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Era ancora più piccolo di quanto avessi immaginato, al massimo cinque centimetri più alto di Aster Mikkelsen. In una stanza di uomini piuttosto alti, sembrava sopraffatto, con il torreggiante Kralick da una parte ed il montagnoso Kolff dall’altra. Eppure era perfettamente padrone della situazione. Girò lo sguardo su tutti noi, tranquillamente, e disse: «Siete molto gentili a darvi tanto disturbo per me. Sono lusingato.»

Dio mi aiuti. Credetti.

Ognuno di noi è il riepilogo degli eventi del nostro tempo, i grandi avvenimenti e quelli piccoli. I nostri modelli di pensiero, i nostri pregiudizi, sono determinati dal distillato degli eventi che aspiriamo ad ogni respiro. Io sono stato forgiato dalle piccole guerre della mia vita, dall’esplosione delle armi atomiche nella mia infanzia, dal trauma dell’assassinio di Kennedy, dall’estinzione delle ostriche dall’Atlantico, dalle parole che la mia prima donna mi disse nei momenti d’estasi, dal trionfo dei computer, dal formicolio del Sole dell’Arizona sulla mia pelle nuda, e da molte altre cose. Quando tratto con altri esseri umani, so di avere un’affinità con loro, so che sono stati forgiati da alcuni degli eventi che hanno dato forma alla mia anima, che abbiamo almeno certi punti di riferimento in comune.

Che cosa aveva forgiato Vornan?

Nessuna delle cose che avevano dato forma a me. E questo era un motivo di sgomento e di reverenza. La matrice da cui proveniva era completamente diversa dalla mia. Un mondo che parlava altre lingue, che aveva avuto altri dieci secoli di storia, che aveva subito impensabili alterazioni di cultura e motivazioni… quello era il mondo da cui veniva. Nella mia mente balenò una visione immaginaria del mondo di Vornan, un mondo idealizzato di campi verdi e di guglie scintillanti, di controlli meteorologici e di vacanze tra le stelle, di concetti incomprensibili e d’incomprensibili progressi; e sapevo che qualunque cosa immaginassi sarebbe stata inferiore alla realtà, che non avevo nessun punto di riferimento in comune con lui.

Mi dissi che ero sciocco a cedere ad una simile paura.

Mi dissi che quell’uomo apparteneva al mio tempo, era soltanto un abile manipolatore dei suoi simili.

Mi sforzai di recuperare il mio scetticismo difensivo. E non ci riuscii.

Ci presentammo a Vornan. Lui stava al centro della stanza, un po’ altezzoso, ascoltandoci mentre gli recitavamo le nostre specializzazioni scientifiche. Il filologo, la biochimica, l’antropologa, lo storico e lo psicologo si presentarono a turno. Io dissi: «Sono un fisico specializzato nei fenomeni dell’inversione temporale,» e attesi.

Vornan-19 disse: «Straordinario. Avete scoperto l’inversione temporale così presto, nella vostra civiltà! Dovremo riparlarne molto presto, Sir Garfield.»

Heyman si fece avanti ed abbaiò: «Come sarebbe a dire, ’così presto nella vostra civilità’? Se crede che noi siamo un branco di luridi selvaggi…»

«Franz,» mormorò Kolff, afferrando Heyman per il braccio, ed io scoprii che cosa rappresentava la F. in «F. Richard Heyman». Heyman si acquietò, impietrito. Kralick gli rivolse una smorfia. Non si accoglieva un ospite, neppure un ospite sospetto, con una sfida ringhiante.

Kralick disse: «Le abbiamo organizzato una visita al quartiere finanziario per domani mattina. Il resto di quest’oggi, penso, potrebbe venire trascorso in libertà. Le va…»

Vornan non gli badava. Si era mosso in modo strano, come se planasse attraverso la stanza, e stava faccia a faccia con Aster Mikkelsen. Sottovoce disse: «Purtroppo il mio corpo si è sporcato in queste lunghe ore di viaggio. Vorrei pulirmi. Mi concede l’onore di fare il bagno con me?»

