IV
«Vieni nel deserto con me,» disse Jack. «Vorrei parlarti, vecchio mio.»
Erano passati due giorni dalla trasmissione della conferenza stampa di Vornan-19. Non avevamo più riacceso il teleschermo, e la tensione si era allentata. Io avevo intenzione di tornare a Irvine il giorno dopo. Il mio lavoro mi chiamava, e sentivo anche di dover lasciare Jack e Shirley alla loro intimità, perché risolvessero gli abissi che si stavano aprendo nelle loro vite. Jack aveva parlato pochissimo, in quei due giorni; sembrava facesse uno sforzo cosciente per nascondere il dolore provato quella sera. Il suo invito mi stupì e mi fece piacere.
«Viene anche Shirley?» chiesi.
«Non è necessario. Solo noi due.»
La lasciammo sdraiata al Sole di mezzogiorno, con gli occhi chiusi, il corpo agile offerto nella sua incantevole nudità alla carezza della luce. Jack ed io ci allontanammo per un paio di chilometri dalla casa, avviandoci per un sentiero che usavamo di rado. La sabbia era ancora segnata dalla pioggia violenta, e gli arbusti eruttavano la loro verzura.
Jack si fermò in un punto dove tre alti monoliti incrostati di mica formavano una sorta di Stonehenge naturale, e si accoccolò davanti ad uno dei macigni, per tirare un ciuffo d’erba che cresceva alla base. Quando fu riuscito a strappare la pianta, la gettò via e chiese: «Leo, ti sei mai domandato perché ho abbandonato l’Università?»
«Sai bene che me lo sono domandato.»
«Che cosa ti avevo raccontato?»
«Che eri arrivato ad un punto morto con il tuo lavoro,» dissi io. «Che eri annoiato, avevi perduto fiducia in te stesso e nella fisica, e volevi semplicemente andarti a rifugiare nel tuo nido d’amore con Shirley, a scrivere e a meditare.»
Jack annuì. «Era una menzogna.»
«Lo so.»
«Beh, in parte era una menzogna. Dovevo venire qui e vivere isolato dal mondo, Leo. Ma la faccenda del punto morto… non era affatto vero. Il mio problema era esattamente il contrario. Non ero a un punto morto. Dio sa quanto l’avrei desiderato. Ma vedevo chiaramente la mia strada, fino alla conclusione della mia tesi. Le soluzioni erano ormai in vista, Leo. Tutte le soluzioni.»
Un tic mi fece tremare la guancia sinistra. «E sei stato capace di fermarti, pur sapendo di avere tutto in pugno?»
«Sì.» Colpì la base del macigno, s’inginocchiò, raccolse una manciata di sabbia e la fece scorrere tra le dita. Non mi guardò. Dopo un po’ disse: «Era un atto di grandezza morale, mi domando, o solo un atto di viltà? Tu cosa ne pensi, Leo?»
«Devi dirmelo tu.»
«Sai dove stava portando il mio lavoro?»
«Questo penso di averlo capito prima di te,» dissi. «Ma non intendevo fartelo notare. Dovevo lasciare che fossi tu a decidere. Neppure una volta mi avevi fatto capire di avere visto le implicazioni più importanti, Jack. A quanto potevo immaginare io, pensavi di essere alle prese con le forze della coesione interatomica, ma non avevi ancora messo a punto una teoria per spiegare le tue intuizioni.»
«Infatti. Durante il primo anno e mezzo.»
«E poi?»
«E poi conobbi Shirley, ti ricordi? Lei non capiva molto, di fisica. Sociologia, storia: quelli erano i suoi campi. Le descrissi il mio lavoro. Lei non capiva, perciò glielo spiegai in termini più semplici, e poi ancora più semplici. Era un buon esercizio per me, tradurre in parole ciò che in realtà era stato soltanto un mucchio di equazioni. E alla fine dissi che stavo scoprendo ciò che tiene insieme gli atomi, internamente. E lei osservò: ’Quindi potremmo farli a pezzi senza far scoppiare niente?’ ’Sì,’ dissi io. ’Potremmo prendere qualunque atomo e liberarne abbastanza energia da mandare avanti una casa, suppongo.’ Shirley mi diede un’occhiata strana e disse: ’Sarebbe la fine di tutta la nostra struttura economica, non è vero?’»
