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Muovendosi con una lentezza che nell’intenzione degli esploratori improvvisati voleva essere più rassicurante che furtiva, i tre avanzarono nella radura. Ormai non c’era più dubbio che i Marziani li avessero visti, perché subito una mezza dozzina di grandi occhi calmi li fissarono, ma per poco. Le creature marziane distolsero subito lo sguardo per posarlo nuovamente sulle foglie, dedicandosi all’operazione assai più importante di nutrirsi.

«Non mi sembrano affatto curiosi» disse Gibson deluso. «Siamo così poco interessanti?»

«Attenzione! Il piccolo ci ha individuati. Chissà che cos’ha intenzione di fare!»

Il piccolo Marziano aveva smesso di mangiare e fissava gli intrusi con un’espressione che avrebbe potuto significare molte cose: dalla più profonda incredulità alla golosa speranza di un nuovo pasto. Lanciò un paio di squittii acuti ai quali un adulto rispose con un calmo honk, quindi il cucciolo prese a saltellare verso gli spettatori incuriositi.

Si fermò a un paio di passi dagli uomini. Non era né intimorito né diffidente.

«Onoratissimo di fare la vostra conoscenza!» disse Hilton in tono solenne. «Permettete che ci presentiamo. Questo è Jim Spencer, quest’altro signore alla mia sinistra è Martin Gibson… Ma non ho capito bene il vostro nome.»

«Quiicc!» squittì il piccolo Marziano.

«Molto bene, signor Quiicc. Cosa possiamo tare per voi?»

La creatura tese una zampa e tirò Hilton per la manica. Poi saltellò verso Gibson che nel frattempo era stato indaffaratissimo a fotografare quello scambio di cortesie. Di nuovo sporse una zampa inquisitrice, e Gibson si affrettò a togliere di mezzo la macchina fotografica per evitare eventuali danni. Quindi gli tese la mano, e i piccoli artigli si chiusero sulle sue dita, con sorprendente energia.

«Socievole, eh, il piccolo?» disse Gibson dopo essersi liberato senza difficoltà dalla stretta della creatura. «Almeno non è borioso come i suoi genitori.»

Sino a quel momento infatti gli adulti non avevano degnato di un’occhiata quello scambio di convenevoli, ma avevano seguitato a brucare placidamente sull’altro lato della radura.

«Mi piacerebbe dargli qualcosa, ma non credo che riesca a mangiare il nostro cibo. Prestami il tuo temperino, Jimmy. Gli taglierò qualche foglia, tanto per vedere se siamo veramente amici oppure no.»

Il dono fu accettato gentilmente e prontamente mangiato, mentre le piccole mani subito si protendevano a chiederne ancora.

«A quanto pare hai fatto colpo, Martin» disse Hilton.

«Temo che sia amore interessato» sospirò Gibson. «Ehi, lascia in pace il mio apparecchio fotografico. Non è da mangiare, sai?»

«Un momento» disse a un tratto Hilton. «Sta succedendo qualcosa di strano. Di che colore è questo cucciolo, secondo te?»

«Marrone da una parte e… direi grigio sporco dall’altra.»

«Bene. Adesso giragli attorno e dagli da mangiare un po’ di foglie.»

Gibson obbedì, e Quiicc si girò sulle anche per afferrare il nuovo boccone. Mentre il Marziano si muoveva si verificò un curioso fenomeno.

La tinta bruna della parte anteriore del corpo sbiadì lentamente e a poco a poco la pelle diventò grigia mentre sul dorso accadeva il contrario, finché lo scambio non fu completo.

«Gran Giove!» esclamò Gibson. «È peggio di un camaleonte! Secondo te che cosa significa? Si tratta forse di una colorazione mimetica?»

«No, è un processo molto più astuto. Guarda gli altri che stanno laggiù. Osserva, non cambiano colore. Restano sempre bruni, o quasi neri, direi, nel lato rivolto al sole. È semplicemente un accorgimento per captare quanto maggior calore possibile ed evitarne la dispersione. Le piante marziane hanno lo stesso comportamento. Chi sarà stato il primo a pensarci? Questo trucco servirebbe poco a un animale che si muovesse in fretta, ma se hai fatto caso quei bestioni laggiù sono nella stessa posizione da oltre cinque minuti.»

