Horst Klein irruppe tra le file della falange in rotta e si gettò ai piedi di Vornan. «Tu vieni davvero dal futuro, no?»
«Ma certo.»
«E come ci riesci… a toccare la sferza?»
«Queste forze così blande possono venire assorbite e trasformate,» disse Vornan. «Voi non avete ancora adottato i rituali dell’energia?»
Il ragazzo tedesco scosse il capo, tremando. Raccattò la mantellina del carabiniere e la porse all’uomo nudo. «Mettila,» mormorò. «Ti prego. Cerca di facilitarci le cose. Non puoi andartene in giro tutto nudo.»
Sorprendentemente, Vornan acconsentì. Dopo aver pasticciato un po’, riuscì ad indossare la mantellina. Klein chiese: «Allora non ci sarà la fine del mondo tra un anno?»
«No. No certo.»
«Sono stato un idiota!»
«Può darsi.»
Le lacrime presero a scorrere giù per le larghe guance lisce del tèutone. La risata spezzata dallo sfinimento erruppe dalle labbra di Horst Klein. Si prostrò sulle fredde lastre di pietra, battendo le palme in un’improvvisata genuflessione davanti a Vornan-19. Tremando, singultando, ansimando, Horst Klein abiurò la sua fede nel movimento apocalittico.
L’uomo venuto dal futuro aveva convertito il suo primo discepolo.
II
In Arizona io non sapevo nulla di tutto ciò. Se l’avessi saputo, avrei reputato tutto una pazzia, e non ci avrei pensato più. Ma poiché ero arrivato ad un punto morto della mia esistenza, isterilita ed amareggiata dall’accesso di lavoro e dalla scarsità dei risultati, non prestavo attenzione a ciò che avveniva al di fuori dei confini del mio cranio. Ero in uno stato d’animo piuttosto ascetico, e tra le varie cose che negavo a me stesso, quel mese, c’era la constatazione degli eventi mondiali.
I miei ospiti erano molto gentili. Mi avevano visto passare altre volte attraverso crisi del genere, e sapevano come andavo trattato. Avevo soprattutto bisogno di una delicata mescolanza di attenzione e di solitudine, e soltanto persone dotate di una certa sensibilità erano in grado di assicurarmi l’atmosfera più adeguata. Non sarebbe inesatto affermare che Jack e Shirley Bryant avevano già salvato diverse volte la mia ragione.
Jack aveva lavorato con me ad Irvine per parecchi anni, ancora nel decennio 1980-90. Mi era arrivato dritto dritto dal MIT, dove aveva conquistato quasi tutti gli onori possibili e immaginabili, e come molti profughi di quell’istituzione aveva un’anima vagamente pallida e tormentata, le stigmate di un periodo troppo lungo vissuto sulla Costa Orientale, troppi inverni duri e troppe estati senz’aria. Era stato un piacere, vederlo schiudersi come un robusto fiore al nostro Sole. Quando lo conobbi aveva passato da poco i vent’anni: era alto, ma scarso di torace, con i capelli ricciuti folti e disordinati, le guance perpetuamente mal rasate, gli occhi infossati, le labbra sottili ed irrequiete. Aveva tutte le caratteristiche e i tic e le abitudini del giovane genio. Avevo letto alcuni suoi studi sulla fisica delle particelle, ed erano eccezionali. Dovete rendervi conto che in fisica si lavora in base ad intuizioni improvvise, forse ispirazioni, e perciò non è necessario essere vecchi e saggi per essere geniali. Newton cambiò forma all’universo quand’era ancora molto giovane. Einstein, Schrödinger, Heisenberg, Pauli e tutti gli altri pionieri diedero i loro risultati migliori prima dei trent’anni. Come Bohr, si può diventare più acuti e più profondi con il passare del tempo: ma Bohr era ancora giovane quando scrutò nel cuore dell’atomo. Perciò, quando dico che il lavoro di Jack Bryant era geniale, non intendo semplicemente affermare che era un giovanotto molto, molto promettente. Voglio dire che era geniale su scala assoluta, e che aveva conseguito la grandezza ancora prima di laurearsi.
