Parlando alla sorella, si rammentò della lettera che essa gli aveva data; e mentre il Minore Osservante rispondeva alla sfuriata di lui, con un'altra sfuriata, come dicessero i salmi un verso per ciascuno; egli alzò il suggello, aperse il foglio, vi piantò gli occhi sopra, e lesse colla mente:
«Molto reverendissimo signor pievano. Vengo con questo piccolo foglio a farle sapere, che questa volta i regicidi, scomunicati, scellerati Francesi, hanno il diavolo dalla loro; perchè i nostri vengono perdendo, dalla marina verso in qua ogni giorno. Sui monti di Nizza, fu ieri grosso parapiglia, e per quel che so se il Dio di Sabaot non ci aiuta, finirà male. Le dico che non dormo nè dì nè notte, e se mai avessi a fuggire, faccio conto di venire da lei, per scampare da quei briganti, e con questo mi sottoscrivo.
«Sì sì! sottoscrivi e vieni!-sclamò don Apollinare diventato tutt'altr'uomo nella voce, nel gesto, nel viso;-vieni e mi troverai qui colle braccia aperte!....
«Che è? che è?-dissero ad un tempo il frate e donna Placidia, mossi dal turbamento di lui, che aveva parlato ansando come chi patisse d'asma.
«C'è che i Francesi ci coglieranno colle calze bracaloni! Legga padre, legga quel che scrive il Rettore di Montefreddo!»
Il frate prese la lettera e lesse ad alta voce; donna Placidia si cacciò la mano nella saccoccia del grembiale, si recò tra le dita i pippori del suo rosario, e per poco non recitò la preghiera che soleva allo scoppiare dei temporali: «Santa Barbara, San Simone, liberatemi dal lampo e dal tuono.» Il pievano poi, mentre l'altro leggeva, cercato un suo vecchio cannocchiale, pose la mira sulle gole dei monti verso la marina, là dove sapeva di scoprire Montefreddo; terricciuola sulle creste dell'Appennino dalla quale la lettera veniva. Non durò fatica a vederne il campanile biancheggiante nel verde degli abeti, come vela solitaria in golfo lontano; e solo si tolse dall'occhio quell'arnese, quando il frate, letta la lettera una e due volte, gli disse:
«Signor pievano, mi pare che sarebbe da uomo prudente aver pazienza, circa a quel giovinotto di cui parlavamo or ora...
«Ben detto! sclamò il pievano-non è tempo da cercarsi nemici. Ma! Eravamo così tranquilli! Si faceva il dover nostro e stavamo come il pesce in mare! Bisognava che i Francesi diventassero pazzi, per darci queste noie...!»
Qui entrarono in ragionamenti che a noi non fanno gioco, e finirono mettendo in disparte ogni pensiero di conciar Giuliano alla loro maniera. L'indomani poi quando lo seppero partito, l'uno e l'altro rallegrandosi assai di quella partenza, la chiamarono fuga, e se ne lodarono molto.
In questa guisa Giuliano potè andarsene libero, ma la signora Maddalena e Marta, ignorando le intenzioni avute dal pievano, rimasero con una sorta di rimorso pei giudizi temerari fatti sopra di lui.
CAPITOLO V.
Vada Giuliano in buona ventura senza che mi pigli vaghezza di cavalcargli in groppa. Allora non mi potrei tenere dal descrivere i monti e le valli per cui aveva a passare, e sarebbe troppa tela. Dirò soltanto come quel giorno a notte chiusa, Rocco rivenisse menando a mano la giumenta del giovane, e smontasse alla porta della signora; la quale volle dargli cena con sè, e gli fece raccontare dell'andata, e dei discorsi, che, egli disse, erano stati corti e mesti. Tra via non avevano avuto altra molestia che di sentirsi, ad ogni tratto, chiedere novelle dei Francesi; e il colono s'era scompagnato dal padrone in sul mezzodì, lasciandolo in Alba all'osteria chiamata un tempo dello Scudo di Francia; donde faceva conto di riporsi in via l'indimani al proprio destino.
Così i nuvoloni addensatisi sul tetto della signora Maddalena, erano dissipati dal vento che soffiava dall'Apennino, portando innanzi al suo furore, altri nuvoloni gravidi di maggior tempesta. E già si sentiva quanto sarebbe stata furiosa nello scoppiare; soltanto a vedere come a C.... corressero giorni di gran travaglio, per la soldatesca, che vi aveva le stanze da parecchi mesi. Il generale Alemanno pareva sulle brage, attendendo di Lombardia aiuti che non capitavano mai; ed in cambio gli giungevano ogni tantino cavalieri in gran diligenza, i quali venivano dalle montagne verso la marina, per quello che si poteva argomentare, portatori di novelle non liete. A poco a poco, il popolo indovinava le verità tenute nascoste; e già si sapeva che i Francesi, in sul cominciar dell'aprile, ripigliate le offese, si ricattavano assai bene dei danni patiti l'anno innanzi, per forza dei Piemontesi, i quali gli avevano fugati a Raus, e afflitti di molte morti. Adesso tornavano grossi e minacciosi, e sebbene per quell'anno non fossero ancora venuti a battaglia di campo, tuttavia l'aspetto delle cose era da far presagire che sarebbero usciti vincitori.
