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«Abbiamo controllato tutto con il massimo scrupolo,» disse Kralick. «Voglio dire, non volevamo mettere nella stessa commissione due persone che avevano avuto polemiche o cose del genere. Perciò abbiamo frugato nei banchi dei dati per ricostruire i rapporti tra di voi. Credimi, è stata una faticata. Abbiamo dovuto escludere due ottimi candidati perché erano stati coinvolti… beh, in incidenti piuttosto irregolari con uno degli altri membri della commissione, ed è stato un vero peccato.»

«Tenete uno schedario sulle fornicazioni dei dotti?»

«Cerchiamo di tenere schedari su tutto, Leo. Molte cose ci sorprenderebbero. Comunque, abbiamo messo insieme una commissione, alla fine, trovando sostituti per quelli che non volessero accettare, e per quelli che, a un controllo dei dati, fossero risultati incompatibili con gli altri, e a forza di combinare e di ricombinare…»

«Non sarebbe stato più semplice accantonare Vornan come un impostore e dimenticarsene?»

Kralick disse: «Ieri notte c’è stato un raduno degli Apocalittici a Santa Barbara. Lo hai saputo?»

«No.»

«Centomila persone radunate sulla spiaggia. E per arrivarci hanno causato danni calcolati intorno ai due milioni di dollari. Poi, dopo le solite orge, hanno cominciato a scendere in mare a branchi come lemuri.»

«Lemming.»

«Lemming». Le dita di Kralick esitarono per un istante sulla console del bar, poi si ritrassero. «Immagina, centomila Apocalittici arrivati da tutta la California che, cantando, marciano nudi nel Pacifico in un giorno di gennaio. Ci stanno ancora arrivando le cifre dei casi di annegamento. Più di cento, come minimo, e Dio sa quanti saranno i casi di polmonite; più dieci ragazze morte perché travolte dalla calca. Cose del genere le fanno in Asia, Leo. Non qui. Non qui. Capisci che cosa dobbiamo combattere? Vornan distruggerà questo movimento. Ci dirà com’è nel 2999, e la gente smetterà di credere che la Fine È Vicina. Gli Apocalittici andranno a rotoli. Un altro rum?»

«Credo che farei bene ad andare in albergo.»

«Giusto.» Kralick si alzò, e uscimmo dal bar. Mentre giravamo intorno al Lafayette Park, Kralick disse: «Ritengo doveroso avvertirti che i mass media sanno della tua presenza in città e cominceranno a bombardarti con richieste di interviste e chissà che altro. Ti difenderemo meglio che potremo, ma è probabile che arrivino fino a te. La risposta a tutte le domande è…»

«No comment.»

«Precisamente. Sei un genio, Leo.»

La neve aveva ricominciato a cadere, più energicamente di quanto potessero scioglierla le resistenze inserite nei marciapiedi. Sottili croste bianche si formavano qua e là al suolo, e sui cespugli erano già abbastanza spesse. Le pozzanghere d’acqua appena disciolta luccicavano. I fiocchi brillavano come stelle, mentre cadevano. Le stelle erano nascoste: era come se fossimo completamente soli nell’universo. Provai un gran senso di solitudine. In quel momento, in Arizona, splendeva il Sole.

Quando entrammo nel grandioso, vecchio albergo dove mi avevano alloggiato, mi rivolsi a Kralick: «Credo che accetterò quell’offerta di compagnia per il pranzo, pensandoci bene.»

VI

Mi resi conto del vero potere del governo degli Stati Uniti, per la prima volta, quando la ragazza entrò nel mio appartamento, verso le sette di quella sera. Era una bionda alta, con la chioma che sembrava d’oro filato. Gli occhi erano castani, non azzurri, le labbra carnose, il portamento superbo. Insomma, somigliava sorprendentemente a Shirley Bryant.

E questo significava che mi tenevano d’occhio da parecchio tempo, e osservavano e registravano il tipo di donne che sceglievo di solito: così me ne avevano fornita una che corrispondeva ai requisiti, e senza bisogno di preavviso. Questo voleva dire che pensavano che Shirley fosse la mia amante? Oppure avevano tracciato un profilo collettivo di tutte le mie donne ed avevano trovato una ragazza tipo Shirley perché io, inconsciamente, non facevo altro che scegliere surrogati di Shirley Bryant?

