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Era evidente che stava cercando una buona scusa per andarsene di lì alla svelta.

«In ogni caso sono sicuro che siamo in grado di correre più in fretta e di saltare più in alto di qualsiasi animale o essere marziano.»

Gibson si era augurato che l’affermazione del ragazzo fosse dettata più dalla logica che dal desiderio d’avventura.

«Comunque non intendo correre rischi» aveva detto in tono fermo. «Adesso andiamo subito ad avvertire gli altri. Poi decideremo sul da farsi.»

Impiegarono un certo tempo per convincere gli altri che parlavano sul serio, e che uno scherzo in quelle circostanze sarebbe stato fuori luogo. Eppure era una storia incredibile. Ognuno di loro sapeva perfettamente perché non poteva esserci vita animale su Marte. Era una semplice questione di metabolismo: gli animali bruciano ossigeno più in fretta delle piante, e per questo non potevano esistere in un’atmosfera così rarefatta e praticamente inerte. I biologi non avevano tardato a sottolineare questo fatto non appena le condizioni di vita sulla superficie marziana erano state accertate, e da dieci anni ormai la possibilità dell’esistenza di vita animale sul pianeta era stata scartata da tutti, tranne che da qualche sognatore inguaribile.

«Anche ammesso che abbiate veramente visto quello di cui andate farneticando, avrà sicuramente una spiegazione naturale» disse infine Hilton.

«Vai ad accertartene di persona» disse Gibson. «Io ti ripeto che è un sentiero vero e proprio, e ben tracciato, per giunta.»

«Si capisce che ci vado» disse Hilton

«E ci vengo anch’io» disse il pilota.

«Un momento. Non possiamo andare tutti. Almeno uno deve restare di guardia all’apparecchio.»

«Io non posso. Sono stato io a scoprire il sentiero» disse Gibson con fermezza.

«Ho capito, qui si sta preparando un ammutinamento» disse Hilton. «Va bene. Chi ha una moneta? Faremo a testa e croce.»

«Per me, è un viaggio inutile» mormorò il pilota scuotendo la testa, quando seppe che la sorte l’aveva scelto per restare a bordo. «Tra un’ora dovete essere di ritorno, e se ci mettete di più voglio che mi riportiate come minimo un’autentica principessa marziana da Mille e una notte.»

Malgrado il suo scetticismo, Hilton stava invece prendendo la cosa con maggiore serietà.

«Essencio in tre, dovremmo poterci difendere anche se incontrassimo qualcosa di spiacevole» disse. «Ma nel caso in cui nessuno di noi tornasse, voi non muovetevi di qui e non venite a cercarci per nessun motivo. Capito?»

«Va bene, mi legherò al sedile.»

Il terzetto si avviò lungo la valle in direzione della piccola foresta. Gibson faceva strada. Raggiunte le alte ed esili fronde di alga marina, non ebbero difficoltà a ritrovare la pista. Hilton la studiò attentamente per vari minuti, mentre Gibson e Jimmy lo guardavano con l’aria di dire: "Avevamo ragione o no?". Quindi disse:

«Dammi il tuo flash, Martin. Vado avanti io.»

Sarebbe stato sciocco discutere. Hilton era il più alto, il più forte, il più agile. Senza protestare, Gibson gli tese la sua arma di fortuna.

Non è possibile provare una sensazione più inquietante di quella che dà il camminare lungo uno stretto sentiero, tra pareti erbose, sapendo che da un momento all’altro ci si può trovare a faccia a faccia con un essere totalmente sconosciuto e probabilmente ostile. Gibson cercò di farsi coraggio ricordando che gli animali che non hanno mai visto l’uomo di rado sono ostili… ma le eccezioni a tale regola erano purtroppo numerose.

Erano giunti quasi al centro della piccola foresta quando si trovarono di fronte a una biforcazione. Hilton scelse di andare a destra, ma dopo pochi metri si accorse che quel sentiero finiva in una radura larga una ventina di metri, dove tutte le piante erano state tagliate o mangiate, quasi rasoterra. In quel punto spuntavano soltanto tronconi di radice che però cominciavano già a mettere nuovi germogli. Era evidente che quella radura era stata abbandonata già da diverso tempo dagli esseri che se ne erano serviti.

