Non provavo la tentazione d’immischiarmi in quella situazione sconcertante. I miei occhi vagavano pigramente qua e là. Guardando in direzione del colossale ingrandimento giallo della telescrivente della Borsa, lessi:
E poi:
Poi il tabellone cominciò a parlare di transazioni azionarie e di fluttuazioni delle medie. Ma ormai il guaio era fatto. Al pianterreno l’azione si era arrestata. La compravendita fasulla si fermò, e migliaia di facce si rivolsero verso la balconata. Si levarono grida incoerenti, incomprensibili. Gli agenti di borsa agitavano le braccia e acclamavano. Confluivano in gruppi, turbinando, indicando, salutando a cenni, lanciando misteriosi suoni tuonanti. Cosa volevano? L’indice Dow-Jones per il gennaio del 2999? L’imposizione delle mani? La gioia di vedere l’uomo venuto dal futuro? Vornan era accanto alla ringhiera della galleria, adesso, sorridente, e levava le mani come se impartisse la sua benedizione al capitalismo. Gli ultimi riti, forse… l’estrema unzione per i dinosauri della finanza.
Norton disse: «Si comportano in un modo molto strano. Non mi piace.»
Heyman reagì alla nota di allarme nella sua voce. «Portiamo via Vornan,» mormorò, rivolgendosi ad una guardia che stava accanto a me. «Si direbbe che stiano per scoppiare dei disordini.»
I nastri della telescrivente fluttuavano nell’aria. Gli agenti di cambio ne afferravano lunghi pezzi, si aggiravano danzando e sventolandoli, li lanciavano verso la galleria. Udii alcune grida, sul sottofondo di rumori: volevano che Vornan scendesse in mezzo a loro. Vornan continuava a rispondere graziosamente al loro omaggio.
La telescrivente annunciò:
Era incominciato l’esodo dal pianterreno. Gli agenti di cambio stavano salendo le scale per cercare Vornan! Il nostro gruppo si sciolse, in preda alla confusione. Ormai mi stavo abituando alle uscite precipitose: Aster Mikkelsen mi stava accanto, perciò l’afferrai per la mano e mormorai, rauco: «Vieni, prima che incominciano i guai! Vornan ci ha riprovato!»
«Ma non ha fatto niente!»
Me la trascinai dietro. Vidi una porta, e ci affrettammo a varcarla. Mi voltai a guardare e notai che Vornan mi seguiva, circondato dalle guardie del Servizio di Sicurezza. Percorremmo un lungo corridoio luccicante, che si snodava come un tubo attraverso l’intero palazzo. Dietro di noi si levavano grida, smorzate e incoerenti. Vidi una porta con la scritta VIETATO L’INGRESSO e l’aprii. Era un’altra balconata: questa era affacciata sulle viscere del calcolatore centrale. Correnti serpeggianti di dati balzavano convulsamente da un banco all’altro. Numerose ragazze in grembiuli corti correvano avanti e indietro, infilando le mani in aperture enigmatiche. Attraverso il soffitto si stendeva qualcosa che sembrava un intestino. Aster rise. Me la trascinai dietro e tornammo ad uscire nel corridoio. Un robocarrello arrivò ronzando verso di noi. Ci scostammo. Cosa diceva adesso la telescrivente? AGENTI DI CAMBIO IMPAZZITI?
«Qua!» disse Aster. «Un’altra porta!»
Ci trovammo sul ciglio di un pozzo di discesa e vi entrammo, agilmente. Giù, giù, giù…
E fuori. Sotto il tiepido portico di Wall Street. Dietro di noi ululavano le sirene. Mi soffermai, ansimante, per orientarmi e vidi che Vornan era ancora dietro di me, con Holliday ed i giornalisti alle calcagna.
«In macchina!» ordinò Holliday.
La nostra fuga riuscì. Più tardi, quel giorno, apprendemmo che l’Indice Dow-Jones aveva subito una caduta di 8,51 punti durante la nostra visita alla Borsa, e che due anziani agenti di cambio erano morti in seguito a guasti dei loro pacemaker cardiaci durante il tumulto. Mentre lasciavano New York, quella notte, Vornan disse pigramente a Heyman: «Deve spiegarmi di nuovo il capitalismo, una volta o l’altra. Mi sembra molto affascinante, a suo modo.»
