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Quando riferii loro la proposta, pensarono entrambi che stessi scherzando. Faticai a convincerli che avrei portato veramente Vornan in casa loro. Finalmente si decisero a credermi, e li vidi scambiarsi occhiate fuori campo; poi Jack disse: «E quando verreste qui?»

«Anche domani, se siete disposti.»

«Perché no?» fece Shirley.

La scrutai in viso, cercando di scoprire se tradiva il suo desiderio. Ma non vidi altro che l’eccitazione.

«Perché no?» ripeté Jack. «Ma dimmi una cosa: ci troveremo la casa assediata da giornalisti e poliziotti? Questo non lo sopporterei.»

«No,» dissi io. «L’ubicazione di Vornan verrà tenuta nascosta alla stampa. Non ci sarà un solo giornalista nei dintorni. E immagino che le vie d’accesso alla vostra casa saranno sorvegliate, per prudenza; ma gli agenti del Servizio di Sicurezza non vi daranno fastidio. Farò in modo che stiano alla larga.»

«Benissimo,» disse Jack. «Portalo, allora.»

Kralick rimandò il viaggio nell’America Meridionale, e annunciò che Vornan stava per recarsi in una località tenuta segreta per una vacanza privata di durata indeterminata. Lasciammo capire che sarebbe andato in una villa da qualche parte sull’Oceano Indiano. Molto vistosamente, la mattina dopo un aereo privato lasciò Johannesburg diretto verso l’Isola Mauritius. Bastò per sconcertare e fuorviare la stampa. Un po’ più tardi, quella stessa mattina, Vornan ed io salimmo su un piccolo reattore e attraversammo l’Atlantico. Cambiammo aereo a Tampa e arrivammo a Tucson nel primo pomeriggio. Lì ci aspettava una macchina. Dissi all’autista, che era un dipendente governativo, di scomparire, e guidai personalmente fino da Jack e Shirley. Kralick, lo sapevo, aveva steso una rete di protezione in un raggio di ottanta chilometri intorno alla casa, ma aveva promesso di non lasciare che i suoi uomini si avvicinassero di più, a meno che io chiedessi aiuto. Nessuno ci avrebbe disturbati. Era un meraviglioso pomeriggio di tardo autunno, il cielo era fulgido e piatto, senza nubi, e l’azzurro pareva vibrare. Le montagne sembravano eccezionalmente nitide. Mentre guidavo, notai di tanto in tanto lo scintillio dorato di un elicottero governativo, lassù. Ci sorvegliavano… da lontano.

Shirley e Jack ci attendevano davanti alla casa. Jack portava una camicia strappata ed un paio di jeans sbiaditi; Shirley calzoncini e un succinto reggiseno. Non li avevo più visti dalla primavera, ed avevo parlato con loro solo poche volte. Ebbi la netta sensazione che le tensioni osservate in primavera avessero continuato a roderli nei mesi successivi. Sembravano tutti nervosi, carichi, compressi, in un modo che non si poteva attribuire interamente all’arrivo del celebre ospite.

«Questo è Vornan-19,» dissi io. «Jack Bryant. Shirley.»

«È un vero piacere» disse gravemente Vornan. Non porse la mano, ma s’inchinò, quasi alla giapponese, prima a Jack, poi a Shirley. Seguì un silenzio impacciato. Restammo a guardarci, sotto il Sole ardente. Shirley e Jack si comportavano quasi come se non avessero mai creduto all’esistenza di Vornan prima di quel momento; sembravano considerarlo un personaggio romanzesco inaspettatamente portato in vita. Jack strinse le labbra, così forte che le guance gli pulsarono. Shirley, senza distogliere mai gli occhi da Vornan, si dondolava avanti e indietro sui piedi nudi. Vornan, controllato e affabile, studiava la casa, l’ambiente ed i suoi occupanti con serena curiosità.

«Se permette le mostro la sua stanza,» se ne uscì Shirley.

Presi i bagagli: una valigia per Vornan ed una per me. La mia era quasi vuota, poiché c’erano solo due abiti di ricambio: ma faticai a sollevare quella di Vornan. Sebbene fosse entrato nudo nel nostro mondo, aveva accumulato parecchia roba nei suoi viaggi: abiti, gingilli, una miscellanea caotica. Trascinai il bagaglio in casa. Shirley aveva assegnato a Vornan la stanza che solitamente occupavo io; un ripostiglio vicino al terrazzo era stato frettolosamente trasformato in una seconda stanza per gli ospiti, a mio uso. Mi sembrava giusto. Deposi la valigia di Vornan, e lasciai con lui Shirley perché gli insegnasse a usare i vari impianti. Jack mi condusse in camera mia.

