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«Che cosa ne pensa in complesso Hadfield della vostra decisione? Irene gli ha parlato di te?»

«Credo che Hadfield non ne sappia ancora niente.»

«Bravi! Secondo me sarebbe una buona idea se tu andassi direttamente da lui e gli dicessi tutto, chiaro e tondo.»

«Ci avevo pensato anch’io» disse Jimmy, «ma credo che non ne avrò mai il coraggio.»

«Eppure bisognerà che tu superi questo tuo complesso d’inferiorità nei suoi riguardi, visto che un giorno o l’altro diventerà tuo suocero» disse Gibson.

«D’altra parte, che male può venirti dal parlargli chiaro?»

«Potrebbe impedire a Irene di vedermi durante il poco tempo che ancora ci rimane.»

«Hadfield non è tipo da ricorrere a queste meschinerie. Del resto, se lo fosse, l’avrebbe già fatto da un pezzo.»

Jimmy rifletté un momento e dovette ammettere che Gibson aveva ragione. Fino a un certo punto il giornalista era d’accordo con il ragazzo, perché ricordava di aver provato anche lui uno strano nervosismo durante i primi incontri con Hadfield. Eppure lui aveva minori scusanti di Jimmy, perché una lunga esperienza gli aveva insegnato che sono pochi i grandi uomini che rimangono tali quando li si conosce più a fondo. Per Jimmy, invece, Hadfield restava il padrone di Marte, solitario e inavvicinabile.

«Andando da lui, che cosa dovrei dirgli, secondo voi?» chiese il ragazzo.

«La pura e semplice verità. In certi casi, la verità fa miracoli.»

Jimmy guardò Gibson con espressione offesa. Il ragazzo non sapeva mai se l’altro scherzava o parlava sul serio. Era il difetto principale di Gibson, e aveva sempre costituito l’ostacolo principale a una vera intesa tra loro.

«Senti» disse Gibson «vieni con me dal Presidente, stasera, e raccontagli tutto. E devi cercare di metterti un po’ nei suoi panni. Per quanto ne sa lui, il tuo potrebbe anche essere un semplice capriccio, un innamoramento passeggero, sia da parte tua sia da parte di Irene. Ma se tu gli dici che è una cosa seria e che vi volete fidanzare, allora la cosa cambia aspetto.»

Si sentì molto sollevato quando Jimmy acconsentì infine a seguire il suo consiglio senza altre discussioni. Dopotutto, se il ragazzo aveva una certa stoffa bisognava che agisse da solo, senza troppi suggerimenti estranei. Gibson aveva sufficiente sensibilità per capire che, nella sua preoccupazione di essergli utile, non doveva correre il rischio di distruggere nel ragazzo la fiducia in se stesso.

Tra le doti di Hadfield c’era quella che si sapeva sempre esattamente dove trovarlo in qualsiasi momento… ma guai a chi avesse osato disturbarlo con questioni di ufficio durante le poche ore in cui il Presidente si considerava libero dagli impegni di lavoro. Ma qui non si trattava di problemi burocratici e tanto meno ufficiali, e non doveva nemmeno essere una cosa del tutto imprevista, perché Hadfield non si mostrò affatto sorpreso di vedere Jimmy insieme a Gibson. Di Irene nessuna traccia. La ragazza si era eclissata prudentemente, e non appena gli fu possibile, Gibson fece altrettanto.

Era andato ad aspettare in biblioteca sfogliando libri e chiedendosi quanti di quei libri il Presidente avesse effettivamente il tempo di leggere.

Poi Jimmy comparve sulla soglia dicendo: «Il signor Hadfield desidera parlarvi.»

«Com’è andata?»

«Non lo so ancora, ma meno peggio di quello che credevo.»

«È sempre così. E non ti angustiare, darò le migliori informazioni possibili su di te. Posso farlo senza mentire troppo.»

Quando entrò nello studio, Hadfield era sprofondato in una poltrona, intento a fissare il tappeto come se lo vedesse per la prima volta. Il Presidente fece cenno all’ospite di sedere sull’altra poltrona.

«Da quanto tempo conoscete Spencer?» chiese.

«Solo da quando ho lasciato la Terra. Non l’avevo mai visto, prima di salire a bordo dell’Ares.»

«E credete che questo breve tempo sia sufficiente per farsi un concetto esatto del carattere di un individuo?»