La ragazza si chiamava Martha. Le dissi: «Non sembri affatto una Martha. Le Martha sono piccole e brune e terribilmente intense, con il mento affilato. E hanno sempre odore di sigaretta.»

«Per la verità,» disse Martha, «io mi chiamo Sidney. Ma il governo ha pensato che una ragazza chiamata Sidney non va bene.»

Sidney, o Martha, era meravigliosa. Era troppo bella per essere vera, ed io sospettai che fosse stata creata come un golem in un laboratorio statale, per supplire alle mie esigenze. Le chiesi se era vero e lei rispose di sì. «Più tardi,» disse, «ti mostrerò dove si innesta la presa di corrente.»

«Ogni quanto hai bisogno di ricaricarti?

«Due o tre volte per notte, di solito. Dipende.»

Non aveva ancora raggiunto la ventina, e mi ricordava parecchio le ragazze che circolavano nei dintorni dell’Università. Forse era un robot, forse era una squillo; ma si comportava come se non fosse né l’una né l’altra cosa… era soprattutto un essere umano vivace, intelligente, maturo, che per caso era disposto a prestarsi a compiti del genere. Non osai chiederle se lo faceva regolarmente.

Poiché nevicava, cenammo nel ristorante dell’albergo. Era un locale all’antica, con i candelieri ed i pesanti drappeggi, capi-camerieri in frack e un menù litografato lungo un metro. Fui lieto di vederlo; la novità dei menucubi ormai era superata, ed era simpatico scegliere le portate su di un foglio stampato, mentre un essere umano in carne ed ossa scriveva le ordinazioni con blocco e matita, come nei tempi andati.

Pagava il governo. Mangiammo bene. Caviale fresco, cocktail d’ostriche, zuppa di tartaruga, Chateaubriand per due, poco cotta. Le ostriche erano le piccole, delicate Olympia di Puget Sound. Hanno moltissimi pregi, ma io rimpiango le ostriche vere della mia giovinezza. Le ultime le mangiai nel 1976, alla Fiera del Bicentenario quando costavano già cinque dollari la dozzina, per colpa dell’inquinamento. Posso perdonare all’umanità di avere sterminato il dodo, ma non di aver causato l’estinzione delle ostriche dell’Atlantico.

Molto soddisfatti, salimmo nel mio appartamento. La perfezione della serata venne guastata soltanto da una scena antipatica nell’atrio, quando venni assediato da alcuni giornalisti in caccia di notizie.

«Professor Garfield…»

«… è vero che…»

«… qualche parola sulla sua teoria del…»

«… Vornan-19…»

«No comment.» «No comment.» «No comment.» «No comment.»

Martha ed io ci rifugiammo nell’ascensore. Misi un sigillo di privacy alla mia porta (per quanto l’albergo sia antiquato, è dotato di comodità moderne) e fummo al sicuro. Lei mi guardò con aria civettuola, ma quell’atteggiamento non durò a lungo. Era alta e liscia, una sinfonia rosa e oro, e non era affatto un robot, sebbene io scoprissi come si faceva a ricaricarla. Tra le sue braccia riuscii a dimenticare gli uomini venuti dal 2999, gli Apocalittici che si annegavano, e la polvere che si accumulava sulla mia scrivania, in laboratorio. Se c’è un paradiso per gli assistenti presidenziali, spero che Sandy Kralick vi ascenda, quando verrà il suo momento.

La mattina dopo prendemmo colazione in camera, facemmo la doccia insieme come due sposini novelli e andammo a guardare, dalla finestra, le ultime tracce della nevicata notturna. Martha si vestì: la sua guaina a rete di plastica nera sembrava fuori posto nella luce pallida del mattino, ma lei era sempre deliziosa. Sapeva che non l’avrei rivista mai più.

Quando se ne andò, mi disse: «Un giorno o l’altro, dovrai parlarmi dell’inversione temporale, Leo.»