Ciò che mi turbava soprattutto, in quel movimento, era il fatto che il movimento fosse così amorfo. Aspettava la mano che lo plasmasse. Se Vornan avesse voluto, avrebbe potuto conferire orientamento e slancio al suo culto, semplicemente proclamando qualche affermazione ex cathedra. Avrebbe potuto scatenare guerre sacre, rivolgimenti politici, danze per le strade, avrebbe potuto imporre l’astinenza dagli stimolanti, l’eccesso di stimolanti… e milioni di individui gli avrebbero obbedito. Fino a quel momento, non aveva tenuto a sfruttare il suo potere. Forse si stava rendendo conto solo gradualmente di averlo. Avevo visto Vornan trosformare una festa privata in un caos con pochi movimenti casuali della mano: che cosa avrebbe potuto fare, se avesse deciso d’impugnare le leve che comandavano il mondo?
La forza del suo culto era impressionante, e lo era anche la rapidità con cui si diffondeva. Il fatto che fosse lontano, sulla Luna, pareva non contare affatto. Anche da quella distanza esercitava la sua attrazione, potente e cieca quanto l’attrazione della stessa Luna sui nostri mari. Era, più esattamente di quanto possa esprimere la frase fatta, tutto per tutti; c’erano quelli che lo amavano per il suo palese nichilismo, ed altri che lo vedevano quale simbolo di stabilità in un mondo vacillante. Non dubito che soprattutto lo vedessero come una divinità: non Jehovah, non Wotan, non una barbuta e remota figura paterna, ma come un Giovane Dio bello, dinamico, vivace, incarnazione della primavera e della luce, delle forze creative e distruttive unite in un’unica sintesi. Era Apollo. Era Baldur. Era Osiride. Ma era anche Loki, e gli antichi mitografi non avevano mai contemplato questa particolare combinazione.
La sua permanenza sulla Luna venne protratta diverse volte. Credo che Kralick, per conto del governo, avesse intenzione di tenere Vornan lontano dalla Terra il più possibile, in modo che le pericolose emozioni generate dal suo arrivo nell’ultimo anno del vecchio millennio avessero tempo di sbollire. Era stato previsto che sarebbe rimasto lassù solo fino alla fine di giugno, ma nel luglio avanzato c’era ancora. Sugli schermi lo vedevano nei bagni a gravità, o mentre esaminava con aria seria le vasche idroponiche, o si divertiva con gli sci a reazione, oppure compariva insieme a un gruppo selezionato di celebrità internazionali ai tavoli da gioco. Notai molto spesso Aster al suo fianco: appariva stranamente regale, e il suo corpo snello era avvolto in abiti sorprendentemente rivelatori, quasi impensabili per lei. Talvolta, sullo sfondo, si vedevano Helen e Heyman, una coppia male assortita legata dalla reciproca antipatia, e qualche volta scorgevo la figura incombente di Sandy Kralick, con la faccia cupa e torva, perduto nella contemplazione del suo inverosimile incarico.
Alla fine di luglio venni informato che Vornan stava per tornare e che c’era di nuovo bisogno dei mie servigi. Dovevo andare allo spazioporto di San Francisco, di lì ad una settimana, per attendere l’atterraggio. Il giorno dopo ricevetti una copia di un piccolo, sgradevole pamphlet che, ne sono certo, non migliorò l’umore di Sandy Kralick. Aveva una lucida copertina rossa, a imitazione della Nuova Rivelazione. Il titolo era La Nuovissima Rivelazione; l’autore Morton Fields. La copia che mi arrivò aveva la sua dedica. Non passò molto tempo prima che ce ne fossero in circolazione milioni, non perché il libretto avesse un interesse implicito, ma perché molti lo scambiavano per l’originale e altri avevano la mania di fare collezione di tutto il materiale stampato riguardante l’avvento di Vornan-19.
