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«Oh!» fece Hadfield. L’esclamazione non rivelò né compiacimento né disapprovazione, e Gibson provò una certa delusione per la freddezza con cui era stato accolto il suo annuncio. «E il vostro lavoro?» chiese il Presidente, dopo una breve pausa.

«Il mio è un lavoro che si può fare indifferentemente tanto qui quanto sulla Terra.»

«Vi renderete conto» disse Hadfield «che se avete intenzione di restare dovrete trovarvi un’occupazione utile.» Sorrise un po’ a disagio. «Temo di essere stato proprio brutale. Intendevo dire che dovrete fare qualcosa per aiutare a tirare avanti la colonia. Avete qualche progetto particolare in questo senso?»

Le ultime parole furono un po’ più incoraggianti: per lo meno significava che Hadfield non respingeva categoricamente la sua richiesta. C’era però un dettaglio che Gibson, nel suo entusiasmo, aveva trascurato.

«Veramente io non pensavo di stabilirmi qui definitivamente» disse, un po’ confuso. «Io… ecco, desidero passare un certo tempo nello studio dei Marziani, e mi piacerebbe riuscire a scoprirne altri. Inoltre mi dispiace abbandonare Marte proprio nel momento in cui le cose quassù si stanno facendo interessanti.»

«Come sarebbe a dire?» chiese Hadfield.

«Ecco… tutte queste piante all’ossigeno, tanto per fare un esempio, e la messa in opera della Cupola Sette. Sono curioso di vedere quello che succederà nei prossimi mesi.»

Hadfield lo guardò pensoso. Era meno sorpreso di quanto Gibson si sarebbe immaginato. Aveva assistito altre volte ad analoghi mutamenti di posizione. Anzi, si era chiesto spesso se anche Gibson avrebbe subito quella trasformazione, e adesso non era affatto dispiaciuto della piega che avevano preso gli avvenimenti.

La spiegazione era in realtà molto semplice. Gibson si sentiva ora molto più felice di quanto non lo fosse mai stato sulla Terra, perché aveva fatto qualcosa di utile, di necessario per la comunità marziana. L’identificazione era ormai quasi completa, e il fatto che Marte avesse già compiuto un attentato contro la sua vita era servito soltanto a rafforzare la sua decisione di restare. Se fosse tornato sulla Terra non gli sarebbe sembrato di rientrare in patria, ma di andare verso un luogo d’esilio.

«L’entusiasmo non basta» disse Hadfield.

«Questo lo capisco bene.»

«Il nostro piccolo mondo è basato su due fattori essenziali: le capacità specifiche e il lavoro vero e proprio. Senza questi due elementi dovremmo far fagotto e tornare sulla Terra.»

«Io non ho paura di lavorare, e sono sicuro che potrei impratichirmi presto di qualcuno dei numerosi lavori amministrativi che svolgete qui, e delle nozioni tecniche necessarie.»

Hadfield pensò che questo probabilmente era vero. La capacità di sbrigare incombenze del genere era solo questione di intelligenza, e d’intelligenza Gibson ne aveva da vendere. Ma l’intelligenza da sola non bastava su Marte. Ci volevano anche diverse altre qualità personali. Non conveniva creare in Gibson false speranze finché non fosse stato possibile vagliare più a fondo il problema discutendone anche con Whittaker.

«Vi dirò io come dovete fare» disse Hadfield. «Intanto fate una richiesta di soggiorno provvisorio, che io segnalerò alla Terra. La risposta la riceveremo tra una settimana circa. Naturalmente se vi risponderanno di no, noi non potremo fare niente.»

Di questo Gibson dubitava, poiché sapeva benissimo quanto poco Hadfield badasse ai regolamenti terrestri se questi intralciavano i suoi piani. Ma si limitò a chiedere: «E se la Terra acconsente, allora la decisione spetta a voi?»

«Sì. E da quel momento comincerò a riflettere sulla risposta da darvi.»

Più soddisfacente di quanto aveva sperato, pensò Gibson. Ora che aveva tratto il dado si sentiva molto più sollevato: aveva la sensazione di essere ormai scaricato di qualsiasi responsabilità. Adesso doveva semplicemente abbandonarsi alla corrente, e aspettare gli eventi.

La porta del compartimento stagno si aprì davanti a loro e la pulce entrò cigolando in città.