Per i primi due anni, durante i quali fu con me, credetti sinceramente che fosse destinato a cambiare il volto della fisica. Aveva uno strano potere, il dono dell’intuizione sconvolgente che travolge ogni dubbio; e poi aveva la capacità matematica e la costanza di seguire la sua intuizione e di strappare la verità all’ignoto. Il suo lavoro era connesso soltanto in modo marginale con il mio. Il mio progetto dell’inversione temporale aveva ormai finito per diventare più sperimentale che teorico, poiché avevo superato le fasi delle ipotesi iniziali, ed ormai stavo dedicando gran parte del mio tempo al gigantesco acceleratore di particelle, cercando di accumulare le forze che, secondo le mie speranze, avrebbero dovuto lanciare in volo verso il passato alcuni frammenti di atomi. Jack, al contrario, era ancora un teorico puro. Ciò che lo interessava era la forza coesiva dell’atomo. In questo, naturalmente, non c’era nulla di nuovo. Tuttavia Jack si era preso la briga di riesaminare alcune implicazioni trascurate dell’opera svolta nel 1935 da Yukawa sui mesoni, e mentre riconsiderava la vecchia letteratura, in generale aveva sovvertito tutto quello che si credeva di sapere sulla «colla» che tiene insieme l’atomo. Ero convinto che Jack fosse sulla strada buona verso una delle scoperte rivoluzionarie dell’umanità: la comprensione dei fondamentali rapporti di energia che costituiscono l’universo. Il che è, naturalmente, quello che in ultima analisi cercano tutti.
Poiché ero stato io a raccomandare Jack all’Università, tenevo d’occhio i suoi studi, controllando le varie stesure successive della sua tesi per il dottorato, pur dedicando la maggior parte delle energie al mio lavoro. Solo un poco alla volta incominciai a rendermi conto delle più vaste implicazioni della ricerca di Jack. Avevo continuato a vederla nella sfera circoscritta della fisica pura; ma adesso mi rendevo conto che il risultato finale del lavoro di Jack doveva essere estremamente pratico. Era avviato verso un metodo per sfruttare la forza coesiva dell’atomo e di liberare tale energia non già per mezzo di un’esplosione improvvisa e violenza, bensì in un flusso controllato.
In quanto a Jack, sembrava che non se ne rendesse conto. Le applicazioni della teoria fisica, per lui, non avevano interesse. Lavorava nel suo ambiente rarefatto delle equazioni, e non prestava a tali possibilità un’attenzione maggiore di quella che dedicava, poniamo, alle fluttuazioni del mercato azionario. Eppure io me n’ero accorto. Anche l’opera di Rutherford all’inizio del secolo ventesimo era stata puramente teorica, però aveva portato infallibilmente all’esplosione su Hiroshima. Altri uomini, meno geniali, avrebbero frugato nella tesi di Jack e vi avrebbero trovato il mezzo per liberare totalmente l’energia atomica. Non sarebbe stata necessaria né la fusione né la fissione. Qualunque atomo poteva venire aperto e svuotato. Una manciata di terriccio sarebbe bastata per alimentare un generatore da un milione di chilowatt. Poche gocce d’acqua avrebbero mandato un’astronave fin sulla Luna. Era l’energia atomica della fantasia. Ed era proprio lì, implicita nel lavoro di Jack.
Ma il lavoro di Jack era incompleto.
Il terzo anno che si trovava ad Irvine venne da me stralunato e depresso, e mi annunciò che intendeva interrompere il lavoro della sua tesi. Era arrivato ad un punto, mi spiegò, in cui aveva bisogno di femarsi e di riflettere. Nel frattempo, mi chiedeva il permesso di dedicarsi a certe attività sperimentali, semplicemente per cambiare aria. Naturalmente, acconsentii.
Non gli dissi assolutamente nulla delle potenziali applicazioni pratiche del suo lavoro. Non spettava a me. Confesso che provai un senso di sollievo misto a disappunto quando bloccò le sue ricerche. Avevo pensato al sovvertimento economico che si sarebbe prodotto nella società di lì a dieci o quindici anni, quando ogni casa avrebbe potuto avere la sua sorgente inesauribile d’energia, quando i trasporti e le comunicazioni non sarebbero più dipesi dalla tradizionale immissione d’energia, quando l’intera rete dei rapporti di attività su cui si basa la nostra società sarebbe crollata completamente. Come sociologo dilettante, mi sentivo turbato dalle conclusioni che avevo tratto. Se fossi stato il dirigente di qualche grande azienda, avrei fatto immediatamente assassinare Jack Bryant. Ma poiché ero io, ero soltanto preoccupato. Non era molto bello da parte mia, lo ammetto. Il vero uomo di scienza tira avanti, senza preoccuparsi delle conseguenze economiche. Cerca la verità, anche se poi la verità manderà a rotoli la società. Sono i principi fondamentali delle nostre virtù.