Dissi: «Voglio chiarire, Jack, che questa visita può venire interrotta in qualunque momento. Se Vornan ti sembra insopportabile, dimmelo, e ce ne andremo. Non voglio che tu abbia fastidi per causa sua.»

«Va bene. Credo che sarà interessante, Leo.»

«Non ne dubito. Ma potrebbe anche essere un peso.»

Jack sorrise, nervosamente. «Avrò qualche possibilità di parlare con lui?»

«Certamente.»

«Tu sai di che cosa.»

«Sì. Parlane quanto vuoi. Non ci sarà molto altro da fare. Ma non concluderai niente, Jack.»

«Posso tentare, almeno.» E aggiunse, a voce bassa: «È più piccolo di quanto immaginassi. Ma imponente. Molto imponente. Ha una specie di potere di dominazione naturale, no?»

«Napoleone era piccolo,» gli ricordai. «E anche Hitler.»

«Vornan lo sa?»

«Sembra che non sia un appassionato studioso di storia,» dissi; ridemmo entrambi.

Dopo un po’, Shirley uscì dalla stanza di Vornan: l’incontrai nel corridoio. Non credo che pensasse di trovarmi lì, perché per un attimo la vidi in faccia e lei non aveva la maschera che tutti noi portiamo di fronte agli altri. Gli occhi, le narici, le labbra, rivelavano un’emozione cruda, un conflitto bruciante. Mi chiesi se Vornan aveva tentato di combinare qualcosa, in quei cinque minuti che avevano trascorso insieme. Certo, ciò che vidi sul volto di Shirley era puramente sessuale, una marea di desiderio che affiorava alla superficie. Un attimo dopo si accorse che la stavo guardando, e la maschera si assestò rapidamente. Mi sorrise, nervosa. «È sistemato,» disse. «Mi piace, Leo. Sai, pensavo fosse freddo e scostante, una specie di robot. Ma è educato e cerimonioso, un vero gentiluomo, a modo suo.»

«È un incantatore, sì.»

Chiazze rivelatrici di colore indugiavano sulle sue guance. «Pensi che abbiamo fatto male a dire che poteva venire?»

«Perché dovrebbe essere un errore?»

Si umettò le labbra. «Non si può sapere che cosa accadrà. È bellissimo, Leo. È irresistibile.»

«Hai paura dei tuoi desideri?»

«Ho paura di fare del male a Jack.»

«E allora non far niente senza il consenso di Jack,» dissi; mi sentivo più che mai un vecchio zio. «È molto semplice. Non lasciarti trascinare.»

«E se lo facessi, Leo? Quando ero nella sua stanza… l’ho visto che mi guardava così bramosamente…»

«Guarda così tutte le belle donne. Ma senza dubbio tu sai dire di no, Shirley.»

«Non so certa di voler dire di no.»

Scrollai le spalle. «Devo chiamare Kralick e dirgli che vorremmo andarcene?»

«No!»

«Allora dovrai essere la custode della tua castità, temo. Sei un’adulta, Shirley. Dovresti riuscire a non andare a letto con il tuo ospite, se non lo ritieni saggio. Non è mai stato un problema per te, finora.»

Shirley indietreggiò, sgomenta, a quell’ultima frase gratuita. Arrossì di nuovo, sotto la profonda abbronzatura. Mi guardò come se non mi avesse mai visto chiaramente. M’irritai con me stesso. Con poche parole avevo svilito un rapporto durato un decennio. Ma quel momento di tensione passò. Shirley si rilassò, come se si sforzasse interiormente, e finalmente disse con voce calma: «Hai ragione, Leo. Non sarà un problema.»

La sera fu sorprendentemente immune da tensioni. Shirley servì una magnifica cena, e Vornan fu prodigo di elogi; era, disse, il primo pasto che aveva mangiato in casa di qualcuno, e ne era entusiasta. Poi passeggiammo insieme, nel crepuscolo. Jack camminava a fianco di Vornan, io con Shirley, ma stavamo molto vicini. Jack indicò un toporagno che era uscito dal suo nascondiglio un po’ prima del solito e avanzava a balzi pazzi nel deserto. Notammo qualche coniglio e alcune lucertole. Vornan, come sempre, era sbalordito di vedere gli animali selvatici in libertà. Poi tornammo in casa per bere qualcosa, e ci sedemmo come quattro vecchi amici, senza parlare di niente in particolare. Vornan sembrava adattarsi perfettamente alla personalità dei suoi ospiti. Cominciai a pensare di essermi preoccupato per nulla.