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Per il momento la sua sensazione era che la maggiore città marziana fosse soltanto un grosso villaggio-giocattolo supermeccanizzato.

Al di là del riparo della cupola, oltre le alture vermiglie, oltre il limite della pianura di smeraldo… il resto di quel mondo era ancora un mistero inviolato e ignoto.

9

«Mi fa davvero piacere rivedervi finalmente tutti quanti» disse Gibson, trasportando cautamente le bibite dal piano del bar. «E adesso chissà che cosa combinerete qui a Porto Lowell. Immagino che la prima mossa sarà quella di rimettervi in contatto con le ragazze del posto.»

«Il che non è mai un’impresa facile» disse Norden.

«Di solito, da un viaggio all’altro le ritroviamo sposate, quindi bisogna andarci con molto tatto. A proposito, George, che ne è della signorina Mackinnon?»

«Vuoi alludere alla signora Henry Lewis, comandante» lo corresse George, «madre di un bambino molto bello.»

«Pazienza!» sospirò Norden. «Speriamo che mi abbiano lasciato una fetta di torta nuziale. Alla tua salute, Martin.»

«E a quella dell’Ares» soggiunse Gibson facendo tintinnare il bicchiere contro quello dell’amico. «Mi auguro che l’abbiate rimessa insieme a dovere. Quando vi ho lasciati era alquanto malridotta.»

Norden rise.

«Le rimetteremo a posto la corazza solo dopo che avremo rifatto il carico. Ma non c’è pericolo che si rovini per eccesso di pioggia.»

«Che ne pensi di Marte, Jimmy?» chiese Gibson. «Tu sei il solo nuovo qui, oltre a me.»

«Non ho ancora visto quasi niente» rispose Jimmy con prudenza. «Però tutto, qua dentro, mi sembra di dimensioni ridotte.»

«Ricordo che quando eravamo su Deimos dicevi giusto il contrario, ma probabilmente te ne sei dimenticato. Quella volta eri leggermente sbronzo.»

«Non sono mai stato sbronzo in vita mia!» protestò Jimmy sdegnato.

«Allora ti faccio i miei complimenti perché in quell’occasione hai fatto una perfetta imitazione dell’ubriaco; e io ci sono cascato in pieno. Ma m’interessa quello che dici perché io ho avuto la tua stessa impressione subito dopo i primi due giorni, cioè dopo aver visto tutto quello che c’era da vedere dentro le cupole. C’è un solo rimedio: uscire e sgranchirsi le gambe. Per il momento ho girellato solo un po’ a piedi qua attorno, ma adesso sono finalmente riuscito a mettere le mani su una pulce del deserto della società trasporti. Domani voglio andare a fare una bella corsa fra le colline. Vuoi venire anche tu?»

Gli occhi del ragazzo brillarono di gioia.

«Oh, grazie! Ne sarei felicissimo!»

«E noi?» disse Norden.

«Voi ci siete già stati» disse Gibson. «Ma siccome c’è un terzo posto, giocatevelo ai dadi per decidere chi deve venire. Bisogna che ci prendiamo un autista autorizzato altrimenti non ci permetteranno di viaggiare con uno dei loro preziosi veicoli, e in fondo non si può dar loro torto.»

Fu Mackay a vincere la gita offerta da Gibson, dopo di che gli altri si affrettarono a dichiarare che in fondo non ci tenevano, perché non avevano nessuna voglia di muoversi.

«Be’, questo sistema tutto» disse Gibson. «Trovatevi alla sezione trasporti, Cupola Quattro, domattina alle dieci. Adesso devo lasciarvi. Ho tre articoli che mi aspettano, o per essere esatti, un articolo con tre titoli diversi.»

Gli esploratori s’incontrarono in perfetto orario, dotati di tutto l’equipaggiamento protettivo che avevano ricevuto al loro arrivo ma che sino a quel momento non avevano avuto occasione di usare, e che comprendeva un casco, i cilindri per l’ossigeno, un purificatore d’aria, insomma tutto quello che era necessario per una gita all’aperto su Marte durante una giornata calda, nonché una tuta termica fornita di speciali pile a secco grazie a cui si poteva stare caldi e a proprio agio anche se la temperatura esterna scendeva a cento sotto zero, e che portarono con sé in quella gita solo per misura precauzionale, nel caso che un guasto alla pulce li costringesse a un’assenza prolungata dalla città.

