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15

Quel giorno era cominciato come tutti gli altri. Jimmy e Gibson avevano fatto tranquillamente colazione insieme, senza parlare perché entrambi erano assorbiti nei propri problemi. Jimmy viveva in uno stato che era esatto definire estatico, anche se ogni tanto soffriva momenti di nero avvilimento al pensiero che tra poco avrebbe dovuto separarsi da Irene, Gibson si chiedeva se dalla Terra fosse arrivata finalmente una risposta in merito alla sua richiesta di soggiorno su Marte. A volte era convinto di aver fatto un’enorme sciocchezza, e si sorprendeva persino a sperare che le sue carte si fossero smarrite, ma in realtà era decisissimo a restare fermo nei suoi propositi, e quel mattino pensò di passare dall’Amministrativo per vedere di sollecitare un po’ le cose.

Capì subito che c’era qualcosa per aria non appena ebbe messo il piede nell’ufficio. La signora Smyth, la segretaria di Hadfield, lo accolse con un sorriso come lo accoglieva sempre quando lui andava dal presidente. Di solito, però, o lo faceva entrare subito, o gli spiegava che Hadfield era occupatissimo, oppure che aspettava una chiamata urgente dalla Terra, e lo pregava quindi di ripassare più tardi. Ma quella mattina si limitò ad annunciargli: «Mi dispiace, signor Gibson, ma il signor Hadfield non c’è. Tornerà solo domani.»

«Ah, sì?» disse Gibson. «È andato a Skia?»

«No» rispose la signora Smyth, cortese ma decisa a non violare le consegne. «Mi dispiace ma non posso dirvi dov’è andato. Comunque sarà di ritorno tra ventiquattr’ore.»

Gibson decise di rimandare a più tardi la soluzione di quel mistero. Immaginando che la signora Smyth fosse al corrente di tutto, e perciò anche delle sue questioni personali, chiese: «Sapete se c’è qualche risposta alla mia richiesta di soggiorno?»

La signora Smyth sembrò confusa.

«È arrivato qualcosa» rispose, «ma si trattava di una comunicazione personale al signor Hadfield e perciò io non ne so niente. Credo che voglia parlarvene lui stesso non appena torna.»

Era una situazione esasperante. Era già seccante non aver saputo ancora niente, ma era ancora peggio sapere che la risposta era arrivata e non poterla conoscere. Gibson sentì che la pazienza lo abbandonava.

«Non vedo per quale motivo non me lo possiate dire» protestò, «soprattutto considerato che domani lo saprò comunque.»

«Mi rincresce infinitamente, signor Gibson, ma sono certa che il signor Hadfield si seccherebbe molto se ve lo dicessi io adesso senza aspettare il suo ritorno.»

«E va bene!» disse Gibson, e se ne andò infuriato.

Decise di slogarsi andando a parlare col maggiore Whittaker, convinto di trovare in città almeno lui. C’era infatti, ma non sembrò particolarmente felice di vedere Gibson, il quale però si sistemò comodamente sulla poltrona degli ospiti con l’evidente intenzione di restare a lungo.

«Sentite un po’, Whittaker» cominciò, «io sono un tipo paziente, e spero converrete con me che non faccio spesso richieste irragionevoli.»

Visto che il maggiore non aveva nessuna intenzione di rispondere, Gibson si affrettò ad aggiungere: «Qui sta succedendo qualcosa di molto strano, e io sono ansioso di andare in fondo a questo mistero.»

Whittaker sospirò. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe venuto. Era un vero peccato che Gibson non avesse la pazienza di aspettare fino al giorno dopo. Fra ventiquattr’ore non avrebbe più avuto nessuna importanza.

«Come siete arrivato tutto a un tratto a una simile conclusione?» chiese.

«Riflettendo su alcuni particolari. E poi non è stato tutto a un tratto. Pochi minuti fa ho cercato di vedere Hadfield, e la signora Smyth mi ha informato che non è in città, e poi, non appena ho tentato di farle qualche domanda innocente, si è chiusa come un’ostrica.»

«Oh, me la immagino!» esclamò Whittaker ridendo.

«Ma se voi cercherete di fare altrettanto, mi metterò a spaccare tutto, qua dentro, e poi continuerò fuori… Se proprio non potete dirmi che cosa sta succedendo, ditemi almeno perché non me lo potete dire. Si tratta del Progetto Aurora, vero?»