«E prima non ti era mai venuto in mente?»
«Mai, Leo. Mai. Ero quel ragazzo magro uscito dal MIT, no? Non mi preoccupavo della tecnologia applicata. Shirley mi sconvolse. Cominciai a fare calcoli, e poi chiamai la biblioteca e feci cercare dal computer alcuni testi d’ingegneria, e Shirley mi tenne una piccola lezione di economia elementare. E allora capii; sì, maledizione, qualcuno poteva prendere le mie equazioni e trovare un modo di liberare un’energia illimitata. Era E — MC2, tutto daccapo. Fui preso dal panico. Non potevo assumermi la responsabilità di sovvertire il mondo. Il mio primo impulso fu di venire da te per chiederti cosa dovevo fare.»
«E perché non venisti da me?»
Jack scrollò le spalle. «Era la via d’uscita più facile. Scaricare il fardello su di te. Comunque, mi resi conto che probabilmente avevi già intuito il problema, e che mi avresti detto qualcosa in proposito, se non fossi stato convinto che l’aspetto morale dovevo risolverlo da solo. Così chiesi quell’anno di aspettativa, e passai il tempo pasticciando con l’acceleratore mentre ci pensavo sopra. Pensai ad Oppenheimer ed a Fermi ed agli altri che avevano costruito la bomba atomica, e mi chiesi che cosa avrei fatto al loro posto. Lavoravano in tempo di guerra, per aiutare l’umanità contro un nemico veramente feroce, eppure anche loro erano stati assillati da dubbi. Io non stavo facendo qualcosa che avrebbe salvato l’umanità da un pericolo chiaro e imminente. Svolgevo soltanto una ricerca gratuita che avrebbe sfasciato il sistema monetario mondiale. Vedevo me stesso come un nemico dell’umanità.»
«Con la vera conversione d’energia,» dissi io, sottovoce, «non vi sarebbero più la fame, la cupidigia, i monopoli…»
«E ci sarebbe anche un sovvertimento generale della durata di cinquant’anni, mentre prenderebbe forma il nuovo ordine di cose. E il nome di Jack Bryant sarebbe maledetto. Leo, non me la sono sentita. Non sono stato capace di assumermi la responsabilità. Alla fine del terzo anno, lasciai perdere tutto. Abbandonai il mio lavoro e venni a rifugiarmi qui. Ho commesso un delitto contro la scienza per non commetterne uno peggiore.»
«E te ne senti colpevole?»
«Naturalmente. Ho la sensazione che tutta la mia vita, in questi ultimi dieci anni, sia stata la penitenza della mia fuga. Ti sei mai chiesto che razza di libro sto scrivendo, Leo?»
«Molte volte.»
«È una sorta di saggio autobiografico: un’Apologia pro vita sua. Spiego il progetto su cui stavo lavorando all’Università, e come arrivai a comprenderne la vera natura, perché smisi di lavorare, e quale è stato il mio atteggiamento nei confronti di questo rifiuto. Il libro è una disanima delle responsabilità morali della scienza, si potrebbe dire. E come appendice, includo il testo completo della mia tesi.»
«Così com’era il giorno in cui smettesti di lavorare?»
No,» disse Jack. «Il testo completo. Ti ho detto che le soluzioni erano in vista, quando piantai tutto. Ho finito il mio lavoro cinque anni fa. C’è tutto nel manoscritto. Con un miliardo di dollari ed un laboratorio decentemente attrezzato, qualunque grande società appena un po’ sveglia potrebbe tradurre le mie equazioni in un sistema energetico perfettamente efficiente, grosso come una noce e capace di funzionare per sempre mediante l’immissione di un po’ di sabbia.»
In quel momento, mi sembrò che la Terra avesse sobbalzato leggermente sul proprio asse. Dopo una lunga pausa, dissi: «Perché hai aspettato tanto prima di affrontare l’argomento?»