle sue parole.
La conferenza stampa si trascinò verso un finale poco drammatico. Le domande sparate a casaccio sul mondo di Vornan e sul metodo con cui si era trasferito nel nostro tempo trovarono risposte vagamente generiche, che sembravano senza dubbio destinate a farsi beffe degli intervistatori. Di tanto in tanto, Vornan lasciava capire che in un’altra occasione avrebbe potuto fornire ulteriori particolari su certe questioni; ma quasi sempre dichiarava semplicemente di non sapere. Era evasivo soprattutto di fronte ai tentativi di strappargli una chiara descrizione degli eventi mondiali nel nostro futuro immediato. Dedussi che non aveva una grande opinione delle nostre realizzazioni ed era un po’ sorpreso dalla scoperta che conoscevamo l’elettricità, l’energia atomica ed i voli spaziali, nella nostra fase primitiva. Non cercava di nascondere il suo disprezzo, ma la cosa più strana era che la sua presuntuosa baldanza non era esasperante. E quando il direttore di un facsimil-giornale canadese domandò: «E quanto pensa che siamo disposti a credere di ciò che ci ha raccontato?» rispose, con molto garbo: «Oh, può anche non credere niente. Sia pur sicuro che per me non fa alcuna differenza.»
Quando la trasmissione si concluse, Shirley si girò verso di me e disse: «Adesso hai visto il favoloso uomo venuto dal domani, Leo. Cosa ne pensi?»
«Mi diverte.»
«E ti convince?»
«Non dire sciocchezze. Questo non è altro che un abilissimo trucco pubblicitario, che funziona magnificamente per qualcuno. Ma, per riconoscere i meriti del diavolo, debbo ammettere che quello ha del fascino.»
«Lo ha davvero,» disse Shirley. Guardò suo marito. «Jack, tesoro, ti dispiacerebbe molto se riuscissi ad andare a letto con lui, quando verrà negli Stati Uniti? Sono sicura che hanno inventato qualche altra novità in fatto di sesso, nei prossimi duemila anni, e magari lui potrebbe insegnarmi qualcosa.»
«Molto spassoso,» disse Jack.
Era nero di rabbia. Shirley trasalì, quando se ne accorse. Mi stupiva che Jack reagisse in modo tanto esagerato a quella battuta scherzosa. Senza dubbio il loro matrimonio era così riuscito che lei poteva fingere un’intenzione di adulterio senza farlo indignare. E poi mi accorsi che Jack non reagiva affatto alla punzecchiatura di Shirley: era ancora chiuso nella sua angoscia. Quelle frasi sulla conversione totale dell’energia… su un mondo decentralizzato in cui ogni essere umano era un’unità autosufficiente dal punto di vista economico…
«Chiedo scusa,» disse, e lasciò il soggiorno.
Shirley ed io ci scambiammo occhiate preoccupate. Lei si morse le labbra, si assestò i capelli e disse sottovoce: «Mi dispiace, Leo. So che cosa lo tormenta, ma non riesco a spiegarlo.»
«Credo di indovinarlo.»
«Sì, probabilmente tu sei l’unico che potrebbe farlo.»
Aprì il circuito che rendeva opaca la finestra laterale. Vidi Jack sulla terrazza, aggrappato alla ringhiera. Era proteso in avanti e guardava il deserto buio. I fulmini si biforcavano sulle cime delle montagne, a occidente, e poi arrivò la furia improvvisa di un temporale invernale. Torrenti d’acqua si rovesciarono sui vetri. Jack restò là, più simile ad una statua che ad un uomo, lasciando che la pioggia scatenasse contro di lui la sua violenza. Sentivo sotto i piedi il ronzio degli impianti della casa, mentre le pompe d’immagazzinaggio risucchiavano l’acqua piovana, immettendola nelle cisterne perché venisse utilizzata in seguito. Shirley mi si avvicinò e mi posò una mano sul braccio. «Ho paura,» mormorò. «Leo, ho paura.»