La serena dignità dell’alto funzionario cominciò a disgregarsi. Norton aveva le guance chiazzate, gli occhi balenavano come quelli di una belva in gabbia. Avevo visto un’espressione simile sulla faccia di Wesley Bruton allorché aveva saputo da Vornan che la sua magnifica villa, eretta per sfidare i millenni come il Partenone ed il Taj Mahal, era scomparsa e dimenticata nel 2999, e sarebbe stata al massimo conservata come curiosità, come manifestazione del cattivo gusto barocco, se fosse sopravvissuta. Il presidente della Borsa non poteva capire l’incomprensione di Vornan, e ne era snervato.
Norton disse: «Una società è… beh, una società. Cioè, un gruppo di individui riuniti allo scopo di fare qualcosa per profitto. Per fabbricare un prodotto, per fornire un servizio, per…»
«Un profitto,» fece Vornan, pigramente. «Che cos’è un profitto?»
Norton si morse le labbra e si asciugò la fronte sudata. Dopo qualche esitazione disse: «Un profitto è un ricavo superiore ai costi. Un surplus di valore, come dicono. Lo scopo fondamentale di una società per azioni consiste nel guadagnare un profitto che possa venire diviso tra i suoi proprietari. Perciò deve essere efficiente e produttiva, in modo che i costi fissi dell’attività vengano superati, ed il costo unitario della produzione sia inferiore al prezzo di mercato del prodotto offerto. Ora, la ragione per cui la gente crea la società per azioni anziché le semplici società di fatto è che…»
«Non la seguo,» disse Vornan. «Si spieghi in termini più semplici, la prego. Il fine di questa società per azioni è il profitto, da dividersi tra i proprietari, no? Ma che cos’è un proprietario?»
«Stavo giusto per arrivarci. In termini legali…»
«E a che cosa serve questo profitto, perché i proprietari ci tengano ad averlo?»
Mi rendevo conto che Vornan stava lanciando deliberatamente l’esca. Guardai preoccupato Kolff, Helen, Heyman. Ma quelli non sembravano molto turbati. Holliday, il nostro rappresentante governativo, aggrottava un po’ la fronte, ma forse pensava che le domande di Vornan fossero più innocenti di quanto apparissero invece a me.
Le narici del presidente della Borsa fremettero minacciosamente. Sembrava che faticasse parecchio a controllarsi. Uno dei giornalisti, accorgendosi del disagio di Norton, gli si avvicinò e gli fece lampeggiare in faccia la macchina fotografica. Quello gli lanciò un’occhiataccia.
«Devo intendere,» chiese lentamente Norton, «che nella sua epoca il concetto di società per azioni è sconosciuto? Che la motivazione del profitto si è estinta? Che persino il denaro non viene più usato?»
«Direi proprio di sì,» rispose gentilmente Vornan. «O almeno, per quanto riesco a comprendere questi termini, posso dire che non abbiamo nulla di equivalente.»
«E questo è successo in America?» domandò Norton, in tono incredulo.
«Noi non abbiamo esattamente un’America,» disse Vornan. «Io vengo dalla Centralità. I termini non sono congrui, e per la verità mi risulta difficile stabilire un paragone, sia pure approssimativo…»
«L’America è scomparsa? Ma come è possibile? E quando sarebbe accaduto?»
«Oh, durante il Tempo della Pulizia, suppongo. Allora cambiarono parecchie cose. È successo molto tempo fa. Non ricordo nessuna America.»
F. Richard Heyman intravvide la possibilità di estorcere un po’ di storia da quel Vornan dall’obliquità così esasperante. Si girò di scatto e disse: «A proposito di questo Tempo della Pulizia che lei ha nominato qualche volta. M’interesserebbe molto sapere…»
Venne interrotto da un geyser d’indignazione eruttato da Samuel Norton.
«L’America scomparsa? Il capitalismo estinto? Ma non può succedere! Le assicuro…»
Uno degli assistenti del presidente della Borsa accorse precipitosamente al suo fianco e gli mormorò qualcosa, concitato. Il grand’uomo annuì. Ricevette dalle mani dell’altro una capsula colorata di viola e ne accostò la punta ultrasonica al polso. Vi fu un rapido ronzio: un’inizione di qualcosa che, immagino, doveva essere un tranquillante. Norton aspirò profondamente e fece uno sforzo visibile per riprendersi.