«Sono erbivori» mormorò Gibson.

«E anche abbastanza intelligenti» soggiunse Hilton. «Come vedi hanno lasciato le radici in modo che le piante rispuntassero. Andiamo a vedere sull’altra biforcazione.»

Cinque minuti dopo trovarono la seconda radura. Era molto più vasta della prima, e non era deserta.

Hilton impugnò più saldamente il flash mentre Gibson sollevava la macchina fotografica con gesto istintivo e scattava le fotografie destinate a diventare le immagini più famose di Marte. Poi i tre uomini si calmarono e rimasero ad aspettare che i Marziani si accorgessero della loro presenza.

In quell’attimo furono spazzati via secoli di fantasia e di leggenda. Tutti i sogni dell’Uomo sull’esistenza di esseri non molto dissimili da lui svanirono, e con essi scomparvero senza lasciare rimpianti i mostri tentacolari di Wells e le schiere di orrori indescrivibili. Scomparve anche il mito delle intelligenze freddamente disumane che guardano con distacco il misero Homo Sapiens dall’alto della loro immensa saggezza, pronte a schiacciarlo con la stessa impersonale insensibilità con cui l’uomo è pronto a distruggere un insetto noioso.

Le creature raccolte nella radura erano dieci in tutto, ed erano troppo intente a mangiare per accorgersi degli intrusi che le stavano osservando. Ricordavano un po’ i canguri, e i loro corpi ovoidali si bilanciavano su due lunghi e sottili arti posteriori. Erano completamente privi di pelo, e la loro pelle aveva una curiosa lucentezza cerea che faceva pensare al cuoio. Due esili arti anteriori, che sembravano completamente senza ossa, spuntavano dalla parte superiore del corpo e terminavano in specie di zampe simili agli artigli di un uccello ma troppo piccole ed esili per essere di grande utilità pratica. La testa poggiava direttamente sul tronco, senza il minimo accenno di collo, e nella testa c’erano due grandi occhi di colore indefinibile con le pupille dilatate. Niente naso, ma solo una curiosa bocca triangolare munita di tre tozze protuberanze, specie di becchi, con cui le bizzarre creature divoravano il fogliame. Le orecchie grandissime, quasi trasparenti, pendevano inerti, vibrando solo di tanto in tanto e a volte chiudendosi a forma di tromba, dando la sensazione che anche in quell’atmosfera estremamente rarefatta servissero come efficacissimi rivelatori di suono.

Il più grosso di quegli animali era alto quasi come Hilton. Gli altri erano molto più piccoli. Il più piccolo di tutti, inferiore al metro, poteva benissimo essere definito un cucciolo. Saltellava freneticamente nel disperato tentativo di raggiungere le foglie più appetitose, e ogni tanto emetteva esili suoni flautati che facevano tenerezza.

«Fino a che punto credi che siano intelligenti?» mormorò Gibson.

«È difficile dirlo. Osserva però come hanno cura di non distruggere le piante che mangiano. Naturalmente può trattarsi di semplice istinto, simile a quello delle api che non si sbagliano mai nel costruire i loro alveari.»

«Si muovono molto lentamente, non ti pare? Chissà se sono animali a sangue caldo.»

«Non vedo perché dovrebbero avere sangue, sia caldo sia freddo. Il loro metabolismo deve essere tutto speciale e molto insolito per permettere loro di sopravvivere in un clima come questo.»

«Sarebbe quasi ora che si degnassero di notare la nostra presenza.»

«Il grosso l’ha notata. L’ho sorpreso a guardarci con la coda dell’occhio. E non vedi come seguita a puntare le orecchie dalla nostra parte?»

«Avviciniamoci.»

Hilton rifletté un istante.

«Non vedo come potrebbero farci del male anche se lo volessero» disse poi. «Quelle loro zampe mi sembrano molto deboli. Però ho l’impressione che i loro triplici becchi potrebbero lasciare il segno. Avanzeremo molto lentamente. Se ci caricano, io tarò scattare il flash mentre voi scapperete. Sono convinto che nella corsa siamo più veloci di loro. Non hanno certo le caratteristiche dei gran corridori.»