«Il Progetto Aurora?» ripeté in tono sorpreso. «No, non ne ho mai inteso parlare.»
«Ne siete proprio sicuro?» insistette Gibson, guardandolo attentamente.
George sembrò perdersi in profonda meditazione.
«Sicurissimo» rispose infine. E non fu possibile cavargli altro. George era un attore talmente consumato che nessuno avrebbe saputo dire con certezza se stesse mentendo o se fosse sincero.
Gibson ebbe un poco più di fortuna con un redattore del Tempo Marziano. Westerman era un personaggio che di solito lui evitava volentieri, perché cercava sempre di strappargli qualche articolo, mentre Gibson era già regolarmente in ritardo con i suoi impegni terrestri.
Quando entrò nella piccola redazione dell’unico giornale di Marte, il personale, due soli impiegati, lo guardò quindi con sorpresa.
Dopo aver offerto loro alcune copie di un suo articolo, quale pegno di pace, Gibson mise in azione la trappola che aveva studiato.
«Sto cercando di raccogliere tutte le informazioni che mi riesce di trovare sul Progetto Aurora» disse in tono discorsivo. «Lo so che è ancora segreto, ma desidero aver tutto pronto per quando potrà essere pubblicato.»
Per alcuni secondi nessuno fiatò. Poi Westerman disse: «Credo che di questo sarà meglio che ne parliate al Presidente.»
«Non volevo disturbarlo per così poco. È sempre tanto occupato» disse Gibson con aria innocente.
«Io non posso dirvi niente.»
«Perché? Volete dire che non ne sapete niente?»
«Prendetela come volete. Sono in pochi su Marte a sapere di che cosa si tratti precisamente.»
Questa sì che era una notizia interessante!
«E voi per caso siete fra quei pochi?» insistette Gibson.
Westerman si strinse nelle spalle.
«Io tengo gli occhi aperti e quindi ho indovinato parecchie cose.»
Fu tutto quello che Gibson riuscì a cavargli di bocca. Sospettò, a ragione, che Westerman ne sapesse quanto lui, che volesse nascondergli la propria ignoranza. Il colloquio aveva comunque confermato a Gibson due fatti essenziali. Il Progetto Aurora esisteva veramente, ed era una faccenda segretissima. A Gibson non restava che seguire l’esempio di Westerman: tenere gli occhi aperti e cercare d’indovinare il più possibile.
Decise di abbandonare per il momento qualsiasi ricerca e di fare un giro al laboratorio biologico, dove Quiicc era ospite d’onore. Trovò il piccolo Marziano seduto sulle cosce secondo la sua abitudine, e tranquillo come il solito, mentre gli scienziati, raccolti in un angolo, cercavano di decidere quello che dovevano fare. Non appena vide Gibson, Quiicc emise un grido di gioia e si lanciò verso di lui rovesciando una sedia ma evitando per fortuna di urtare un apparecchio prezioso. I biologi assistettero a quelle dimostrazioni di simpatia con un certo dispetto, forse perché non si conciliavano con le loro opinioni sulla psicologia marziana.
«Allora» disse Gibson al capo-équipe non appena poté liberarsi dalle effusioni di Quiicc e dalla stretta delle zampe tenaci, «avete deciso sino a che punto è intelligente?»
Lo scienziato si grattò la testa.
«È una bestiola veramente strana. Qualche volta ho addirittura la sensazione che ci prenda in giro. Fatto curioso, questo cucciolo è molto diverso dal resto del suo branco. Come sapete, abbiamo mandato una squadra a studiare gli altri nel loro habitat.»
«In che senso è diverso?»
«Gli altri, sino a questo momento almeno, non hanno dato alcun segno di emotività, e non dimostrano nemmeno la minima curiosità. Si può stare vicino a loro per ore e ore, e quelli vi girano attorno seguitando a mangiare senza neppure degnarvi di uno sguardo. Insomma, finché non date loro decisamente fastidio non si occupano affatto di voi.»
«E se vengono disturbati?»
«Cercano di spingervi via come se l’oste un ostacolo qualsiasi, e se non ci riescono, vanno da un’altra parte. Ma qualsiasi cosa facciate, non c’è verso di irritarli veramente.»