Con maggior calma, il presidente della Borsa disse a Vornan: «Non esito a dirle che tutto questo mi sembra assai difficile da credere. Un mondo senza l’America? Un mondo che non si serve del danaro? Mi dica questo, per favore: Nel tempo da cui proviene, il mondo intero è diventato comunista?»
Seguì quello che la gente chiama un silenzio teso, durante il quale le telecamere ed i registratori furono occupatissimi a cogliere volti increduli, incolleriti o turbati. Sentivo nell’aria il disastro imminente. Alla fine Vornan disse: «Ecco un altro termine che non capisco. Mi scuso per la mia estrema ignoranza. Temo che il mio mondo sia immensamente diverso dal vostro. Tuttavia…» A questo punto sfoderò il suo sorriso splendente, per togliere il veleno da ciò che stava per dire. «Tuttavia sono venuto qui per discutere del vostro mondo e non del mio. Mi dica, la prego, a cosa serve questa Borsa.»
Ma Norton non riusciva a liberarsi dall’ossessione del mondo di Vornan-19. «Fra un attimo. Se prima lei dirà a me come acquisite i beni… qualche accenno al vostro sistema economico…»
«Ognuno di noi ha ciò che gli occorre. Le nostre esigenze vengono soddisfatte. E adesso, questa idea della proprietà azionaria delle società…»
Norton si girò dall’altra parte, disperato. Davanti a noi si schiuse un’impensabile prospettiva del futuro: un mondo senza economia, un mondo in cui nessun desiderio restava inesaudito. Era possibile? Oppure tutto questo era soltanto un modo per evitare i dettagli che il ciarlatano non si sentiva d’inventare per nostro uso e consumo? In un caso o nell’altro, ero incantato. Ma Norton era fuori di sé. Stordito, rivolse un gesto ad uno degli altri funzionari della Borsa, che si fece avanti vivacemente per dire: «Incominciamo dall’inizio. Abbiamo una società che fabbrica prodotti. È di proprietà di un piccolo gruppo di persone. Ora, nella terminologia legale esiste il concetto della responsabilità, intendendo che i proprietari di una società sono responsabili di tutto ciò che la società stessa potrebbe fare d’illecito o d’illegale. Per evitare questo, essi creano un’entità fittizia chiamata società per azioni, che si assume la responsabilità per ogni azione che potrebbe essere intentata contro di loro nell’attività affaristica. Ora, poiché ogni membro del gruppo dei proprietari possiede una parte dell’azienda, possiamo emettere le azioni, cioè certificati rappresentanti parti proporzionali dell’interesse nel…»
E così via. Un corso elementare di economia.
Vornan era raggiante. Lasciò che tutto procedesse per la sua strada, fino al punto in cui l’uomo spiegò che, quando un azionista desiderava vendere la sua parte della società, trovava più conveniente agire per mezzo di un sistema d’asta centralizzato che avrebbe collocato il suo pacchetto azionario assegnandolo al miglior offerente: poi Vornan ammise, tranquillamente e disastrosamente, di non riuscire ancora ad afferrare i concetti di proprietà, società per azioni e profitto, figurarsi poi il trasferimento dei pacchetti azionari. Sono sicuro che lo disse solo con lo scopo di punzecchiare ed irritare. Adesso recitava la parte dell’uomo venuto da Utopia, chiedendo lunghe spiegazioni sulla nostra società e poi dando allegramente uno spintone all’intera struttura con il proclamarsi ignorante degli assunti fondamentali, per far capire che questi erano transeunti e insignificanti. Ci fu un parlottio angosciato tra i funzionari di Borsa, offesi, ma monumentalmente riservati. Non avevano mai pensato che qualcuno potesse assumere un simile atteggiamento d’innocenza beffarda. Anche un bambino sapeva a cosa serviva il danaro e cos’erano le società per azioni, anche se il concetto della limitazione della responsabilità restava sfuggente.