La Nuovissima Rivelazione era l’odioso memoriale di Fields sulle sue esperienze con Vornan. Era il suo modo di sfogare soprattutto la propria bile contro Aster. Non la nominava (per timore di una querela per diffamazione, immagino), ma nessuno poteva fare a meno d’identificarla, poiché c’erano due sole donne nella commissione, e Helen McIlwain veniva citata per nome. Il ritratto di Aster che usciva da quelle pagine non corrispondeva all’Aster Mikkelsen che conoscevo io: Fields la presentava come una vampira astuta, ingannatrice, traditrice e soprattutto amorale che si era prostituita ai membri della commissione, che aveva spinto alla tomba Lloyd Kolff con i suoi insaziabili appetiti sessuali, e che aveva commesso con Vornan-19 tutte le abominazioni note all’umanità. Tra le sue colpe minori c’era il voluto sadismo con cui aveva torturato l’unico membro virtuoso e razionale del nostro gruppo, che era naturalmente Morton Fields. Fields aveva scritto:
«Questa donna malvagia e depravata provava una strana gioia nell’affilare le unghie su di me. Io ero la sua vittima più facile. Poiché fin dall’inizio le avevo fatto capire che non mi piaceva, si mise d’impegno per attirarmi nel suo letto… e quando la respinsi, si mostrò ancora più decisa ad aggiungermi alla sua collezione di scalpi. Le sue provocazioni divennero flagranti e spudorate, fino a quando, in un momento di debolezza, mi trovai sul punto di cedere. Allora, naturalmente, tutta soddisfatta mi accusò di essere un Don Giovanni, umiliandomi spietatamente davanti agli altri, e…»
E così via. Il tono lamentoso continuava dall’inizio alla fine. Fields ci descriveva senza pietà. Helen McIlwain era una post-adolescente troppo matura: Lloyd Kolff un vecchio rimbecillito dedito all’ingordigia, alla libidine, e all’uso malizioso di una mente che conteneva soltanto poesie erotiche; F. Richard Heyman era un arrogante pallone gonfiato (la caratterizzazione di Heyman non mi parve troppo ingiusta). Kralick veniva liquidato come uno scagnozzo del governo che cercava di salvare la faccia a tutti, ed era disposto a qualunque compromesso pur di evitare fastidi. Fields era molto esplicito, per quanto riguardava il ruolo del governo nel caso Vornan. Diceva chiaramente che il Presidente aveva ordinato di accettare completamente le affermazioni di Vornan per sgonfiare il movimento degli Apocalittici. Naturalmente, questo era vero, ma nessuno lo aveva ancora ammesso pubblicamente, men che meno qualcuno in una posizione altolocata come Fields. Per fortuna, lui seppelliva questa accusa in un lungo brano involuto dedicato ad una flagellazione paranoide della psiche nazionale, e credo che il particolare sfuggisse alla maggioranza dei lettori.
Io ne uscivo ancora abbastanza bene, secondo il giudizio di Fields. Mi presentava come un individuo altero, superficiale, falsamente profondo, un filosofo fasullo che invariabilmente si ritraeva atterrito davanti ai dilemmi difficili. Non sono soddisfatto di queste accuse, ma sospetto di dovermi riconoscere colpevole delle imputazioni. Fields criticava la mia mancanza di vero attaccamento ad una qualunque causa, la mia disinvolta tolleranza verso i difetti di coloro che mi stavano intorno. Tuttavia non c’era velenosità nel paragrafo che mi dedicava: non gli sembravo né uno sciocco né una carogna, ma piuttosto un personaggio neutro di scarso interesse. E così sia.
I pettegolezzi maligni di Fields sul conto dei suoi ex colleghi della commissione non sarebbero bastati ad assicurare molto seguito al suo libro al di fuori degli ambienti accademici, e del resto, io non ne parlerei tanto. Il nucleo del suo saggio era la sua «nuovissima rivelazione»: la sua analisi di Vornan-19. Confusa, tortuosa, stentata e arida, quella parte riusciva a conservare il carisma di Vornan a sufficienza per acquistare lettori. E così lo sciocco libricino di Fields conseguì un’influenza sproporzionata al contenuto.