Gibson si mise subito a fotografare questo strabiliante fenomeno. Cosa che non gli riuscì difficile, perché ogni volta che si muoveva, Quiicc si girava tutto speranzoso verso di lui e aspettava pazientemente.

«Mi dispiace di interrompere questa scena patetica» disse Milton, «ma avevamo detto che saremmo tornati entro un’ora.»

«Non occorre tornare tutti. Senti, Jimmy, sii bravo, fai una corsa sino all’aereo e avverti il pilota che non stia in pensiero per noi.»

Ma Jimmy stava osservando il cielo: era stato il primo ad accorgersi che da qualche minuto un aeroplano stava compiendo dei giri concentrici sopra la vallata.

I loro evviva ebbero il potere di disturbare i placidi Marziani dal loro pacifico brucare, e più di uno sguardo carico di disapprovazione si posò su di loro. Quiicc poi si spaventò talmente che schizzò via con un balzo, ma si riprese subito dalla paura avuta e tornò verso di loro.

«Ci rivediamo più tardi!» gli gridò Gibson mentre si allontanavano di corsa dalla raduta. Gli indigeni non li degnarono neppure di un’occhiata.

Erano già quasi a metà strada quando Gibson si rese conto che qualcuno lo seguiva. Si fermò di colpo e si voltò. Ansimando forte, ma ostinandosi coraggiosamente a saltellargli alle calcagna Quiicc gli aveva tenuto dietro.

«Fila via» gli disse Gibson, agitando le braccia come uno spaventapasseri impazzito. «Torna dalla mamma. Non ho niente da darti.»

Ma non sortì il minimo effetto, e la sua pausa servì soltanto a fare sì che Quiicc potesse raggiungerlo. Gli altri avevano proseguito senza accorgersi che Gibson si era fermato. Persero così la scena divertente dello scrittore che cercava di sganciarsi dal suo nuovo amico senza offenderlo.

Dopo cinque minuti di tentativi inutili, ricorse all’astuzia. Per sua fortuna non aveva restituito a Jimmy il temperino, e dopo molto sbuffare riuscì a raccogliere una manciata di alghe marine che posò davanti a Quiicc. Sperava così di tenerlo occupato per un po’ di tempo.

Aveva appena terminata questa operazione che Hilton e Jimmy ricomparvero di corsa, preoccupati che gli fosse successo qualcosa.

«Vengo, vengo» disse Gibson. «Dovevo pure liberarmi di Quiicc in qualche maniera. Così avrà da fare per un bel po’ e non penserà a seguirmi.»

Intanto il pilota rimasto solo a bordo dell’aereo danneggiato, cominciava a preoccuparsi seriamente perché l’ora era quasi trascorsa e ancora non ricompariva nessuno. Uscito dalla cabina, si arrampicò sulla fusoliera riuscendo così a dominare un buon tratto della valle, fino alla zona scura, coperta di vegetazione, entro la quale gli altri si erano addentrati. Stava appunto scrutando in quella direzione quando da oriente spuntò l’aereo di salvataggio che cominciò a girare sulla valle.

Avuta la certezza che dall’aereo l’avevano avvistato, il pilota tornò a rivolgere l’attenzione a terra, e finalmente vide un gruppetto avanzare nella pianura, ma subito si fregò gli occhi convinto di avere le allucinazioni.

Nella foresta erano entrati in tre, e ora uscivano in quattro. E il quarto aveva un aspetto a dir poco insolito.

13

Dopo quell’avventura, che in seguito sarebbe stata definita il più fortunato incidente aviatorio nella storia dell’esplorazione marziana, la visita al Trivium Charontis nella zona di Porto Schiaparelli rappresentò fatalmente una delusione, tanto che, prevedendolo, Gibson avrebbe preferito annullarla e tornare subito a Porto Lowell con la sua scoperta. Avevano infatti rinunciato ai tentativi di liberarsi di Quiicc, e siccome alla colonia erano tutti impazienti di vedere finalmente un vero Marziano vivo, decisero di portare il cucciolo in aereo con loro.

Ma da Porto Lowell non permisero ai tre di tornare così presto. Passarono dieci giorni prima che venisse dato loro il permesso di rientrare nella capitale. Sotto le grandi cupole si stava intatti combattendo una battaglia decisiva per la conquista del pianeta. Una battaglia che Gibson seguì soltanto attraverso i comunicati radio, una battaglia silenziosa ma ugualmente micidiale, alla quale lui fu lieto di non essere stato testimone.