Per quanto lo riguardava, Jimmy non era affatto sicuro dell’opinione di Gibson su di lui. A volte aveva la sgradevole sensazione che lo scrittore lo considerasse unicamente come materiale grezzo che un giorno forse avrebbe potuto acquistare qualche valore.
Una cosa che sorprendeva in Gibson era la sua solida preparazione tecnica. Quando Jimmy aveva iniziato i suoi corsi serali, come tutti a bordo li chiamavano, si era immaginato che Gibson fosse semplicemente preoccupato di evitare di commettere errori pacchiani negli articoli che radiodiffondeva alla Terra, ma che non nutrisse affatto un vero e profondo interesse per l’astronautica in sé. Ma ben presto si accorse che non era affatto così. Gibson dimostrava un desiderio quasi commovente di dominare branche della scienza così poco comuni, e chiedeva dimostrazioni matematiche che a volte mettevano in imbarazzo Jimmy. Il giornalista possedeva un bagaglio rilevante di cognizioni tecniche, frutto dei suoi studi giovanili. Si era certamente prodotto in dilettanteschi tentativi di affrontare teorie scientifiche un po’ troppo avanzate per lui, e questo gli aveva dato una infarinatura su alcuni problemi, più tipica dei curiosi che dei competenti.
Pur non ammettendola di solito, a volte Gibson accettava con spiritosa rassegnazione il riconoscimento della sua ignoranza e cercava subito di cambiare argomento. Era un ottimo conversatore, con un fiuto infallibile per le notizie scandalistiche, ed era particolarmente abile nello scalzare la reputazione altrui, ma lo faceva senza la minima malizia, anche se più di un aneddoto da lui raccontato a Jimmy sui personaggi più in vista del momento fosse riuscito a scandalizzare il bravo ragazzo che era alquanto puritano.
Nonostante questa spregiudicatezza di Gibson, Jimmy affrontò con sufficiente disinvoltura il discorso su di sé. La lezione si era arenata sullo scoglio delle equazioni integro-differenziali, e sia all’allievo sia al maestro a un certo momento era sembrato più opportuno cambiare completamente discorso. Gibson era in uno stato d’animo gaio, e nel chiudere i libri con un sospiro si volse a Jimmy:
«Non mi hai mai parlato di te, Jimmy. Si può sapere almeno di che parte dell’Inghilterra sei?»
«Di Cambridge… Perlomeno, è là che sono nato.»
«La conoscevo bene Cambridge, una volta, vent’anni fa. Adesso non ci abiti più?»
«No. Quando avevo circa sei anni la mia famiglia si è trasferita a Lecds, e di lì non ci siamo più mossi.»
«Che cosa ti ha spinto a scegliere l’astronautica?»
«Non saprei nemmeno io. La scienza mi ha sempre interessato, il volo interspaziale è la grande avventura di questi anni, e io sento di possedere un’inclinazione naturale per queste cose. Se fossi nato cinquant’anni fa probabilmente mi sarei dedicato all’aeronautica.»
«Perciò t’interessi al volo spaziale come a un problema puramente tecnico, non, come dire?, a qualcosa che potrebbe rivoluzionare il pensiero umano con la scoperta di sempre nuovi pianeti e via di seguito. È così?»
Jimmy rise.
«Credo che abbiate abbastanza ragione. Certo anche queste idee mi interessano, ma quello che veramente mi affascina è il lato tecnico. Anche se fossi sicuro che sui pianeti non c’è niente, sarei ugualmente desideroso di riuscire a raggiungerli.»
Gibson scosse la testa con finta disperazione.
«Finirai col diventare uno di quegli scienziati freddi e astrusi che sanno tutto senza sapere niente. Un altro uomo di valore, completamente sprecato.»
«Mi fa piacere che pensiate così di me» disse Jimmy pronto. «Ma perché v’interessate tanto di scienza?»
Gibson rise, ma nella sua voce c’era una punta d’impazienza mentre rispondeva: «Io m’interesso alla scienza unicamente come mezzo, non come fine.»
La conversazione si svolgeva in un’atmosfera talmente amichevole e l’interessamento appariva così autentico, che Jimmy se ne sentì compiaciuto, e questo lo spinse a parlare ancora più liberamente e con maggior disinvoltura.