«Ma sono bonaccioni di natura, oppure decisamente stupidi?»
«Né l’una cosa né l’altra, direi. È tanto tempo che non hanno più nemici naturali che non riescono nemmeno a immaginare che qualcuno possa far loro del male. Ormai devono essere più che altro creature abitudinarie. La vita è talmente dura per loro che non si possono concedere il lusso costoso di essere curiosi o emotivi.»
«E allora come spiegate il comportamento di questo cucciolo?» chiese Gibson accennando a Quiicc che in quel momento gli stava frugando nelle tasche. «Non è che abbia fame veramente, gli ho dato da mangiare proprio adesso, quindi la sua dev’essere curiosità pura e semplice.»
«Si tratta probabilmente di una fase che attraversano mentre sono ancora giovani. Pensate alla diversità che passa tra un cucciolo di gatto e un gatto adulto, o tra un bambino e un adulto.»
«Perciò quando Quiicc sarà cresciuto, sarà uguale ai suoi genitori?»
«Forse, ma non possiamo dirlo con certezza. Non sappiamo quali capacità abbia di abituarsi al nuovo ambiente. Per esempio è bravissimo nel ritrovare la strada in un labirinto, una volta che lo si sia persuaso a tentare lo sforzo.»
«Povero Quiicc!» mormorò Gibson. «A volte provo un vero rimorso al pensiero di averti portato via dalla tua casa. Però l’hai voluto tu. Su, andiamo a fare una passeggiata.»
Quiicc non se lo fece ripetere due volte: corse subito verso la porta.
«Avete visto?» esclamò Gibson. «Capisce quello che gli dico!»
«Anche un cane si comporta nello stesso modo quando sente il richiamo del padrone. Può darsi che si tratti ancora una volta di una semplice questione di abitudine. Lo portate fuori ogni giorno alla stessa ora, e lui ci si è abituato. Ce lo riportate tra mezz’ora? Stiamo sistemando l’encefalografo per prendergli un encefalogramma.»
Quelle passeggiate pomeridiane erano una scusa per riconciliare Quiicc col suo destino e acquietare al tempo stesso la coscienza di Gibson. A volte si sentiva come un rapitore di bambini che avesse abbandonato la propria vittima subito dopo il ratto. Ma era tutto per amore della scienza, e i biologi avevano giurato che non avrebbero mai fatto alcun male al piccolo Quiicc.
Gli abitanti di Porto Lowell si erano ormai abituati a vedere la strana coppia passeggiare ogni giorno per le strade della cittadina, e la gente non si affollava più per vederli. Quando non era orario di scuola, Quiicc di solito raccoglieva intorno a sé un gruppo di giovani ammiratori che volevano giocare con lui, ma quel giorno era un po’ più presto del solito, e la popolazione infantile era ancora nel recinto scolastico. Insomma non c’era nessuno in vista, quando Gibson e il suo amico imboccarono la Broadway. Ma poco dopo comparve in lontananza la figura familiare di Hadfield in giro per la sua ispezione quotidiana, come sempre accompagnato dai suoi gatti.
Era la prima volta che Topazio e Turchese s’incontravano con Quiicc, e la loro calma aristocratica fu messa a dura prova. Fecero del loro meglio per dissimulare l’agitazione alla vista dello sconosciuto rivale, ma tirando il guinzaglio andarono a nascondersi dietro le gambe di Hadfield. Quiicc invece non li degnò neppure di un’occhiata.
«Che serraglio!» disse Hadfield ridendo. «Non credo che Topazio e Turchese siano molto contenti di avere un rivale. Da tanto tempo regnano qui soli e indisturbati, che credono che questo posto spetti soltanto a loro.»
«Ancora nessuna notizia dalla Terra?» domandò Gibson con una certa ansia.
«A proposito della vostra richiesta? Quanta premura! L’ho spedita soltanto due giorni fa. Sapete anche voi con quanta rapidità si muovono le cose laggiù. Passerà almeno una settimana, prima che si possa avere una risposta.»