In casa al signor Fedele, qualcuno aveva aperto il cuore alle voci di prossimi eventi, e Bianca sentiva una dolce promessa, da quell'aria procellosa che ho detto. Dopo che s'era confidata colla zia dell'amor suo per Giuliano, dicendo che tra l'Alemanno e la morte avrebbe scelta quest'ultima; la povera cieca, consigliatasi con Don Marco, la confortava a persistere nel rifiuto, ma con dolcezza. Il buon prete, ogni volta che lo poteva, dava ad esse novelle di quelle parti, donde rivenivano soldati piemontesi o alemanni feriti, narrando cose dell'altro mondo; e sgomentando i compagni che vi s'avviavano melanconici, come persone che sapessero d'andare a certa morte. Egli e le donne, ne provavano pietà; ma facevano voti per i loro nemici; il prete sperando da questi miglior vita pel popolo; esse pensando che a vincere il signor Fedele, nulla avrebbe giovato se non la calata di quei Francesi, i quali per quanto male si udisse di loro, alla fine delle fini dovevano essere uomini anch'essi. Era vero che si potevano credere cose terribili, a vedere le centinaia di famiglie liguri, che capitavano ogni giorno, coi loro preti, in lunghissime processioni: gli uomini carichi di masserizie; le donne coi bambini in sulle spalle; i vecchi menati dai nipoti, scalzi, piangolosi, affamati; ma che valeva? Interrogati come avessero abbandonati i loro villaggi, non sapevano che si dire; e coll'aspetto di chi va, nè sa perchè mova, nè dove riesca, narravano di danni patiti di casi atroci avvenuti nei borghi vicini. A conti fatti venivano cacciati a quel modo dalla paura. Maria poneva mente a una cosa, ed era che non s'udiva raccontare da quella gente, che i Francesi avessero fatto onta alle donne. E da questo traeva conforto a sperare, che il diavolo fosse men brutto di quello si credeva; perchè se i Francesi rispettavano le donne, di certo erano in tutto migliori degli Alemanni; questi avendo dato a parlare di violenze fatte qua e là a donne del contado, che per quello se ne diceva non erano state poche. E non si tenevano dal menarne vanto i loro uffiziali, chè anzi vi facevano sopra le grosse risate; e la cieca che sapeva queste cose da don Marco, pensava come la pensarono indi a poco i popoli delle Langhe, i quali lasciarono per ricordo un proverbio che diceva di quei Francesi d'allora «meglio essi nemici, che gli Alemanni amici.»
Ma sino a quel punto, i più non vedevano altro Dio che costoro; e come dèi gli adorava Marocco, vecchio volpone, che conduceva in C.... un caffeuccio, proprio in sulla piazzetta del borgo. Egli se gli era tenuti sempre bene edificati, e si dava attorno a servirli colla moglie che aveva bella: nè faceva segno di recarsene, dove questa sorridesse ad alcuno di essi, o rispondesse piacevolmente ai loro motti arditi. Pur di brancicar monete, sarebbe stato ad occhi chiusi tutta la vita; e già dacchè gli Alemanni erano nel borgo, aveva messo in serbo di belle doppie. La sua era una botteguccia a modo, e antica al mestiere che ei vi faceva dentro; come si vedeva all'insegna sopra la porta, dalla quale si sarebbe potuto cavare la più bella vignetta, che abbia mai ornato frontispizio di poema eroicomico. Era una tavola, dipinta di molte figure, che volevano essere la meglio parte soldati, assorti in enormi stivaloni, e stranamente ingoffitti da immani cappellacci. Effigiati com'erano a sedere, guai se quei soldati si fossero levati in piedi; e peggio se in atto di scaraventare i bicchieri e le bottiglie che avevano innanzi; i cocci ne sarebbero andati sin chi sa dove, tanto erano tremendi in vista, pei mostacchi non più veduti, e per occhi che mostravano il bianco, come di cani ringhiosi. A ciascuna di quelle figuracce, Marocco sapeva dare un nome; e a udirlo, erano ritratti d'antichi Uffiziali del Re di Sardegna, stati a presidio nel borgo, per far la guardia alla repubblica di Genova, che non entrasse in corpo al loro Sovrano. Questo era un gran giocator di pallone; quest'altro amoreggiava la madre d'una signora del borgo, che viveva ancora; quello faceva tremar la gente solo che s'affacciasse alla finestra... Marocco conosceva di tutti vita e miracoli, sapeva dov'erano nati, dove morti, e fino dove sepolti. «La mia bottega, diceva egli mescendo agli Alemanni, fu sempre il convegno dei valorosi! Il conte tale, il cavalier tale, tutti nobiloni dei primi casati del regno, venivano qui, ed erano soldati allegri e spenditori; ma come loro signori, in coscienza non ve n'ho avuti mai!» E pigliava un gusto matto, a farsene far fede dai signorelli del borgo, i quali venivano a giuocare un tantino in sul desinare; cari una volta ora gabbati da Marocco, che si faceva udire a chiamargli scaldapanche. Buscava da essi qualche scapellotto, ma pur di far ridere i suoi signori Alemanni, non vi badava.