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«Mettilo,» disse.

«Perché?»

«Così potrai imparare ad usarlo. Dovrai portarlo a Rio.»

Il sonno mi abbandonò. «Senti, Sandy, se credi che io intenda espormi a quelle folle…»

«Ti prego,» disse Vornan. «Ti voglio accanto a me, Leo.»

Kralick disse: «Vornan si è sentito sconcertato dalle masse di questi ultimi giorni, e non se la sente più di andare da solo. Mi ha pregato di chiederti di accompagnarlo. Vuole te.»

«È vero, Leo,» disse Vornan. «Non posso fidarmi degli altri. Con te vicino non ho paura.»

Era maledettamente persuasivo. Un’occhiata, una supplica, ed io ero pronto a passare insieme a lui in mezzo a milioni di fanatici urlanti. Gli promisi che avrei fatto quel che voleva, e lui mi toccò la mano e mormorò un ringraziamento, sommesso e commovente. Poi se ne andò. Nel momento stesso in cui uscì, mi resi conto che era una pazzia; e quando Kralick mi porse lo scudo antifolla, scossi il capo. «Non posso,» dissi. «Richiama Vornan. Digli che ho cambiato idea.»

«Suvvia, Leo. Non può capitarti niente.»

«Se non mi avventuro là in mezzo, non ci verrà neppure Vornan?»

«Infatti.»

«E allora abbiamo risolto il nostro problema,» dissi. «Rifiuterò d’indossare lo scudo. Vornan non potrà mescolarsi alle moltitudini. Lo isoleremo dalla fonte del suo potere. Non è forse questo che vogliamo?»

«No.»

«No?»

«Vogliamo che Vornan sia in grado di entrare a contatto con il popolo. La folla lo ama. Ha bisogno di lui. Non possiamo negarle il suo eroe.»

«E allora, dalle pure il suo eroe. Ma non con me al suo fianco.»

«Non ricominciare, Leo. Lui ha scelto te. Se Vornan non compare a Rio, questo rovinerà le relazioni internazionali e Dio sa che altro. Non possiamo correre il rischio di deludere le masse non mostrandolo.»

«E così mi butti ai lupi?»

«Gli scudi sono infallibili, Leo! Su. Aiutaci per l’ultima volta.»

L’intensità della proccupazione di Kralick era convincente, e alla fine accettai di mantenere la promessa fatta a Vornan. Mentre volavamo verso oriente, sopra le giungle rarefatte del bacino del Rio delle Amazzoni, ad una quota di trenta chilometri. Kralick mi insegnò a usare lo scudo antifolla. Prima che cominciassimo a scendere, per atterrare, ero già un esperto. Vornan era visibilmente soddisfatto che avessi accettato di accompagnarlo. Parlava con disinvoltura dell’eccitazione che provava in mezzo alla gente, e del potere che sentiva di esercitare su coloro che gli si stringevano intorno. Io ascoltavo e parlavo poco. Lo studiavo con cura, registrando nella mente l’espressione del volto, lo scintillio del sorriso, ed avevo la sensazione che la visita alla nostra epoca medievale si avvicinasse alla conclusione.

La folla, a Rio de Janeiro, superava tutto ciò che avevamo veduto fino ad allora. Vornan doveva comparire in pubblico sulla spiaggia; passammo per le strade della magnifica città, diretti verso l’oceano; ma la spiaggia non si vedeva, solo una marea di teste che orlava la battigia, una massa ondeggiante e mulinante, incredibilmente densa, che si estendeva dai grattacieli bianchi del lungomare fino al bordo delle onde, e persino nell’acqua. Non potevamo penetrare in quella massa, e dovemmo prendere un elicottero per attraversare la lunghezza della spiaggia. Vornan raggiava d’orgoglio. «Per me,» disse sottovoce. «Sono venuti qui per me. Dov’è la mia macchina per i discorsi?»

