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Durante il loro soggiorno a Porto Schiaparelli ci fu un solo fatto degno di nota. Gibson si era chiesto spesso con una certa apprensione che cosa sarebbe successo se la cupola pressurizzata avesse ceduto. Ebbe la pronta risposta un pomeriggio mentre stava intervistando l’ingegnere capo nel suo ufficio. Con lui c’era Quiicc, che se ne stava appollaiato sulle larghe gambe posteriori, simile a una buffa bambola meccanica.

A mano a mano che l’intervista procedeva, Gibson si rendeva conto che la sua vittima dava segni di inquietudine superiori al normale. Evidentemente aveva il pensiero rivolto altrove. Sembrava quasi che stesse aspettando che succedesse qualcosa. A un tratto, senza preavviso, tutto il fabbricato prese a vibrare, come sotto una scossa di terremoto. A intervalli uguali, ci furono altre due scosse in rapida successione. Da un altoparlante inserito nella parete, una voce annunciò in tono imperioso: «Sgonfiamento! Questa è una normale esercitazione. Avete dieci secondi di tempo per raggiungere il ricovero. Sgonfiamento! Questa è una normale esercitazione!»

Gibson scattò in piedi, ma subito si rese conto che non poteva fare assolutamente nulla. Da lontano giunse un gran rumore di porte sbattute… poi silenzio. L’ingegnere si alzò, andò alla finestra e si sporse a guardare nell’unica grande strada della città.

«A quanto pare, tutti si sono messi al sicuro» disse. «Naturalmente non è possibile compiere queste prove del tutto di sorpresa. Ne facciamo una al mese, e dobbiamo avvertire la popolazione del giorno esatto, perché non creda che si tratti di un vero incidente.»

«Ma che cosa bisogna fare con esattezza?» chiese Gibson al quale le spiegazioni in proposito, per quanto gli fossero state ripetute almeno un paio di volte, non erano ancora entrate bene in testa.

«Non appena viene dato il segnale, cioè quelle tre scosse che avete sentito, bisogna correre al rifugio. Se vi trovate in casa dovete prendere subito la maschera e precipitarvi ad aiutare chi non ce la fa. Capite, se la pressione cede, ogni casa diventa un’unità a sé, dove la respirazione resta possibile per diverse ore.»

«E quelli che si trovano all’aperto?»

«Hanno pochissimi secondi per raggiungere un rifugio qualsiasi. Dovrebbero però essere sufficienti, perché ogni edificio ha un suo compartimento stagno e può offrire quindi rifugio a chiunque si trovi per strada. Anche se poi doveste accasciarvi all’aperto, senza maschera, verreste senz’altro salvato nello spazio di due minuti… a meno che il vostro cuore funzioni male. Ma di gente col mal di cuore qui su Marte non ne viene.»

«Bene, mi auguro che non succeda mai sul serio un fatto del genere.»

«Ce lo auguriamo tutti. Ma su Marte bisogna essere preparati a tutto. Bene, ecco il cessato allarme.»

L’altoparlante si era rimesso a gracidare.

«L’esercitazione è terminata. Tutti coloro che non hanno fatto in tempo a raggiungere il rifugio entro il limite prescritto si mettano a rapporto come al solito presso l’Amministrativo. Fine della trasmissione.»

«Credete che ci andranno?» disse Gibson. «Io direi che se ne staranno zitti.»

L’ingegnere rise.

«Dipende. È probabile che si comportino come dite voi se la colpa è stata loro. Ma è il modo migliore per mettere in luce i punti deboli dei nostri mezzi di difesa. Qualcuno può venire a dire: "Guardate, io stavo pulendo un forno di fusione quando è stato dato l’allarme. Mi ci sono voluti due minuti solo per uscire. Che cosa devo fare se lo sgonfiamento si verificasse per davvero?". E noi dovremo studiare il problema e trovare la soluzione.»

Gibson guardò con invidia Quiicc che sembrava addormentato, per quanto le sue grandi orecchie trasparenti di tanto in tanto tremassero facendo pensare che avesse un certo interesse per la conversazione.

