Un giorno, (che non monta sapere qual fosse, o decimo o ventesimo dalla partenza di Giuliano da D....); nella bottega di Marocco, si faceva un gran dire della guerra ricominciata. Era voce che il generale Alemanno avesse ricevuto ordine di recarsi con tutta l'oste verso Nizza; perchè i Francesi venivano, cacciando di là i Piemontesi, vinti a Dolceaqua, al colle delle Forche, a Raus, e si parlava della rocca di Saorgio investita. I discorsi s'incrociavano come spade, e tutti parevano là dentro sulle brage, pel gran desiderio di menar le mani. Un solo non si mescolava in quei fervori; ed era quell'uffiziale, che si sentiva morire di Bianca, e non vedeva l'ora di poterla sposare. Stava raccolto in un angolo, gomitoni su d'un deschetto, che sebbene fosse sodo, pareva lì per isfasciarsi sotto quel peso. Di tanto in tanto beveva un sorso d'acquavite ad un grosso bicchiere che aveva innanzi; e chi avesse potuto vedere i sussulti del suo cuore, di certo diceva che bevesse per darsi coraggio, a udire i compagni parlare in quei modi di guerra e di morte. E sì che egli era prode e cimentoso; nè si conosceva chi fosse più esperto di lui, a condurre partite notturne, a farla da scorgitore, a caricare il nemico menandogli addosso una ruina di cavalli: ma tant'è non poteva farsi vivo, e stava mesto in quella guisa; quando capitò alla bottega un giovano trombetto, il quale, data un'occhiata intorno, gli fu dinanzi, e fatto quella sorta di scambietto, che gli ussari costumano nel salutare, recossi la mano alla visiera e gli disse: «signor uffiziale, il generale la vuole.»
L'uffiziale accennò d'aver capito, il trombetto ripartì ed egli gli tenne dietro, lontano pochi passi.
Il generale era un vecchio prode della guerra dei sette anni, ed abitava di faccia alla chiesa, una delle migliori case del borgo. I signori che l'albergavano, s'erano ridotti stretti da averne disagio; ma pur di piacere a quell'uomo rigido e sornione, pur d'averne un sorriso benevolo, si sarebbero acconciati a star sui solai: e nelle molte stanze occupate da lui, avevano accozzati quanti arredi e quadri tenevano in casa, che pareva una dogana. Le volte che egli gli degnava, si sbracciavano a mostrarsi più alemanni di lui: e rammentavano d'aver visti i proprii padri e tutto il borgo, piangere nell'anno 1737, ch'essi chiamavano sottovoce funesto, perchè le novanta terre delle Langhe erano state cedute in quello, dall'Imperatore al Re di Sardegna. Narravano, con sazievole loquacità, a tutta la canatteria di soldati scribi, ond'era ingombro il quartiere, come avessero avuto uno zio, morto a Belgrado, capitano ai servigi dell'Impero; e ne ponevano in mostra il ritratto, meravigliando che quei soldati non s'inginocchiassero a salutarlo.
Quel giorno, in quella casa, tutti s'erano accorti del tempo ch'era cattivo: e quando videro l'uffiziale entrar dal generale, lo salutarono, gli fecero dietro gli occhi grossi; e osarono compiangerlo, perchè certo andava a farsi scaricare addosso qualche sfuriata.
Com'egli fu dentro; e vide il generale imbroncito, fece come quei soldati, che, dovendo starsi colle armi al piede, bersaglio d'un nemico cui non possono assalire, chinano il capo rassegnati a qual sorta di grandine stia per cadere. Recò la destra alla visiera, e rimase poco oltre la soglia, stecchito, gli occhi negli occhi del generale: il petto sporto, e l'altra mano giù dall'anca, che pareva di legno posticcia.
«Cinque passi in qua!-disse asciutto asciutto il generale.., e l'altro avendo fatti i cinque passi contati, senza scomporsi:-Signor uffiziale-continuò-ho qui per lei un plico, che mi si raccomanda molto da Vienna; vi deve essere dentro la licenza datale, di sposare una zitella di questa bicocca, e su questo non ho a ridire. Ma ella mi ha taciuta la dimanda fatta di qua a sua Maestà; (qui salutò come se l'Imperatore fosse stato là a udire) ella non s'è governata da quel soldato che crede d'essere ed è. Sia grata, non a me, ma al rispetto che ho per la sua promessa sposa, a me ignota, se mi accontento di consigliarla a non dimenticare fra le gioie del matrimonio, che noi siamo qui per menar colpi di spada in servizio dell'imperatore.»
E salutando una seconda volta il nome dell'Imperatore, porse la carta all'uffiziale, che togliendola colla sinistra, e udendosi dire: «vada», fece il suo scambietto, quasi barcollando, poi diè di volta sui tacchi tutto d'un pezzo, lasciandone il segno profondo e polveroso sull'ammattonato.
Sebbene le parole del generale, gli fossero parute troppo acerbe, egli discese le scale speditamente, come uomo lieto; corse difilato al suo quartiere, e dalla voglia spasimata di leggere quelle carte, ogni passo gli si faceva un miglio. Appena potè alzare i sigilli e aprire i fogli, brillò tutto nel volto e nella persona. Era proprio la licenza, che i suoi, gente d'alto stato, gli avevano ottenuta dall'Imperatore. Essi n'erano in collera; ma come lo sapevano uomo di forti propositi, s'erano acconciati a quel fatto maldicendo la maliarda italiana, e pregando per lettera il generale a vedere almeno che la sposa fosse zitella dabbene.
Come ebbe letto, l'uffiziale si fregò le mani, si rassettò addosso i panni, diè una scossa del capo; e via di buona gamba a casa il signor Fedele.
Costui pareva fosse all'uscio ad aspettarlo; perchè egli non aveva per anco stesa la mano al cordoncino del campanello, e già l'imposta s'apriva, lasciando vedere la persona dell'arzillo leguleio; il quale presolo per mano, lo trasse dentro con paterna dimestichezza.
Messisi a sedere, là proprio dove, giorni innanzi, la signora Maddalena e il signor Fedele avevano avuto il colloquio che noi sappiamo; l'uffiziale fu primo a parlare della faccenda, e dopo lungo discorso, porse le carte allo suocero, che gli pareva un Dio.... Questi presele come roba che aveva in pratica, si pose a guardarle ammirando l'aquile, le corone, i suggelli; tutte cose significanti la razza gentilesca e il gran luogo ove il barone era nato. Non vi lesse dentro, perchè non ci si sarebbe raccappezzato; ma assicurando l'uffiziale che non era mestieri di tanto, ripose i fogli, gli strinse le mani, vezzeggiandogliele e guardandolo in guisa, che il poveretto, a vederlo come si lasciava fare, aveva l'aspetto d'un leone in balia d'una volpe spelacchiata.
«Ed ora se le par tempo-disse alfine il barone dolcemente-vorrei vedere Bianca...»
Il signor Fedele balzò ritto, come per rispondere al desiderio più ratto del desiderio stesso; e corse per la fanciulla nell'altre stanze, lasciando lui colla mano sul cuore pieno di un senso, che gli rammentava gli strani ribollimenti di sangue provati sul cominciare delle battaglie. Il pover'uomo aveva più di trent'anni, e amava come un giovinotto di qua dai venti.