Выбрать главу

«Senti un po’, Jimmy» disse Gibson, decidendo di andare al punto. «Perché non parli schietto? L’idea è tua, o è stata Irene a mettertela in testa?»

La faccia di Jimmy assunse un’espressione talmente singolare da rivelare in pieno la sua sorpresa.

«Oh» balbettò infine, «non sapevo che sapeste. Ma non lo direte a nessuno, vero?»

Gibson stava per fargli notare che una simile precauzione era assolutamente inutile quando qualcosa nello sguardo del ragazzo lo fece desistere da qualsiasi commento ironico. La ruota aveva finalmente compiuto il suo giro: lui era tornato a quella sua lontana ventunesima primavera. Comprendeva pienamente ciò che Jimmy sentiva in quel momento, e sapeva inoltre che qualsiasi cosa gli avesse riserbato l’avvenire, niente avrebbe uguagliato le emozioni che il ragazzo stava scoprendo ora, e che erano per lui nuove e fresche come lo erano state per il primo uomo nel primo mattino del mondo.

«Te lo prometto» rispose quasi con commozione.

11

La luce ambrata si accese, Gibson bevve un ultimo sorso d’acqua, si schiarì discretamente la voce, e controllò che le cartelle del dattiloscritto fossero disposte nel giusto ordine. Nella cabina di regia il tecnico fece un cenno col pollice e la luce ambrata diventò di colpo rossa.

«Salute, Terra. Qui, Martin Gibson che vi parla da Porto Lowell, Marte. Per noi oggi è un grande giorno. Questa mattina è stata gonfiata la nuova cupola, e adesso la città è cresciuta quasi della metà rispetto alle prime proporzioni. Non so se riuscirò a comunicarvi la sensazione di trionfo che questa nuova conquista suscita in noi, tutta la gioia per la vittoria nella lotta che stiamo combattendo contro Marte. Ma farò del mio meglio.

«Voi tutti sapete che è impossibile per l’uomo terrestre respirare l’atmosfera marziana troppo rarefatta e praticamente priva di ossigeno. Porto Lowell, la nostra città principale, è costruita sotto sei cupole di materiale plastico trasparente, sostenute dalla pressione dell’aria interna, aria che ci permette di respirare perfettamente, benché sia molto più leggera della vostra.

«Nel corso di quest’ultimo anno si è proceduto alla costruzione di una settima cupola, grande il doppio delle altre. Ve la descriverò come l’ho vista ieri quando ci sono entrato prima che iniziasse l’operazione di gonfiamento.

«Immaginate un grande spazio circolare del diametro di quasi mezzo chilometro, circondato da uno spesso muro di vetrocemento alto quanto un uomo. In questo muro si aprono i passaggi alle altre cupole, le cui uscite conducono al verdissimo paesaggio marziano che ci circonda. Questi passaggi sono semplici tubi di metallo muniti di grandi porte che si chiudono automaticamente qualora si verifichi una fuga d’aria da una delle cupole. Come vedete, qui su Marte non ci fidiamo a mettere tutte le nostre ricchezze in un’unica cassaforte!

«Quando ieri sono entrato nella Cupola Sette, tutto questo grande spazio era coperto da una specie di lenzuolo trasparente assicurato al muro circostante. Questo lenzuolo giaceva floscio al suolo formando pieghe enormi sotto cui fummo costretti a farci strada a fatica. Provate a immaginare come si sta all’interno di un pallone sgonfiato, e capirete esattamente la sensazione che ho provato io là sotto. L’involucro della cupola è di plastica resistentissima, di una trasparenza quasi perfetta ed estremamente flessibile: come una specie di cellophane molto spesso.

«Naturalmente ero munito di maschera a ossigeno perché, per quanto fossimo isolati dal mondo esterno, nella cupola praticamente non c’era ancora aria. La stavano pompando il più rapidamente possibile, ed era interessante osservare il pigro muoversi delle immense pieghe di materia plastica a mano a mano che la pressione aumentava.

«Questa operazione durò per tutta la notte. Questa mattina sono tornato alla cupola. L’involucro si era gonfiato sino a formare un’enorme bolla al centro, mentre tutto attorno era ancora piatto. Questa specie di fantastica bolla di sapone del diametro di quasi cento metri cercava di spostarsi continuamente, con movimenti da creatura viva, e seguitava a gonfiarsi.

