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Il pezzo successivo era una satira bonaria di vita cittadina, talmente zeppa di allusioni locali che Gibson poté apprezzarla solo in minima parte. Comunque i lazzi del personaggio principale, un funzionario in preda a un continuo esaurimento nervoso, evidentemente ricalcato sul modello del maggiore Whittaker, strapparono al pubblico scoppi frenetici di risa, che aumentarono ancora quando il personaggio cominciò a essere assediato da un tale che lo tempestava di. domande idiote, segnandosi le risposte in un libriccino misterioso (che perdeva continuamente), e che tra una domanda e l’altra si affannava a fotografare tutto quello che vedeva.

Ci. volle un po’ prima che Gibson capisse a chi volevano alludere, e quando finalmente lo capì, diventò rosso come una roccia marziana, poi si rese subito conto che c’era una sola cosa da fare: ridere più forte degli altri.

Lo spettacolo si concluse con un coro generale, tipo di divertimento per il quale Gibson non aveva molte simpatie. Lo trovò però meno insopportabile di quello che si sarebbe aspettato, e mentre univa la sua voce a quelle degli altri nei ritornelli, si sentì prendere da un’improvvisa onda di emozione che gli impedì di continuare. Per un attimo rimase così, unico in silenzio fra tutta la folla cantante, a chiedersi che cosa diavolo gli fosse successo.

Ma le facce che vedeva intorno gli diedero subito la risposta: erano facce di uomini e di donne uniti da una causa comune, che andavano verso una comune mèta, e ognuno dei quali sapeva che la sua opera e il suo impegno erano essenziali per la vita della comunità. Quella gente provava un senso di pienezza che pochi sentivano sulla Terra, dove da tempo tutte le frontiere erano state raggiunte e superate. Era un sentimento ingigantito e reso ancor più intimo dal fatto che Porto Lowell era ancora talmente piccolo che i suoi abitanti si conoscevano uno per uno.

Fu forse in quell’attimo che Martin Gibson rinunciò alla Terra per Marte. Nessuno lo seppe mai. Anche quelli che aveva vicini, se pure si accorsero di qualcosa, notarono forse soltanto che lui aveva smesso di cantare ma per tornare subito a unirsi al coro con raddoppiata energia.

A gruppi di due o tre, chiacchierando, ridendo e cantando, il pubblico si disperse lentamente nella notte. Gibson e i suoi amici, dopo aver salutato il Presidente e il maggiore Whittaker, tornarono verso l’albergo. I due uomini che virtualmente governavano Marte lì accompagnarono con lo sguardo finché li videro sparire nelle anguste strade, poi Hadfield si rivolse alla figlia.

«Adesso corri a casa» le disse con dolcezza. «Io e il maggiore Whittaker andiamo a fare due passi. Rientreremo tra mezz’ora.»

Rimasti soli i due uomini attesero ancora per un po’, rispondendo ai saluti che venivano loro rivolti dai passanti. Infine la minuscola piazza restò deserta. Il maggiore che aveva intuito di che cosa Hadfield voleva parlargli, aspettava con un po’ di apprensione.

«Ricordami di congratularmi con George per lo spettàcolo di stasera» cominciò Hadfield.

«Già» disse Whittaker. «Niente male la botta rivolta al nostro comune rompiscatole, Gibson. Immagino che aprirai subito un’inchiesta sulla sua ultima prodezza.»

A un’allusione talmente diretta il Presidente rimase alquanto sconcertato.

«Veramente è un po’ troppo tardi… e in fondo non ci sono prove che ne sia venuto un gran guaio. Però sto pensando a quello che bisogna fare per impedire che in futuro succedano altri incidenti del genere.»

«Non si può neppure farne una colpa al conducente. Era completamente all’oscuro del Progetto ed è stato per pura e sfortunata combinazione che è andato a ficcare il naso dove non doveva.»

«Credi che Gibson sospetti qualcosa?»

«Francamente non lo so. È un tipo piuttosto astuto, che sa dissimulare con molta abilità.»

«Guarda un po’ se mi doveva capitare tra i piedi un giornalista proprio adesso. E lo sa il cielo quello che ho fatto per tenermelo alla larga!»

«È probabile che non ci metta molto ad accorgersi che qui sta maturando qualcosa. Secondo me c’è un’unica soluzione.»

