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Jimmy tacque per un momento, concentrandosi in uno sforzo di riflessione che gli increspò la fronte. Gibson si chiese a che diavolo stesse pensando. Era forse dispiaciuto dell’idea che tra breve si sarebbero dovuti separare? In quelle ultime settimane il particolare stato d’animo fatto di incertezza e di angoscia che all’inizio li aveva a un tempo uniti e divisi si era dissolto, e loro avevano raggiunto uno stato di equilibrio affettivo, piacevole ma non del tutto soddisfacente come Gibson avrebbe sperato. Forse la colpa era sua. Forse aveva avuto troppo timore di mostrare i suoi veri sentimenti e li aveva dissimulati dietro un velo di ironia accentuata a volte di una punta di sarcasmo. E così forse era riuscito anche troppo bene nel suo intento. C’era stato un momento in cui aveva sperato di guadagnarsi la fiducia e l’affetto di Jimmy, e invece, a quanto pareva, Jimmy veniva da lui solo quando aveva bisogno di qualcosa. No… questo non era giusto. Jimmy gli era indubbiamente affezionato, forse allo stesso modo in cui molti figli sono affezionati ai loro genitori. E questa era una vittoria di cui doveva essere fiero. E poteva anche essere orgoglioso del fatto che, molto per merito suo, il carattere di Jimmy si era mutato positivamente da quando erano partiti dalla Terra. Non era più scontroso e timido come allora, e anche se era sempre un po’ chiuso, non era mai triste o imbronciato. Di questo, pensava Gibson, il merito andava in buona parte a lui. Ma ormai lui non poteva più fare molto per il ragazzo: Jimmy si stava creando un suo mondo, e adesso gli importava soltanto di Irene.

«Temo proprio di non avere nessuna idea» disse infine Jimmy. «In ogni caso potreste prendere il mio posto. Oh, a proposito. Questo mi fa venire in mente qualcosa che ho colta al volo l’altro giorno all’Amministrativo.» Abbassò la voce e con gesto da cospiratore si protese in avanti. «Avete mai inteso parlare del Progetto Aurora?» chiese.

«No. Che cos’è?»

«È appunto quello che sto cercando di scoprire. Pare che si tratti di un piano segretissimo, e molto importante, per giunta.»

«Oh!» fece Gibson, improvvisamente attento. «Ma forse io ne so qualcosa. Prova un po’ a dirmi quello che sai tu.»

«Ecco, una sera sono rimasto a lavorare fino a tardi. Mi trovavo nell’archivio ed ero seduto a terra tra uno scaffale e l’altro a cercare alcune carte, quando sono entrati il Presidente e il maggiore Whittaker. Non potevano sapere che io ero lì, e perciò parlavano tra loro come se fossero soli. A un certo punto il maggiore Whittaker ha detto qualcosa che mi ha fatto drizzare immediatamente le orecchie. Mi ricordo ancora le sue parole. Ha detto testualmente così: "Qualunque cosa succeda, si scatenerà un putiferio non appena la Terra sarà informata del Progetto Aurora… anche ammesso che abbia successo". A questo punto il Presidente ha fatto una risata strana e ha risposto che il successo giustifica tutto, o una frase del genere. Non ho potuto sentire altro perché subito dopo sono usciti. Che cosa ne pensate?»

Il Progetto Aurora. Quelle due parole ebbero su Gibson l’effetto di una formula magica, e il suo cuore prese a battere con ritmo accelerato. Dovevano certamente avere qualche rapporto con le ricerche che si stavano compiendo sulle colline intorno alla città… ma questo non bastava a spiegare l’osservazione di Whittaker. O invece si?

Gibson era abbastanza informato sul gioco di forze politiche tra Marte e Terra. Da alcune frasi di Hadfteld e dai commenti della stampa locale, aveva capito che la colonia stava attraversando un momento critico. Sulla Terra si erano levate potenti voci di protesta contro le continue spese enormi, di cui non si vedeva la fine né una possibile diminuzione, per sovvenzionare il pianeta minore. Più di una volta Hadfield gli aveva parlato di progetti che era stato costretto ad abbandonare perché troppo dispendiosi, e di altri per i quali non era riuscito a ottenere il permesso.

