Il più grosso di quegli animali era alto quasi come Hilton. Gli altri erano molto più piccoli. Il più piccolo di tutti, inferiore al metro, poteva benissimo essere definito un cucciolo. Saltellava freneticamente nel disperato tentativo di raggiungere le foglie più appetitose, e ogni tanto emetteva esili suoni flautati che facevano tenerezza.
«Fino a che punto credi che siano intelligenti?» mormorò Gibson.
«È difficile dirlo. Osserva però come hanno cura di non distruggere le piante che mangiano. Naturalmente può trattarsi di semplice istinto, simile a quello delle api che non si sbagliano mai nel costruire i loro alveari.»
«Si muovono molto lentamente, non ti pare? Chissà se sono animali a sangue caldo.»
«Non vedo perché dovrebbero avere sangue, sia caldo sia freddo. Il loro metabolismo deve essere tutto speciale e molto insolito per permettere loro di sopravvivere in un clima come questo.»
«Sarebbe quasi ora che si degnassero di notare la nostra presenza.»
«Il grosso l’ha notata. L’ho sorpreso a guardarci con la coda dell’occhio. E non vedi come seguita a puntare le orecchie dalla nostra parte?»
«Avviciniamoci.»
Hilton rifletté un istante.
«Non vedo come potrebbero farci del male anche se lo volessero» disse poi. «Quelle loro zampe mi sembrano molto deboli. Però ho l’impressione che i loro triplici becchi potrebbero lasciare il segno. Avanzeremo molto lentamente. Se ci caricano, io tarò scattare il flash mentre voi scapperete. Sono convinto che nella corsa siamo più veloci di loro. Non hanno certo le caratteristiche dei gran corridori.»
Muovendosi con una lentezza che nell’intenzione degli esploratori improvvisati voleva essere più rassicurante che furtiva, i tre avanzarono nella radura. Ormai non c’era più dubbio che i Marziani li avessero visti, perché subito una mezza dozzina di grandi occhi calmi li fissarono, ma per poco. Le creature marziane distolsero subito lo sguardo per posarlo nuovamente sulle foglie, dedicandosi all’operazione assai più importante di nutrirsi.
«Non mi sembrano affatto curiosi» disse Gibson deluso. «Siamo così poco interessanti?»
«Attenzione! Il piccolo ci ha individuati. Chissà che cos’ha intenzione di fare!»
Il piccolo Marziano aveva smesso di mangiare e fissava gli intrusi con un’espressione che avrebbe potuto significare molte cose: dalla più profonda incredulità alla golosa speranza di un nuovo pasto. Lanciò un paio di squittii acuti ai quali un adulto rispose con un calmo honk, quindi il cucciolo prese a saltellare verso gli spettatori incuriositi.
Si fermò a un paio di passi dagli uomini. Non era né intimorito né diffidente.
«Onoratissimo di fare la vostra conoscenza!» disse Hilton in tono solenne. «Permettete che ci presentiamo. Questo è Jim Spencer, quest’altro signore alla mia sinistra è Martin Gibson… Ma non ho capito bene il vostro nome.»
«Quiicc!» squittì il piccolo Marziano.
«Molto bene, signor Quiicc. Cosa possiamo tare per voi?»
La creatura tese una zampa e tirò Hilton per la manica. Poi saltellò verso Gibson che nel frattempo era stato indaffaratissimo a fotografare quello scambio di cortesie. Di nuovo sporse una zampa inquisitrice, e Gibson si affrettò a togliere di mezzo la macchina fotografica per evitare eventuali danni. Quindi gli tese la mano, e i piccoli artigli si chiusero sulle sue dita, con sorprendente energia.
«Socievole, eh, il piccolo?» disse Gibson dopo essersi liberato senza difficoltà dalla stretta della creatura. «Almeno non è borioso come i suoi genitori.»
Sino a quel momento infatti gli adulti non avevano degnato di un’occhiata quello scambio di convenevoli, ma avevano seguitato a brucare placidamente sull’altro lato della radura.
«Mi piacerebbe dargli qualcosa, ma non credo che riesca a mangiare il nostro cibo. Prestami il tuo temperino, Jimmy. Gli taglierò qualche foglia, tanto per vedere se siamo veramente amici oppure no.»
Il dono fu accettato gentilmente e prontamente mangiato, mentre le piccole mani subito si protendevano a chiederne ancora.
«A quanto pare hai fatto colpo, Martin» disse Hilton.
«Temo che sia amore interessato» sospirò Gibson. «Ehi, lascia in pace il mio apparecchio fotografico. Non è da mangiare, sai?»
«Un momento» disse a un tratto Hilton. «Sta succedendo qualcosa di strano. Di che colore è questo cucciolo, secondo te?»
«Marrone da una parte e… direi grigio sporco dall’altra.»
«Bene. Adesso giragli attorno e dagli da mangiare un po’ di foglie.»
Gibson obbedì, e Quiicc si girò sulle anche per afferrare il nuovo boccone. Mentre il Marziano si muoveva si verificò un curioso fenomeno.
La tinta bruna della parte anteriore del corpo sbiadì lentamente e a poco a poco la pelle diventò grigia mentre sul dorso accadeva il contrario, finché lo scambio non fu completo.
«Gran Giove!» esclamò Gibson. «È peggio di un camaleonte! Secondo te che cosa significa? Si tratta forse di una colorazione mimetica?»
«No, è un processo molto più astuto. Guarda gli altri che stanno laggiù. Osserva, non cambiano colore. Restano sempre bruni, o quasi neri, direi, nel lato rivolto al sole. È semplicemente un accorgimento per captare quanto maggior calore possibile ed evitarne la dispersione. Le piante marziane hanno lo stesso comportamento. Chi sarà stato il primo a pensarci? Questo trucco servirebbe poco a un animale che si muovesse in fretta, ma se hai fatto caso quei bestioni laggiù sono nella stessa posizione da oltre cinque minuti.»
Gibson si mise subito a fotografare questo strabiliante fenomeno. Cosa che non gli riuscì difficile, perché ogni volta che si muoveva, Quiicc si girava tutto speranzoso verso di lui e aspettava pazientemente.
«Mi dispiace di interrompere questa scena patetica» disse Milton, «ma avevamo detto che saremmo tornati entro un’ora.»
«Non occorre tornare tutti. Senti, Jimmy, sii bravo, fai una corsa sino all’aereo e avverti il pilota che non stia in pensiero per noi.»
Ma Jimmy stava osservando il cielo: era stato il primo ad accorgersi che da qualche minuto un aeroplano stava compiendo dei giri concentrici sopra la vallata.
I loro evviva ebbero il potere di disturbare i placidi Marziani dal loro pacifico brucare, e più di uno sguardo carico di disapprovazione si posò su di loro. Quiicc poi si spaventò talmente che schizzò via con un balzo, ma si riprese subito dalla paura avuta e tornò verso di loro.
«Ci rivediamo più tardi!» gli gridò Gibson mentre si allontanavano di corsa dalla raduta. Gli indigeni non li degnarono neppure di un’occhiata.
Erano già quasi a metà strada quando Gibson si rese conto che qualcuno lo seguiva. Si fermò di colpo e si voltò. Ansimando forte, ma ostinandosi coraggiosamente a saltellargli alle calcagna Quiicc gli aveva tenuto dietro.