«Sarebbe bello essere come lui e non doverci preoccupare della pressione dell’aria e di altre cose del genere. Allora sì che da Marte si potrebbe cavare veramente qualcosa di buono!»

«Chi lo sa» disse pensosamente l’ingegnere. «Che cosa hanno saputo fare questi Marziani se non sopravvivere? È sempre fatale adattarsi all’ambiente sfavorevole che ci circonda. Bisogna invece cercare di trasformare l’ambiente forzandolo ad adattarsi a noi.»

Queste parole erano quasi un’eco delle dichiarazioni fatte da Hadfield a Gibson il giorno del loro primo incontro. Il giornalista se ne sarebbe ricordato spesso negli anni futuri.

Il ritorno a Porto Lovvell fu trionfale. La capitale viveva un periodo di particolare euforia dopo la vittoria sulla febbre marziana, e aspettava con impazienza Gibson e la sua sensazionale scoperta. Gli scienziati avevano preparato a Quiicc un ricevimento in piena regola, e gli zoologi in particolare erano impegnatissimi a smentire con nuove affermazioni le loro affermazioni precedenti sui motivi dell’assenza di ogni forma di vita animale su Marte.

Gibson si era rassegnato ad affidare il cucciolo agli scienziati solo dopo averne ottenuto solide garanzie che non stessero pensando, nemmeno lontanamente, alla vivisezione. Poi, in un fermento di idee, era corso dal Presidente.

Hadfield l’accolse con calore, e Gibson si accorse con soddisfazione che l’atteggiamento del Presidente nei suoi confronti era mutato radicalmente. In principio era stato… ecco, se non proprio distaccato perlomeno riservato, e non aveva cercato di nascondergli che considerava la sua presenza su Marte una specie di seccatura, un nuovo peso da aggiungere ai tanti che già lo gravavano. Ma questa iniziale posizione difensiva si era lentamente trasformata, e ora appariva chiaro che il Presidente non lo considerava più come una calamità, anche se non delle peggiori.

«Avete aggiunto alcuni cittadini interessanti al mio piccolo impero» disse Hadfield con un sorriso. «Ho visto proprio adesso il vostro simpatico cucciolo. Ha già morsicato il capo dell’équipe medica.»

«Spero che lo cureranno bene» disse Gibson in tono ansioso.

«Chi? Il medico?»

«Ma no! Quiicc, naturalmente. Sapete una cosa? Vorrei proprio sapere se esistono altre forme di vita animale che ancora non abbiamo scoperto, magari più intelligenti.»

«In altre parole, se i veri Marziani sono questi o altri.»

«Esatto.»

«Forse ci vorranno anni prima di poterlo dire con certezza, ma secondo me non ce ne sono altri. Le condizioni che hanno reso possibile la sopravvivenza di questi esseri non esistono in molte zone del pianeta.»

«È appunto di questo che volevo parlarvi.» Così dicendo Gibson si frugò in tasca e ne tolse una foglia di alga marina. La punse, e subito s’intese un debole sibilo di gas in fuga.

«Se questi vegetali venissero coltivati in maniera adatta, potrebbero risolvere il problema dell’aerazione, permettendo di eliminare gli impianti attuali tanto complicati. Con sabbia sufficiente per alimentarle, potrebbero fornirvi tutto l’ossigeno di cui avete bisogno.»

«Continuate pure» disse Hadfield.

«Naturalmente bisognerebbe procedere prima a una coltura selezionata per ottenere la varietà più ricca di ossigeno» continuò Gibson.

«Si capisce» disse Hadfield.

Gibson guardò il suo interlocutore con improvviso sospetto, perché si era reso conto che nel suo atteggiamento c’era qualcosa di strano. La faccia austera di Hadfield era atteggiata a un curioso sorriso.

«Voi non mi prendete sul serio!» protestò, mortificato.

«Al contrario» disse Hadfield. «Vi sto ascoltando con più interesse di quanto immaginiate.» Giocherellò per un attimo con un fermacarte, poi parve prendere una decisione improvvisa. Si chinò sull’intercom e premette un pulsante.