«Come lo sapete?» chiese Whittaker sussultando.

«Non preoccupatevi. So essere ostinato anch’io, quando mi ci metto.»

«Ma io non ho nessuna intenzione di essere ostinato» disse Whittaker in tono quasi lamentoso. «Non crediate che amiamo il segreto per il piacere di fare i misteriosi, anzi, è una seccatura tremenda. Ma cominciate a dirmi voi quello che sapete.»

«Se può servire a smuovervi, benissimo. Il Progetto Aurora ha certamente a che fare con le colture di piante che avete lassù tra le colline. Come diavolo le chiamate quelle piante… oxyfera?, bene. Ma siccome mi sembra assurdo tenere segreta una scoperta così semplice, sono costretto a supporre che faccia parte di un piano molto più grandioso, nel quale sospetto che c’entri Phobos, anche se non sono assolutamente in grado di dirvi come. Siete riusciti a conservare il segreto così bene, che i pochi qui su Marte che ne sanno qualcosa non osano nemmeno aprire bocca. Ma più che a Marte, vi siete preoccupati di tenere nascosta la cosa alla Terra. Si può sapere perché?»

Whittaker non aveva affatto l’aria confusa.

«Devo farvi i miei complimenti per la vostra… come definirla… perspicacia» disse infine. «E giacché siamo sull’argomento, forse vi interesserà anche sapere che un paio di settimane fa avevo consigliato al Presidente di mettervi al corrente del progetto, ma lui ha ritenuto più opportuno aspettare. Da quel giorno, gli eventi si sono svolti assai più rapidamente di quanto nessuno di noi si sarebbe mai immaginato.»

Disegnò distrattamente alcuni scarabocchi su un blocco per appunti, poi sembrò prendere una decisione improvvisa.

«Sentite» disse, «io non sono autorizzato a parlare, quindi non posso dirvi quello che sta succedendo in questo momento. Posso però raccontarvi una storia che forse vi divertirà. Naturalmente qualsiasi riferimento a luoghi e persone realmente esistenti è puramente… come si dice di solito in questi casi?… puramente casuale.»

«Va bene, ho capito!» disse Gibson ridendo. «Continuate pure.»

«Immaginiamo dunque che nel primo entusiasmo delle conquiste interplanetarie il pianeta A abbia fondato una colonia sul pianeta B. Dopo qualche anno, A scopre che B gli costa molto di più di quello che aveva previsto, senza ricompensare in nessun modo la spesa. Allora sul pianeta d’origine si formano due fazioni. La prima, conservatrice, vuol chiudere baracca e burattini, tagliare cioè i viveri a B e non occuparsene più. L’altro gruppo invece, quello progressista, vuole continuare l’esperimento perché ritiene che l’Uomo è destinato a esplorare tutto l’universo, per vivere e cercare nuove esperienze e per non ridursi a stagnare nel suo vecchio pianeta. Ma questa argomentazione non ha alcuna presa sui cittadini che pagano le tasse, e i conservatori cominciano a prendere il sopravvento.

«Questo stato di cose mette in agitazione i coloni, nei quali si va formando una mentalità sempre più indipendente, e che non sono affatto contenti di essere considerati come parenti poveri costretti a vivere di carità. Però non riescono a trovare una via d’uscita finché un giorno viene fatta una scoperta scientifica rivoluzionaria. Avrei dovuto premettere che il pianeta B ha interessato e attirato i migliori cervelli di A, il che costituisce un’altra delle ragioni per cui A è tanto seccato. Questa scoperta apre orizzonti pressoché illimitati all’avvenire di B, ma la sua applicazione comporta certi rischi, oltre che l’assorbimento di una buona parte delle limitate risorse di B. Con tutto questo, il progetto viene presentato, e A lo boccia immediatamente. Tra le quinte si svolge un prolungato tira e molla, ma il pianeta d’origine rimane incrollabile nel suo rifiuto.

«Ai coloni si offrono due alternative. Possono proclamare apertamente i loro diritti, e rivolgersi all’opinione pubblica di A. Ma questo può dare molti svantaggi, perché i pezzi grossi di laggiù cercherebbero in ogni modo di boicottarli. L’altra alternativa suggerisce invece di mettere in attuazione il progetto senza informarne la Terra, volevo dire A. E alla fine vien deciso di adottare questa soluzione.