Anche se la sua decisione si fosse rivelata un errore, non sarebbe stato poi un gran danno. Poteva sempre tornare sulla Terra con la prima astronave in partenza… o con la successiva…

Ma non c’era dubbio che Marte l’aveva trasformato. Indovinava già quello che molti suoi amici avrebbero detto appena saputa la notizia: "Avete sentito di Martin? A quanto pare Marte ne ha fatto un uomo. Chi l’avrebbe mai detto?".

Si rigirò a disagio sul sedile. Non aveva nessuna intenzione di posare a modello di perfezione per nessuno. Anche nei suoi momenti più sdolcinati era sempre rifuggito dal servirsi di quelle comode parabole vittoriane in cui si parla di uomini pigri ed egocentrici che si trasformano a un tratto in campioni di virtù e in esseri utilissimi, anzi indispensabili alla società. Ma aveva una paura tremenda che qualcosa di molto simile stesse succedendo a lui!

14

«Su, parla, Jimmy! Che cosa ti passa per la testa? Mi sembra che tu abbia poco appetito, stamattina!»

Jimmy infatti stava giocherellando nervosamente con la frittata sintetica che aveva nel piatto, e l’aveva già ridotta in frammenti minuti.

«Stavo pensando a Irene. È un vero peccato che non abbia ancora avuto l’occasione di vedere la Terra!»

«Sei proprio sicuro che voglia vederla? Io qui non ho mai sentito nessuno esprimere questo desiderio.»

«Ma a lei piacerebbe, eccome! Gliel’ho chiesto io.»

«Smettila di menare il can per l’aia! Che cosa state complottando voi due? Volete fuggire con l’Ares

Jimmy fece un sorriso triste.

«Sarebbe un’ottima idea, ma un po’ difficile da attuare. Sinceramente, non credete che Irene dovrebbe andare sulla Terra a completare la propria educazione? Se resta qui finirà… ecco…»

«Vuoi dire che diventerà una specie di semplice ragazza di campagna… una misera coloniale? È questo che pensi?»

«Ecco, in un certo senso sì, per quanto io avrei voluto esprimermi meno brutalmente.»

«Scusa, se ho usato espressioni un po’ forti. Per essere schietto sono abbastanza d’accordo con te. Avevo fatto anch’io un ragionamento simile. Qualcuno dovrebbe parlarne con Hadfield.»

«È proprio quello che…» cominciò Jimmy.

«Che tu e Irene volete che faccia io, vero?»

Jimmy ebbe un gesto di finta disperazione.

«A voi non ve la si può proprio fare!»

«Se tu me ne avessi parlato sin dal principio, pensa quanto tempo avremmo risparmiato. Ma dimmi francamente, fino a che punto sono serie le tue intenzioni nei confronti di Irene?»

Jimmy gli diede un’occhiata gelida che fu più eloquente di qualsiasi risposta.

«Sono serissime, e voi dovreste saperlo. Intendo sposarla non appena sarà maggiorenne… e non appena io guadagnerò abbastanza da mantenere me e lei.»

Seguì un lungo silenzio, poi Gibson disse: «In fondo hai ragione. Irene è una cara ragazza, e personalmente sono convinto che un anno o più di soggiorno sulla Terra le farebbe bene. Tuttavia preferirei non parlare di questo ad Hadfield per il momento. Capisci… è molto occupato e poi… gli ho già chiesto un favore personale proprio in questi giorni.»

«Davvero?» disse Jimmy fissando con interesse il suo interlocutore.

Gibson si schiarì la voce.

«Dovevo pur dirtelo un momento o l’altro, ma per ora non farne parola con nessuno. Ho chiesto di restare su Marte.»

«Gran Dio!» esclamò Jimmy. «Ma è… è un’idea magnifica.»

«Lo credi?»

«Certamente! Piacerebbe anche a me restare qui.»

«Anche se Irene andasse sulla Terra e ti lasciasse qui solo?» chiese Gibson in tono serio.

«Che domanda! Ma quanto pensate di trattenervi?»

«Francamente non lo so. Dipende da troppe cose. Prima di tutto dovrò trovarmi un’occupazione.»

«Che genere di occupazione?»

«Ma… un’occupazione che mi si confaccia, e soprattutto che sia produttiva. Hai niente da suggerirmi?»