Restammo a bocca aperta. Eravamo tutti preparati all’abitudine, da parte di Vornan, di fare richieste oltraggiose, ma non avevamo previsto che tentasse qualcosa così subito, e per giunta con Aster. Morton Fields s’irrigidì e si girò come una statua di selce, cercando evidentemente un modo per salvare Aster da quella difficile situazione. Ma Aster non aveva bisogno di salvatori. Accettò l’invito a dividere la stanza da bagno con Vornan, graziosamente e senza tracce d’esitazione. Helen sogghignò. Kolff strizzò l’occhio. Fields sibilò. Vornan fece un piccolo inchino, flettendo le ginocchia e non soltanto la spina dorsale, come se non sapesse bene come doveva fare, e scortò Aster fuori dalla stanza, con fare deciso. Era successo tutto così in fretta da lasciarci completamente storditi.

Alla fine, Fields riuscì a dire: «Non possiamo lasciargli fare una cosa simile!»

«Aster non ha obiettato,» osservò Helen. «Spettava a lei decidere.»

Heyman si picchiò il pugno sull’altra mano. «Mi dimetto!» tuonò. «È un’assurdità! Me ne tiro completamente fuori!»

Kolff e Kralick si girarono all’unisono verso di lui. «Franz, calmati,» ruggì Kolff, e Kralick, nello stesso istante, disse: «Dottor Heyman, la prego…»

«Supponete che avesse domandato a me di fare il bagno con lui!» esclamò Heyman. «Dobbiamo soddisfare tutti i suoi capricci? Mi rifiuto di rendermi complice di questa idiozia!»

Kralick disse: «Nessuno le chiede di accedere a richieste evidentemente eccessive, dottor Heyman. La signorina Mikkelsen non era costretta ad acconsentire. Lo ha fatto per l’armonia, per… ecco, per ragioni scientifiche. Sono fiero di lei. Tuttavia, non era obbligata a dire di sì, e non voglio che vi sentiate…»

Helen McIlwain l’interruppe serenamente. «Mi dispiace che tu abbia deciso di dimetterti così presto, Franz, amore. Non ti ti sarebbe piaciuto discutere con lui la storia dei prossimi mille anni? Ormai, non ne avrai più la possibilità. Non credo che il signor Kralick possa permetterti d’interrogarlo a tuo piacere, se non collabori, e naturalmente ci saranno molti altri storici ben felici di prendere il tuo posto, no?»

Il suo trucco fu diabolicamente efficace. Il pensiero di lasciare ad un disprezzato rivale la possibilità di arrivare per primo ad interrogare Vornan straziò Heyman; poco dopo, si mise a borbottare che non si era dimesso veramente, aveva soltanto minacciato di dimettersi. Kralick lo lasciò sulle spine per un po’, prima di decidere di dimenticare lo spiacevole incidente, e alla fine Heyman promise, non troppo garbatamente, di assumere un atteggiamento più temperato nei confronti del suo incarico.

Fields, nel frattempo, continuava a guardare la porta oltre la quale erano svaniti Aster e Vornan. Alla fine disse, innervosito: «Non pensate che dovremmo cercare di sapere che cosa stanno facendo?»

«Il bagno, immagino,» disse Kralick.

«Lei se la prende con molta calma!» esclamò Fields. «Ma… e se l’avessimo lasciata andare con un maniaco omicida? Ho notato certi segni, nel portamento e nell’espressione facciale di quell’uomo, che m’inducono a credere che non sia il caso di fidarsi di lui.»

Kralick inarcò un sopracciglio ispido. «Davvero, dottor Fields? Le spiacerebbe dettare una relazione al riguardo?»

«Non ancora,» fece quello, incupendosi. «Ma credo che la signorina Mikkelsen vada protetta. È troppo presto per cominciare a ritenere che quest’uomo del futuro sia condizionato dalla morale e dai tabù della nostra società, e…»

«È giusto,» disse Helen. «Può darsi che abbia l’abitudine di sacrificare una vergine bruna ogni giovedì mattina. La cosa più importante che dobbiamo ricordare è che lui non pensa come noi, né nelle cose grandi, né nei piccoli particolari.»

Era impossibile giudicare, dal suo tono impassibile, se parlava sul serio; io, comunque, sospettavo di no. In quanto all’angoscia di Fields, era abbastanza semplice spiegarla: poiché era stato frustrato nelle sue mire su Aster, era sconvolto dalla constatazione che Vornan se l’era portata via così facilmente. Era tanto sconvolto, anzi, da indurre l’esasperato Kralick a rivelarci qualcosa che evidentemente non aveva avuto nessuna intenzione di dire.