«Bene, mi auguro che non succeda mai sul serio un fatto del genere.»
«Ce lo auguriamo tutti. Ma su Marte bisogna essere preparati a tutto. Bene, ecco il cessato allarme.»
L’altoparlante si era rimesso a gracidare.
«L’esercitazione è terminata. Tutti coloro che non hanno fatto in tempo a raggiungere il rifugio entro il limite prescritto si mettano a rapporto come al solito presso l’Amministrativo. Fine della trasmissione.»
«Credete che ci andranno?» disse Gibson. «Io direi che se ne staranno zitti.»
L’ingegnere rise.
«Dipende. È probabile che si comportino come dite voi se la colpa è stata loro. Ma è il modo migliore per mettere in luce i punti deboli dei nostri mezzi di difesa. Qualcuno può venire a dire: "Guardate, io stavo pulendo un forno di fusione quando è stato dato l’allarme. Mi ci sono voluti due minuti solo per uscire. Che cosa devo fare se lo sgonfiamento si verificasse per davvero?". E noi dovremo studiare il problema e trovare la soluzione.»
Gibson guardò con invidia Quiicc che sembrava addormentato, per quanto le sue grandi orecchie trasparenti di tanto in tanto tremassero facendo pensare che avesse un certo interesse per la conversazione.
«Sarebbe bello essere come lui e non doverci preoccupare della pressione dell’aria e di altre cose del genere. Allora sì che da Marte si potrebbe cavare veramente qualcosa di buono!»
«Chi lo sa» disse pensosamente l’ingegnere. «Che cosa hanno saputo fare questi Marziani se non sopravvivere? È sempre fatale adattarsi all’ambiente sfavorevole che ci circonda. Bisogna invece cercare di trasformare l’ambiente forzandolo ad adattarsi a noi.»
Queste parole erano quasi un’eco delle dichiarazioni fatte da Hadfield a Gibson il giorno del loro primo incontro. Il giornalista se ne sarebbe ricordato spesso negli anni futuri.
Il ritorno a Porto Lovvell fu trionfale. La capitale viveva un periodo di particolare euforia dopo la vittoria sulla febbre marziana, e aspettava con impazienza Gibson e la sua sensazionale scoperta. Gli scienziati avevano preparato a Quiicc un ricevimento in piena regola, e gli zoologi in particolare erano impegnatissimi a smentire con nuove affermazioni le loro affermazioni precedenti sui motivi dell’assenza di ogni forma di vita animale su Marte.
Gibson si era rassegnato ad affidare il cucciolo agli scienziati solo dopo averne ottenuto solide garanzie che non stessero pensando, nemmeno lontanamente, alla vivisezione. Poi, in un fermento di idee, era corso dal Presidente.
Hadfield l’accolse con calore, e Gibson si accorse con soddisfazione che l’atteggiamento del Presidente nei suoi confronti era mutato radicalmente. In principio era stato… ecco, se non proprio distaccato perlomeno riservato, e non aveva cercato di nascondergli che considerava la sua presenza su Marte una specie di seccatura, un nuovo peso da aggiungere ai tanti che già lo gravavano. Ma questa iniziale posizione difensiva si era lentamente trasformata, e ora appariva chiaro che il Presidente non lo considerava più come una calamità, anche se non delle peggiori.
«Avete aggiunto alcuni cittadini interessanti al mio piccolo impero» disse Hadfield con un sorriso. «Ho visto proprio adesso il vostro simpatico cucciolo. Ha già morsicato il capo dell’équipe medica.»
«Spero che lo cureranno bene» disse Gibson in tono ansioso.
«Chi? Il medico?»
«Ma no! Quiicc, naturalmente. Sapete una cosa? Vorrei proprio sapere se esistono altre forme di vita animale che ancora non abbiamo scoperto, magari più intelligenti.»
«In altre parole, se i veri Marziani sono questi o altri.»
«Esatto.»
«Forse ci vorranno anni prima di poterlo dire con certezza, ma secondo me non ce ne sono altri. Le condizioni che hanno reso possibile la sopravvivenza di questi esseri non esistono in molte zone del pianeta.»