Il pilota dell’automezzo era un giovane geologo dall’aspetto particolarmente robusto, il quale affermava di aver trascorso più di metà del suo tempo, da quando si trovava su Marte, all’aperto, fuori di Porto Lowell. Dava l’impressione di sapere il fatto suo, e Gibson non trovò difficoltà ad affidargli la sua preziosa esistenza.

«Queste macchine si guastano spesso?» chiese mentre salivano sulla pulce.

«No, state tranquillo. Hanno uno straordinario margine di sicurezza ed è veramente molto difficile commettere un errore di manovra. Certo, qualche volta capita che un guidatore inesperto si insabbi, ma anche in questo caso è facile tirarsi fuori da soli usando la manovella a mano. Nel mese scorso è successo soltanto un paio di volte che qualcuno abbia dovuto tornare indietro a piedi.»

«Speriamo di non essere noi i terzi» disse Mackay, mentre il veicolo s’infilava nel compartimento stagno.

«Io non me ne preoccuperei» disse il conducente ridendo, mentre aspettavano che si aprisse la porta esterna. «Non ci allontaneremo molto dalla base, quindi potremo sempre tornare indietro senza troppa fatica anche se succedesse qualche inconveniente.»

Sospinti da un colpo di corrente percorsero velocemente l’ultimo tratto del compartimento e uscirono dalla città. Nel vivido e basso tappeto vegetale era stato tagliato un passaggio, una specie di viottolo che circondava la cupola e da cui partivano altre strade che portavano alle vicine miniere, alla stazione radio, all’osservatorio in cima a un’altura, e alla pista di atterraggio dove in quel preciso momento si stava procedendo allo scarico della merce dell’Ares trasportata con i razzi-traghetto in continuo viavai da e per Deimos.

«Ecco» disse il conducente fermandosi al primo incrocio. «Sono a vostra completa disposizione. Da che parte volete andare?»

Gibson stava litigando con una carta geografica troppo grande per le proporzioni della minuscola cabina.

La loro guida diede un’occhiata di disprezzo alla carta.

«Non so proprio dove abbiate scovato quella roba» disse. «Probabilmente ve l’hanno data all’Amministrativo, ma ha l’età di Adamo ed Eva. Se mi dite dove volete che vi porti, vedrete che me la caverò benissimo senza bisogno di consultare quella roba.»

«Come volete» disse Gibson. «Io direi di salire un po’ sulle colline e di dare un’occhiata intorno. Andiamo all’Osservatorio.»

La pulce si lanciò con un balzo all’assalto della strada e ben presto il verde luminoso che li circondava si confuse in una macchia stemperata, priva di contorni.

«Che velocità raggiungono questi aggeggi?» chiese Gibson quando fu riuscito a districarsi dalle ginocchia di Mackay sulle quali era andato a finire.

«Su una strada buona possono fare i cento; ma siccome di strade buone su Marte non ce ne sono, dobbiamo rassegnarci a un’andatura da lumaca. Adesso siamo sui sessanta, ma su terreno accidentato si è fortunati a mantenere una media di trenta.»

«E che autonomia hanno?» chiese Mackay, con una evidente punta d’inquietudine.

«Un buon migliaio di chilometri con una sola carica, compresa l’energia per il riscaldamento, la cucina eccetera. Ma per viaggi lunghi di solito ci portiamo dietro un rimorchio con batterie di ricambio. Il massimo sinora raggiunto è di circa cinquemila chilometri. Io personalmente ne ho percorsi tremila, quando facevo rilievi e misurazioni di terreno ad Argyra. In occasioni del genere però i rifornimenti vengono paracadutati.»

Erano in viaggio solo da pochi minuti, ma già Porto Lowell stava scomparendo all’orizzonte.