«Verso metà mattina era talmente cresciuta che già si vedeva l’intera cupola prendere forma: l’involucro si era completamente sollevato dal suolo. Il pompaggio venne interrotto per un certo tempo per controllare che non ci fossero fughe, e fu poi ripreso verso mezzogiorno. Intanto era iniziata anche l’azione del Sole che con il suo calore contribuiva al dilatarsi dell’aria.

«Tre ore fa si è concluso il primo stadio di gonfiamento. Ci siamo tolte le maschere e abbiamo lanciato un fragoroso evviva. L’aria non era ancora sufficientemente densa per essere confortevole ma era comunque respirabile, e i tecnici hanno potuto proseguire nel loro lavoro senza l’intralcio delle maschere. Nei prossimi giorni saranno impegnati nei necessari collaudi e nei controlli di eventuali fughe. Ce ne sarà probabilmente qualcuna, ma sino a quando la perdita d’aria non supera un certo livello non c’è motivo di preoccupazione.

«Come vedete, dunque, abbiamo spinto un poco più oltre le nostre frontiere marziane. Ben presto sotto la Cupola Sette si allineeranno i nuovi fabbricati, e stiamo già facendo progetti per la creazione di un minuscolo parco e persino di un lago che sarà, almeno per ora, l’unico di questo pianeta perché, come sapete, qui l’acqua non può sussistere per molto in spazio aperto.

«Certo, siamo solo al principio, e un giorno tutto questo ci sembrerà ben poca cosa. Per il momento è un bel passo avanti nella nostra battaglia, e per noi rappresenta la conquista di una nuova fetta di Marte. E soprattutto significa spazio vitale per altre mille persone almeno. Mi avete ascoltato, Terra? Buona sera.»

La luce rossa si spense. Per un attimo Gibson restò come inchiodato davanti al microlono, assorto nella riflessione che le sue prime parole, pur viaggiando nello spazio alla velocità della luce, sarebbero arrivate sulla Terra solo allora. Infine raccolse pensosamente le sue cartelle e passando dalle porte imbottite rientrò nella sala di regia.

Una segretaria gli porse un ricevitore. «Vi hanno chiamato in questo momento al telefono, signor Gibson» disse. «Non vi lasciano nemmeno un attimo di respiro!»

«Già» fece Gibson ridendo. «Pronto, qui parla Gibson.»

«Sono Hadfield. Congratulazioni, Gibson. Ho ascoltato la vostra trasmissione. Ero collegato con la stazione locale.»

«Sono contento che vi sia piaciuta.»

«Come probabilmente immaginate, conosco quasi tutti i vostri scritti precedenti. Mi ha molto interessato notare il vostro mutamento di posizione.»

«Come sarebbe a dire?»

«In principio scrivevate in terza persona plurale, adesso siamo passati al noi. Forse non mi sono espresso con molta eloquenza, ma con chiarezza certamente.»

Poi, prima di dare a Gibson il tempo di replicare, proseguì: «In realtà vi ho telefonato, per dirvi che finalmente ho potuto sistemare la vostra gita a Skia. Abbiamo un apparecchio a reazione per passeggeri che ci va mercoledì. A bordo c’è posto per tre persone. Whittaker vi darà tutti i particolari. Arrivederci.»

La comunicazione venne chiusa. Pensoso ma assai soddisfatto, Gibson depose il ricevitore. Quello che il Presidente gli aveva detto corrispondeva esattamente alla verità. Era arrivato da un mese circa, e in quei trenta giorni il suo atteggiamento nei riguardi di Marte era mutato radicalmente. Le prime emozioni entusiastiche e un poco infantili erano durate solo pochi giorni, le successive delusioni, un po’ più a lungo. Ora conosceva a sufficienza la colonia per considerarla con un interesse più distaccato sì, ma non del tutto razionale. Esitava ad analizzare questo suo stato d’animo per timore di distruggerlo totalmente. Esso proveniva in parte, lo sapeva, dal rispetto sempre crescente per le persone che lo circondavano. Le ammirava per la loro competenza, per il buon senso, per la prontezza e, al tempo stesso, il freddo calcolo con cui sapevano affrontare rischi anche gravi, tutte qualità che avevano consentito loro non solo di sopravvivere in un ambiente ostile ma di gettare le fondamenta della prima civiltà extra-terrestre.