«Vedrò un po’ quello che mi riesce di cavare dalle mie varie fonti d’informazione» disse Gibson. «Di questo ne hai già parlato con qualcun altro?»

«No.»

«Se fossi in te terrei la bocca chiusa con chiunque. Dopotutto potrebbe trattarsi di una cosa senza alcuna importanza. Se scoprirò qualcosa ti informerò.»

«Non vi dimenticherete di interessarvi di Irene?»

«Certamente no. Ne parlerò appena se ne presenterà l’occasione. Ma forse ci vorrà un po’ di tempo. Bisogna che aspetti di trovare Hadfield in un momento di umore favorevole.»

Come investigatore, Gibson valeva poco. Fece due tentativi diretti piuttosto mal riusciti prima di capire che qualsiasi attacco frontale era inutile. George, il barista, era stato il suo primo obiettivo, perché sembrava che sapesse sempre tutto quello che succedeva su Marte, e per Gibson rappresentava una delle più preziose fonti d’informazione. Ma per una volta tanto, George risultò assolutamente disinformato.

«Il Progetto Aurora?» ripeté in tono sorpreso. «No, non ne ho mai inteso parlare.»

«Ne siete proprio sicuro?» insistette Gibson, guardandolo attentamente.

George sembrò perdersi in profonda meditazione.

«Sicurissimo» rispose infine. E non fu possibile cavargli altro. George era un attore talmente consumato che nessuno avrebbe saputo dire con certezza se stesse mentendo o se fosse sincero.

Gibson ebbe un poco più di fortuna con un redattore del Tempo Marziano. Westerman era un personaggio che di solito lui evitava volentieri, perché cercava sempre di strappargli qualche articolo, mentre Gibson era già regolarmente in ritardo con i suoi impegni terrestri.

Quando entrò nella piccola redazione dell’unico giornale di Marte, il personale, due soli impiegati, lo guardò quindi con sorpresa.

Dopo aver offerto loro alcune copie di un suo articolo, quale pegno di pace, Gibson mise in azione la trappola che aveva studiato.

«Sto cercando di raccogliere tutte le informazioni che mi riesce di trovare sul Progetto Aurora» disse in tono discorsivo. «Lo so che è ancora segreto, ma desidero aver tutto pronto per quando potrà essere pubblicato.»

Per alcuni secondi nessuno fiatò. Poi Westerman disse: «Credo che di questo sarà meglio che ne parliate al Presidente.»

«Non volevo disturbarlo per così poco. È sempre tanto occupato» disse Gibson con aria innocente.

«Io non posso dirvi niente.»

«Perché? Volete dire che non ne sapete niente?»

«Prendetela come volete. Sono in pochi su Marte a sapere di che cosa si tratti precisamente.»

Questa sì che era una notizia interessante!

«E voi per caso siete fra quei pochi?» insistette Gibson.

Westerman si strinse nelle spalle.

«Io tengo gli occhi aperti e quindi ho indovinato parecchie cose.»

Fu tutto quello che Gibson riuscì a cavargli di bocca. Sospettò, a ragione, che Westerman ne sapesse quanto lui, che volesse nascondergli la propria ignoranza. Il colloquio aveva comunque confermato a Gibson due fatti essenziali. Il Progetto Aurora esisteva veramente, ed era una faccenda segretissima. A Gibson non restava che seguire l’esempio di Westerman: tenere gli occhi aperti e cercare d’indovinare il più possibile.

Decise di abbandonare per il momento qualsiasi ricerca e di fare un giro al laboratorio biologico, dove Quiicc era ospite d’onore. Trovò il piccolo Marziano seduto sulle cosce secondo la sua abitudine, e tranquillo come il solito, mentre gli scienziati, raccolti in un angolo, cercavano di decidere quello che dovevano fare. Non appena vide Gibson, Quiicc emise un grido di gioia e si lanciò verso di lui rovesciando una sedia ma evitando per fortuna di urtare un apparecchio prezioso. I biologi assistettero a quelle dimostrazioni di simpatia con un certo dispetto, forse perché non si conciliavano con le loro opinioni sulla psicologia marziana.

«Allora» disse Gibson al capo-équipe non appena poté liberarsi dalle effusioni di Quiicc e dalla stretta delle zampe tenaci, «avete deciso sino a che punto è intelligente?»