Kralick gli aveva fornito un altro apparecchio; un traduttore regolato in modo da volgere le parole di Vornan in un portoghese fluente. Mentre aleggiavamo su quella foresta di scure braccia levate, Vornan parlò; le sue parole tuonavano nella fulgida aria estiva. Non potrei garantire che la traduzione fosse esatta, ma le parole che egli usava erano eloquenti e commoventi. Parlò del mondo da cui veniva, elogiandone la serenità e l’armonia, descrivendolo immune dalle fatiche e dalle lotte. Ogni essere umano, disse, era unico e prezioso. Contrappose al suo mondo il nostro, travagliato e squallido. Una turba come quella che vedeva sotto di lui, disse, era inconcepibile nel suo tempo, perché solo una comune fame raduna una massa, e là non esisteva un simile bisogno disperato. Perché, chiese, perché volevamo vivere in questo modo? Perché non ci liberavamo dell’orgoglio e delle rigidità, perché non gettavamo via i dogmi e gli idoli, non abbattevamo le barriere che isolano ogni cuore umano? Ogni uomo ami il suo simile come un fratello. I falsi appetiti vengano aboliti. Il desiderio di potere perisca. Abbia inizio una nuova èra di benevolenza.

Non erano sentimenti nuovi. Altri profeti li avevano espressi. Ma lui parlava con una sincerità ed un fervore così mostruosi che sembrava coniare sul momento ogni cliché sentimentale. Era questo il Vornan che aveva riso in faccia al mondo? il Vornan che aveva usato gli esseri umani come balocchi e strumenti? Quell’oratore supplichevole, lusinghiero, affascinante? Quel santo? Io stesso stavo per mettermi a piangere, nell’ascoltarlo. E l’effetto su coloro che stavano sulla spiaggia… su coloro che seguivano la scena in collegamento televisivo normale… chi poteva calcolarlo?

La padronanza di Vornan era assoluta. La sua figura esile, ingannevolmente fanciullesca, occupava il centro della scena mondiale. Eravamo suoi. Usando come arma, adesso, la sincerità al posto dell’ironia, aveva conquistato tutti.

Finì di parlare. Poi mi disse: «Ora scendiamo in mezzo a loro, Leo.»

Indossammo gli scudi. Io ero sul ciglio del terrore; e lo stesso Vornan, mentre guardava oltre il bordo del portello dell’elicottero quella massa pazza e turbinante, sembrò esitare un momento, e si trasse indietro. Ma lo aspettavano. Lo acclamavano con voci rese rauche dall’amore. Una volta tanto il magnetismo funzionò nella direzione opposta. Vornan fu attirato.

«Scendi per primo,» mi disse. «Ti prego.»

Con spavalderia suicida mi afferrai alle maniglie e mi lasciai calare oscillando per trenta metri, sulla spiaggia. Una radura si aprì per accogliermi. Toccai terra e sentii sotto i piedi la sabbia. La gente si precipitò verso di me; e poi, vedendo che non ero il profeta, si fermò. Alcuni vennero respinti dallo scudo. Mi sentii invulnerabile, e la mia paura si calmò quando vidi che la luminescenza ambrata respingeva coloro che venivano troppo vicini.

Ora stava scendendo Vornan. Un rombo sordo si levò da diecimila gole, salì, divenne un urlo insopportabile. L’avevano riconosciuto. Vornan si fermò accanto a me, raggiante del suo potere, orgoglioso di sé, gonfio di gioia. Sapevo cosa stava pensando: per essere una nullità, se l’era cavata bene. Pochi uomini hanno la possibilità di diventare dèi in vita.

«Cammina al mio fianco,» disse.

Levò le braccia e avanzò lentamente, maestoso, divino. Io l’accompagnavo, come un umile apostolo. Nessuno badava a me: ma i devoti si avventavano verso di lui, le facce stravolte trasfigurate, gli occhi vitrei. Nessuno poteva toccarlo. Il campo prodigioso li teneva tutti lontani, e non c’era neppure l’urto della collisione. Percorremmo tre metri, sei, nove. La folla si apriva davanti a noi, e poi si richiudeva: nessuno voleva accettare la realtà dello scudo. Sebbene fossi protetto, sentivo la forza enorme repressa della folla. Eravamo circondati, forse, da un milione di brasiliani; forse cinque milioni. Era il momento più grande di Vornan. Avanti, avanti, avanti: salutava con cenni del capo, sorrideva, tendeva la mano, accettando benignamente l’omaggio che gli veniva reso.

Un uomo nero, gigantesco, nudo fino alla cintola, grandeggiò davanti a lui, lucido di sudore, con la pelle quasi purpurea. Restò profilato per un momento contro il fulgido cielo estivo. «Vornan!» gridò con una voce di tuono. «Vornan!» Tese entrambe le mani verso Vornan…