Come sempre Quiicc fu felice di vederlo anche se Gibson lo salutò con minore effusione del solito. Come faceva invariabilmente, il giornalista offrì a Quiicc un frammento di alga aerea sottratto alle provviste tenute in laboratorio. Quel gesto macchinale evidentemente fece affiorare dal suo subconscio un’idea improvvisa. Si fermò di colpo e si volse al biologo capo.
«Mi è venuta in mente proprio adesso un’idea straordinaria» disse. «Vi ricordate di avermi parlato dei trucchi che eravate riuscito a insegnare a Quiicc?»
«Altro che insegnargli! Il problema adesso consiste nel fargli smettere d’imparare troppe cose.»
«Mi avevate anche detto di essere quasi certo che i Marziani sono in grado di comunicare tra loro, esatto?»
«Ecco, la commissione inviata nel loro habitat ha dimostrato che sono dotati di pensiero semplice, nonché di idee astratte quale ad esempio il concetto di colore. Ma questo non dimostra gran che. Anche le api sono dotate delle stesse facoltà.»
«Allora ditemi un po’ cosa ne pensate di questa mia idea. Perché non insegnare loro a coltivare l’alga aerea al nostro posto? Loro sono enormemente in vantaggio rispetto a noi. Possono trasferirsi a piacere in qualsiasi punto di Marte, mentre noi dobbiamo continuamente ricorrere alle macchine. Non è necessario che sappiano quello che fanno. Noi li riforniremo semplicemente di polloni… è così che l’alga si propaga, vero?, insegneremo loro la tecnica necessaria, e provvederemo in seguito a ricompensarli.»
«Un momento. L’idea è ottima, ma non vi pare di aver trascurato alcuni punti essenziali? Forse potremo addestrarli nel modo suggerito da voi. Abbiamo appreso elementi sufficienti della loro psicologia per riuscirci, ma mi permetto di farvi notare che, compreso Quiicc, a quanto ci risulta gli esemplari esistenti sono solo dieci.»
«Ho pensato anche a questo» disse Gibson con impazienza. «Ma non credo che il gruppo da me scoperto sia l’unico esistente. Certo devono essere piuttosto rari, ma saranno almeno centinaia, se non migliaia, sparsi qua e là per il pianeta. Io proporrei una ricognizione fotografica aerea di tutte le foreste di oxyfera, non dovrebbe essere difficile individuare le loro radure. In ogni caso si può tenere conto di un’altra possibilità: ora che si trovano in condizioni di vita più favorevoli, cominceranno senza dubbio a moltiplicarsi rapidamente, come già accade per la flora marziana. Pensate che secondo le vostre stesse cifre, anche se fosse lasciata a se stessa, l’oxyfera potrebbe ricoprire tutte le regioni equatoriali in meno di quattrocento anni. Ora se noi e i Marziani la aiutiamo a propagarsi si riuscirebbe ad anticipare di molto i risultati del Progetto Aurora.»
Il biologo scosse la testa con aria dubbiosa, tuttavia incominciò a fare certi suoi calcoli su un taccuino. Quando ebbe finito si tormentò le labbra coi denti.
«Ecco… così sui due piedi non posso affermare che sia possibile o impossibile» disse. «Sono troppi i fattori ignoti, tra cui, più importante di tutti, il tasso di riproduzione di queste creature. A proposito, sapete che sono marsupiali? Questo punto è stato appena confermato.»
«Come i canguri, volete dire?»
«Esattamente. Il piccolo vive al riparo della borsa materna finché è abbastanza cresciuto per affrontare da solo il mondo freddo e ostile che lo circonda. Si suppone che alcune tra le femmine siano gravide, e che perciò si riproducano annualmente. Però, dato che Quiicc è il solo piccolo che abbiamo scoperto, significa che il loro livello di mortalità è spaventosamente alto. Non c’è da stupirsene con un clima simile.»
«Ma se noi provvediamo a rifornirli di tutto il cibo di cui necessitano» disse Gibson, «d’ora in avanti niente impedirà loro di moltiplicarsi.»
«Ma insomma, volete allevare Marziani o coltivare oxyfera?» domandò il biologo in tono bellicoso.
«L’uno e l’altro» rispose Gibson ridendo, «visto che vanno bene insieme come pane e formaggio, o se preferite come uova e prosciutto.»
«Vi prego» supplicò l’altro con un tono tanto patetico che Gibson si affrettò a chiedergli scusa per la sua sconsiderata mancanza di tatto. Aveva dimenticato che da anni su Marte nessuno gustava più quel semplice ma squisito piatto terrestre.
Più Gibson ripensava al suo progetto e più gli piaceva. Malgrado l’affanno degli affari personali da sbrigare, trovò il tempo di scrivere un appunto sull’argomento, da consegnare ad Hadfield nella speranza che il Presidente avesse la possibilità di discuterne con lui prima del suo ritorno sulla Terra. C’era qualcosa di profondamente emozionante nel pensiero di rigenerare non soltanto un mondo ma anche una razza che forse era più antica dell’uomo.
Gibson pensava ai riflessi delle mutate condizioni climatiche del pianeta sui Marziani. Se il clima fosse diventato troppo caldo per loro, avrebbero potuto facilmente migrare a nord oppure a sud e se necessario spingersi sino alle regioni sub-polari dove Phobos non era mai visibile. In quanto all’atmosfera ricca di ossigeno, c’erano stati abituati in passato e avrebbero potuto adattarvisi di nuovo. Del resto Quiicc respirava ossigeno a Porto Lowell, e aveva tutta l’aria di stare benissimo.
Non si era ancora trovata però una risposta al grande interrogativo posto dalla scoperta della razza marziana. Si trattava di superstiti di una razza che in epoche remote aveva raggiunto un qualche grado di civiltà, e che era poi degenerata quando le condizioni di vita del pianeta si erano fatte troppo dure? Questo era un punto di vista romantico che non veniva suffragato da nessuna prova. Gli scienziati erano concordi nel ritenere che su Marte non fosse mai esistita una cultura progredita. Ma gli scienziati si erano sbagliati una volta, quindi potevano sbagliarsi ancora. In ogni caso sarebbe stato interessante osservare fino a che punto i Marziani sarebbero riusciti a risalire la scala evolutiva, adesso che il loro mondo tornava a fiorire.
Perché quello era il loro mondo, non il mondo dell’Uomo. E anche se gli uomini l’avessero ricreato per i propri scopi, loro primo dovere era quello di salvaguardare gli interessi dei suoi legittimi proprietari. Nessuno poteva dire quale parte i Marziani avevano o avrebbero avuta nella storia dell’universo, e quando, come sarebbe stato un giorno inevitabile, l’Uomo stesso fosse venuto in contatto con razze superiori alla sua, avrebbe forse potuto essere giudicato proprio dal comportamento tenuto là, su Marte.
17
«Mi dispiace che non torni con noi, Martin» disse Norden mentre si dirigevano insieme al compartimento Uno Ovest, «ma credo tu sia nel giusto, e ti ammiriamo tutti moltissimo per la decisione presa.»
«Grazie» rispose Gibson con slancio. «Anche a me sarebbe piaciuto fare il viaggio di ritorno con voi. Ma le occasioni non mancheranno in seguito. Qualunque cosa succeda, non ho intenzione di restare su Marte per tutta la vita!» Rise. «Te lo saresti mai immaginato di cambiare così i tuoi passeggeri?»
«Proprio no. Sotto certi punti di vista sarà piuttosto imbarazzante. Mi sento un po’ come doveva sentirsi il capitano della nave che portò Napoleone all’isola d’Elba. Come l’ha presa il Presidente?»