Parlò della sua infanzia e della sua prima adolescenza, e Gibson si spiegò le nubi che di quando in quando sembravano oscurare il carattere del ragazzo, solitamente allegro. La madre di Jimmy era morta lasciandolo poco più che in fasce, e suo padre l’aveva affidato alle cure di una sorella sposata. La zia era stata sempre affettuosa con Jimmy, ma questi non si era mai sentito di casa fra i cugini: aveva sempre avuto la sensazione di essere un estraneo. Suo padre non gli era stato di grande aiuto, perché viveva quasi sempre all’estero, ed era morto quando il ragazzo aveva circa dieci anni. Si aveva l’impressione che Jimmy ricordasse poco il padre, cosa alquanto strana, poiché il ricordo della madre, che pure lui aveva conosciuta appena, era invece oltremodo vivo nel ragazzo.
«Non credo che i miei genitori fossero veramente innamorati l’uno dell’altro» disse Jimmy. «Da quanto mi ha raccontato zia Helen, il loro matrimonio dev’essere stato un errore. C’era stato prima un altro uomo… Mio padre deve essere stato una specie di ripiego.»
«Capisco» disse Gibson con dolcezza, e sembrava che veramente sentisse quello che diceva. «Parlami ancora di tua madre.»
«Suo padre, cioè mio nonno, era professore universitario. Credo che mia madre abbia trascorso tutta la sua vita a Cambridge, dove frequentò la facoltà di storia. Oh, ma non credo che tutto questo possa interessarvi!»
«Certo che m’interessa» disse Gibson con calore. «Continua.»
Sembrava uno dei tanti romanzetti fra studenti che fioriscono e muoiono nel breve volgere di un paio d’anni e che tuttavia presi per se stessi sembrano un microcosmo di vita. Ma quello aveva avuto un carattere di particolare serietà. Durante l’ultimo trimestre scolastico la madre di Jimmy, il ragazzo non ne aveva ancora detto il nome, si era innamorata di un giovane studente d’ingegneria. Era stato un amore turbinoso, e nonostante che la ragazza avesse qualche anno più di lui, l’unione fra i due sembrava ideale. La cosa era giunta quasi allo stadio del fidanzamento quando… Jimmy non sapeva dire che cosa fosse successo esattamente. Il ragazzo si era ammalato gravemente, o aveva avuto un esaurimento nervoso, fatto sta che non era più tornato a Cambridge.
«Mia madre non si riebbe mai completamente dalla delusione patita» riprese Jimmy con voce grave, quasi intuisse, pur senza conoscerlo, il dramma materno. «Ma un altro studente era innamoratissimo di lei, e così si sposarono. A volte provo una sincera compassione per mio padre, perché lui doveva essere al corrente della vicenda. Io l’ho sempre visto poco perché… che cos’avete, signor Gibson, non vi sentite bene?»
Gibson tentò di sorridere.
«Oh, niente… un piccolo attacco di nausea spaziale. Mi prende di tanto in tanto, ma passa subito.»
Ecco che il momento della collisione era giunto: vent’anni si erano dileguati come un sogno, e lui si ritrovava all’improvviso a faccia a faccia con i fantasmi, che credeva dimenticati, del proprio passato.
«Martin ha qualcosa» disse Bradley, firmando con un gran ghirigoro il registro delle segnalazioni. «Non può essere colpa di qualche notizia che ha ricevuto dalla Terra perché le ho lette tutte. Credi che soffra di nostalgia?»
«Ha lasciato il vecchio pianeta forse un po’ troppo avanti in età, se questa può essere una spiegazione» disse Norden. «Comunque arriveremo su Marte tra una quindicina di giorni.»
Un’occhiata di Bradley lo avvertì in tempo a non proseguire. Martin Gibson era entrato in quel momento, con un blocco per appunti in mano e l’aria di un cronista novellino al suo primo servizio.
«Allora, Owem, che cosa volevi farmi vedere?» domandò ansioso.
Bradley si avvicinò al quadro principale delle comunicazioni.
«Veramente non è una cosa straordinaria» disse, «però significa che abbiamo superato un’altra pietra miliare, e a pensarci mi fa sempre un certo effetto. Ascolta un po’.»