«A volte non basta una intera vita» fu la risposta di Gibson.

Hadfield sorrise, e per la prima volta alzò gli occhi.

«Non eludete la mia domanda» disse, ma senza irritazione. «Che cosa pensate esattamente di lui? Sareste disposto ad accettarlo come genero, voi?»

«Sì» rispose Gibson senza esitare. «Con entusiasmo.»

Forse fu un bene che Jimmy non fosse lì a sentire la conversazione che seguì nei dieci minuti successivi, d’altra parte, però, fu un peccato, perché avrebbe permesso al ragazzo di comprendere la vera natura di Gibson. Nel suo attento interrogatorio, infatti, Hadfield cercò non soltanto di sondare il carattere di Jimmy, ma anche quello di Gibson. Gibson avrebbe dovuto immaginarlo, e il fatto di non averci pensato, nella sua ansia di rendere un favore al suo protetto, tornò tutto a suo credito. Quando Hadfield mutò improvvisamente tattica, lo scrittore fu colto completamente alla sprovvista.

«Ditemi un po’, Gibson» disse a un tratto il Presidente, «per quale motivo vi interessate tanto a Spencer? Mi avete detto di conoscerlo soltanto da cinque mesi.»

«Ed è vero. Ma dopo poche settimane, parlando, scoprimmo che io ero stato molto amico dei suoi genitori, vecchi compagni di università.»

Ecco: la risposta gli era uscita di bocca prima che lui se ne rendesse conto. Hadfield inarcò le sopracciglia. Certo si stava chiedendo come mai Gibson non si fosse laureato, ma aveva troppo tatto per insistere sull’argomento. Si limitò quindi a qualche semplice domanda sui genitori di Jimmy.

Sembravano domande vaghe, quali ci si poteva aspettare dalla discrezione di Hadfield, e Gibson rispose senza sospetti. Si era dimenticato di avere a che fare con una tra le intelligenze più acute di tutto il sistema solare, o almeno una intelligenza capace quanto la sua di analizzare gli impulsi e i comportamenti umani. Quando si rese conto di quello che era successo, era ormai troppo tardi.

«Scusatemi» disse Hadfield con cortesia ingannatrice «ma non so perché questo racconto non mi convince del tutto. Non voglio dire con questo che non mi avete detto la verità. È possibilissimo che vi interessiate tanto a Spencer per il solo fatto di aver conosciuto molto bene i suoi genitori vent’anni fa. Ma avete cercato di spiegare troppe cose, dandomi l’impressione che la faccenda vi tocchi in modo più profondo.» Si protese in avanti e puntò un indice accusatore contro Gibson. «Non sono un imbecille, e capire le menti umane è il mio mestiere. Non siete obbligato a rispondere, se non volete, ma io credo di avere il diritto di sapere. Jimmy Spencer è vostro figlio, vero?»

La bomba era scoppiata, e adesso l’esplosione si era dissolta. Nel silenzio che seguì, l’unica sensazione di Gibson fu quella di un profondo sollievo.

«Sì, è mio figlio» rispose. «Come avete fatto a capirlo?»

Hadfield sorrise. Aveva l’aria di essere alquanto soddisfatto della sua perspicacia, come se avesse finalmente sistemata una questione che lo turbava da parecchio tempo.

«È incredibile come certi uomini siano ciechi di fronte ai risultati delle proprie azioni, e come siano propensi a credere che nessun altro all’infuori di loro sia dotato di capacità d’osservazione. Tra voi e Spencer esiste una somiglianza, lieve ma caratteristica. Quando vi ho visto per la prima volta insieme ho chiesto subito se eravate parenti e sono rimasto sorpreso sentendomi rispondere di no.»

«Molto strano» disse Gibson. «Siamo stati insieme per tre mesi sull’Ares, e nessuno se n’è accorto.»

«E lo trovate davvero tanto strano? I compagni d’equipaggio di Spencer lo conoscevano già. Per questo a loro non è mai venuto in mente di associarlo a voi. Intendo dire che il fatto di conoscere il ragazzo e di sapere chi era ha impedito loro di notare la rassomiglianza che io invece, non avendo idee preconcette in proposito, ho rilevato subito. Ma non ci ave vo più pensato, ritenendola una semplice coincidenza, sino al momento in cui mi avete raccontato la vostra storia. Allora ho sommato le due cose. Ditemi… Spencer lo sa?»