«È appunto di questo che volevo parlarvi.» Così dicendo Gibson si frugò in tasca e ne tolse una foglia di alga marina. La punse, e subito s’intese un debole sibilo di gas in fuga.
«Se questi vegetali venissero coltivati in maniera adatta, potrebbero risolvere il problema dell’aerazione, permettendo di eliminare gli impianti attuali tanto complicati. Con sabbia sufficiente per alimentarle, potrebbero fornirvi tutto l’ossigeno di cui avete bisogno.»
«Continuate pure» disse Hadfield.
«Naturalmente bisognerebbe procedere prima a una coltura selezionata per ottenere la varietà più ricca di ossigeno» continuò Gibson.
«Si capisce» disse Hadfield.
Gibson guardò il suo interlocutore con improvviso sospetto, perché si era reso conto che nel suo atteggiamento c’era qualcosa di strano. La faccia austera di Hadfield era atteggiata a un curioso sorriso.
«Voi non mi prendete sul serio!» protestò, mortificato.
«Al contrario» disse Hadfield. «Vi sto ascoltando con più interesse di quanto immaginiate.» Giocherellò per un attimo con un fermacarte, poi parve prendere una decisione improvvisa. Si chinò sull’intercom e premette un pulsante.
«Procuratemi una pulce del deserto con guidatore» disse. «Li voglio alla galleria Uno Ovest tra mezz’ora.» Quindi si rivolse a Gibson. «Potete essere pronto fra trenta minuti?»
«Ma… certo, naturalmente. Devo solo passare dall’albergo a prendere la maschera.»
«Bene. Allora ci rivediamo tra mezz’ora.»
Gibson arrivò all’appuntamento con dieci minuti di anticipo e la mente in tumulto. L’Organizzazione dei Trasporti era riuscita a procurare un veicolo in tempo, e il Presidente fu puntuale come sempre. Diede al conducente alcune istruzioni che Gibson non riuscì ad afferrare, e la pulce uscì dalla cupola e imboccò la strada che correva tutt’attorno.
«Sto per fare una cosa alquanto avventata, Gibson» disse Hadfield mentre il paesaggio verde sfilava rapido ai lati del veicolo. «Siete disposto a darmi la vostra parola d’onore che non direte niente di quanto sto per rivelarvi finché non ve ne darò l’autorizzazione?»
«Certo» rispose Gibson sorpreso.
«Mi fido di voi perché ho la sensazione che siate dei nostri, e perché non vi siete rivelato quella seccatura che temevo.»
«Grazie» disse Gibson, colpito dalla sincerità del Presidente.
«E anche per la scoperta preziosa che ci avete regalato. Per tutto questo ritengo che vi dobbiamo qualcosa in cambio.»
La pulce aveva puntato verso sud seguendo la pista che portava alle colline. E finalmente Gibson capì dove erano diretti.
«Ti sei preoccupata quando hai saputo che eravamo dati per dispersi?» domandò Jimmy in tono ansioso.
«Molto» rispose Irene. «Non riuscivo nemmeno a dormire, tanto ero angosciata.»
«Adesso però che la nostra avventura si è risolta felicemente, non trovi che ne sia valsa la pena?»
«Può darsi, però continuo a pensare che tra un mese te ne andrai di nuovo. Oh, Jimmy, che cosa faremo allora?»
Una profonda disperazione si impadronì dei due ragazzi, e la momentanea gioia di Jimmy si trasformò in sconforto. Era inutile cercare di ignorare la realtà: fra meno di quattro settimane l’Ares avrebbe lasciato Deimos, e sarebbero passati forse anni prima che Jimmy potesse tornare su Marte. Una prospettiva crudele per essere espressa a parole.
«Anche ammesso che me lo permettessero non potrei restare qui» disse Jimmy. «Non posso guadagnarmi da vivere senza una specializzazione, e avrò altri due anni di studio dopo la laurea, per non parlare del viaggio a Venere! Però si può tentare una cosai»
Gli occhi d’Irene s’illuminarono, ma subito la sua faccia tornò triste.
«Ne abbiamo già parlato, ma sono sicura che mio padre non acconsentirà.»
«Si può tentare. Dirò a Martin di parlargliene lui.»
«Chi? Il signor Gibson? Credi che lo farà?»