«Quale?»

«Parlargli schiettamente. Non dirgli tutto, magari, ma qualcosa sì. L’essenziale, almeno.»

Proseguirono in silenzio per alcuni metri. Poi Hadfield disse: «Mi sembra una decisione drastica. Questo presuppone una fiducia completa in Gibson.»

«L’ho seguito parecchio in queste ultime settimane. Sostanzialmente è dalla nostra parte. Noi stiamo facendo proprio quello di cui Gibson ha scritto per tutta la vita, anche se non ne è del tutto convinto. Sarebbe invece deleterio lasciarlo tornare sulla Terra con un sospetto. Molto meglio dirgli almeno in parte di che cosa si tratta.»

«Ci penserò» disse Hadfield tornando sui propri passi. «Naturalmente molto può dipendere dalla rapidità con cui si attuerà il progetto.»

«Non si sa ancora niente di preciso?»

«No, maledetti loro! Questo è il guaio con gli uomini di scienza, non si riesce mai a cavargli di bocca una data precisa.»

Passarono due innamorati, stretti l’uno all’altro, completamente ignari della loro presenza. Whittaker fece un risolino.

«A proposito» disse, «ho l’impressione che quel giovanotto abbia fatto colpo su Irene. Come si chiama… ah, sì, Spencer.»

«Può darsi. Certo fa piacere vedersi intorno una faccia nuova. E poi i viaggi interspaziali sono molto più romantici del mestiere noioso che siamo costretti a fare noi quassù.»

«A tutte le belle ragazze piacciono i marziani, vero? Be’, non dirmi poi che non ti avevo avvertito!»

Che qualcosa d’insolito fosse accaduto a Jimmy, Gibson lo capì quasi subito, e gli ci volle poco per arrivare alla spiegazione del brusco cambiamento avvenuto nel ragazzo. Approvò in pieno la scelta di Jimmy. Dal poco che aveva potuto capire, Irene doveva essere una gran brava ragazza, molto semplice, il che non guastava, ma soprattutto con un carattere allegro, anche se Gibson l’aveva sorpresa un paio di volte con espressione malinconica. Ma anche questo poteva essere motivo di fascino. Inoltre Irene era estremamente graziosa. Gibson aveva ormai raggiunta l’età in cui si capisce che la bellezza non è sempre essenziale, ma era giusto che a questo proposito Jimmy avesse opinioni diverse.

A tutta prima decise di non parlare della cosa e aspettare che fosse Jimmy a intavolare il discorso. Molto probabilmente il ragazzo s’illudeva ancora che nessuno si fosse accorto di niente. Ma la sua decisione venne meno quando Jimmy gli annunciò che aveva intenzione di cercarsi un’occupazione temporanea a Porto Lowell. In fondo era una cosa abbastanza normale. Gli equipaggi spaziali lo facevano spesso. Tra un viaggio e l’altro gli astronauti si stancavano presto di non avere niente da fare. Mackay, per esempio, aveva già avviato un corso serale di matematica, mentre il povero dottor Scott non aveva più avuto un minuto di respiro dal momento in cui aveva messo piede a Porto Lowell perché l’ospedale locale l’aveva requisito immediatamente per suo uso e consumo.

Ma Jimmy, a quanto sembrava, aveva voglia di cambiare completamente mestiere. Nella sezione contabile erano a corto di personale, spiegò, e lui riteneva che con le sue cognizioni di matematica avrebbe potuto essere d’aiuto. In appoggio alla sua tesi portò un’argomentazione talmente convincente che Gibson lo stette ad ascoltare con vero piacere.

«Mio caro Jimmy» disse, quando il ragazzo ebbe concluso, «perché dici tutto questo proprio a me? Non c’è niente che te lo può impedire, se tu lo desideri veramente.»

«Lo so» rispose Jimmy, «ma voi vedete spesso il maggiore Whittaker, e se gli parlaste questo faciliterebbe molto la cosa.»

«Se proprio ci tieni posso parlarne col Presidente.»

«Oh, no… preferirei…» Jimmy s’interruppe. Poi, cercando di rimediare a quello scatto d’impulsività proseguì: «Non mi sembra il caso di disturbarlo per simili sciocchezze.»