X
Le cose andarono molto meglio nel postribolo automatizzato di Chicago. Kralick non era molto entusiasta dell’idea di lasciare che Vornan visitasse quel posto, ma l’ospite l’aveva chiesto, ed una richiesta del genere non poteva venire respinta senza il rischio di conseguenze esplosive. Comunque, poiché quei locali erano leciti e addirittura alla moda, non c’era ragione per rifiutare, se non per un residuo di puritanesimo.
Vornan, lui, non era un puritano. Questo era chiaro. Aveva perso poco tempo per acquisire i servigi sessuali di Helen McIlwain, come ci annunciò fierissima lei stessa la terza sera. C’era almeno una buona probabilità che avesse avuto anche Aster, benché naturalmente lui ed Aster non dicessero niente in proposito. Dato che aveva dimostrato una curiosità insaziabile per i nostri costumi sessuali, era impossibile tener lontano Vornan dal bordello computerizzato; e come disse ironicamente a Kralick, la visita si sarebbe inquadrata nella sua iniziazione ai misteri del sistema capitalista. Poiché Kralick non era venuto con noi alla Borsa di New York, non riuscì a capire il senso di quella battuta.
Venni delegato a fare da guida a Vornan. Kralick sembrava imbarazzato, nel chiedermelo. Ma era impensabile lasciarlo andare da qualche parte senza un cane da guardia, e Kralick ormai aveva imparato a conoscermi abbastanza per capire che non avevo obiezioni ad accompagnarlo in un posto simile. Non aveva obiezioni da fare neppure Kolff, ma era troppo vanaglorioso per un compito del genere, e Fields e Heyman non erano adatti perché troppo moralisti. Vornan ed io ci avviammo nel labirinto erotico in un pomeriggio buio, qualche ora dopo essere arrivati a Chicago da New York.
L’edificio era nel contempo sontuoso e casto: una torre d’ebano sul Near North Side, alta almeno trenta piani, senza finestre, con la facciata decorata da intarsi astratti. Sulla porta non c’era niente che indicasse la destinazione del palazzo. In preda a tristi presentimenti, guidai Vornan oltre il campo climatizzatore, chiedendomi che razza di caos sarebbe riuscito a scatenare là dentro.
Io non ero mai stato in uno di quei posti. Permettetemi di dire che non avevo avuto mai la necessità di comprare una compagnia sessuale; c’era sempre stata un’ampia possibilità di scelta, senza altro quid pro quo che i miei servigi. Approvavo di tutto cuore, comunque, la legge che aveva permesso quelle istituzioni. Perché il sesso non doveva essere un bene acquistabile come i viveri e le bevande? Non è essenziale per il benessere umano, o quasi? E non c’è da guadagnare parecchio autorizzando un pubblico servizio erotico, scrupolosamente regolato e tassato pesantemente? A lungo andare, era stato il fisco a trionfare sul nostro puritanesimo tradizionale: mi chiedevo se i postriboli sarebbero mai esistiti, se non si fossero temporaneamente esauriti gli altri canali fiscali.
Non cercai di spiegare a Vornan-19 tutte queste sottigliezze. Sembrava già abbastanza sconcertato dal concetto del danaro, figurarsi poi dall’idea di scambiare danaro per sesso, o di tassare tali transazioni a beneficio della società nel suo complesso. Quando entrammo, chiese garbatamente: «Perché i vostri cittadini hanno bisogno di questi posti?»
«Per soddisfare le loro esigenze sessuali.»
«E danno danaro per questa soddisfazione, Leo? Il danaro che hanno ottenuto prestando altri servizi?»
«Sì.»
«Perché non compiere direttamente questi servizi in cambio della soddisfazione sessuale?»
Gli spiegai brevemente il ruolo del danaro quale mezzo di scambio, ed i suoi vantaggi rispetto al baratto. Vornan sorrise. Disse: «È un sistema interessante. Ne discuterò a lungo quando tornerò a casa. Ma perché si deve pagare danaro in cambio del piacere sessuale? Mi sembra ingiusto. Le ragazze che uno assolda qui ricevono danaro, e hanno anche il piacere sessuale, e quindi vengono pagate due volte.»