Lo scatto della serratura risuonò sulle sue ultime parole.
Kayder tuffò la mano sotto la scrivania, prese un microfono e fece scattare il pulsante. Le dita gli tremavano e grosse vene gli comparvero sulla fronte.
— Avvisare immediatamente tutti — urlò con voce rauca. — Fra poco ci sarà un’irruzione. Il piano numero uno di copertura deve essere messo immediatamente in atto. Preparatevi subito al piano numero due. — Girò lo sguardo furente verso la porta. Sapeva bene che la persona uscita doveva aver sentito tutte le sue parole. — David Raven lascia la mia casa in questo momento. Non dovete perderlo di vista. Bisogna eliminarlo, in qualsiasi modo. Priorità assoluta. Occuparsi di Raven!
La porta si aprì e comparve Santil.
— Sentite, mi ha colto alla sprovvista, in un modo che io…
— Idiota — interruppe Kayder, fremendo. — Voi telepatici vi vantate di essere i migliori dell’universo. Al diavolo! Io ringrazio con tutto il cuore di non esserlo. Tra tutti i fenomeni della mente, il tuo rappresenta di certo il limite inferiore.
— Era completamente vuoto, capite? — protestò Santil arrossendo. — Quando si nasce e si cresce telepatici non si può fare altro che essere condizionati da questo fatto. Ho dimenticato che quel tale poteva scrutare anche tenendo il cervello più morto di un cane morto, e distrattamente mi sono lasciato sfuggire un pensiero. Lo ha raccolto con la massima rapidità e io me ne sono accorto soltanto quando ve ne ha parlato.
— «Ho dimenticato» — lo schernì Kayder. — È in cima alla lista delle ultime frasi famose. «Ho dimenticato». — La faccia gli si fece furente, e il suo sguardo si spostò verso l’angolo in cui si trovava una cassetta ricoperta da una rete. — Se quei calabroni di foresta fossero capaci di riconoscere una persona, li manderei all’inseguimento. Lo ridurrebbero a uno scheletro prima che avesse il tempo di lanciare un grido. — Distolse lo sguardo dalla cassetta. Santil non disse niente. — Tu hai un cervello, o quello che passa per tale — continuò Kayder in tono acido. — Perciò usalo! Dimmi dove si trova.
— Non posso. Sto tentando ma è inutile.
— Come te. — Kayder sollevò il ricevitore del telefono e compose un numero. Aspettò un istante. — Sei tu, Dean? Trasmetti la chiamata d’emergenza. Sì, voglio parlare con l’uomo-che-non-conosciamo. Se telefona, digli che probabilmente Raven tenterà qualcosa contro la nostra base locale. Voglio che usi la sua influenza per ritardare l’irruzione o ridurne gli effetti al minimo. — Depose il ricevitore e rimase pensoso a tormentarsi il labbro inferiore.
— Ha un raggio eccezionale. Scommetto dieci a uno che può ancora sentirvi — disse Santil.
— Questo è certo. Ma non gli servirà a niente. Nemmeno noi sappiamo con chi parliamo.
Il telefono tornò a suonare.
— Qui è Murray — disse la voce all’altro capo del filo. — Mi avevate incaricato di fare indagini su Raven.
— Cos’avete scoperto?
— Non molto. Secondo me, i Terrestri sono giunti alla disperazione, setacciano il pianeta e fanno le congetture più assurde.
— Cercate di non farne anche voi — grugnì Kayder. — Heraty, Carson e gli altri non sono stupidi, anche se sono bloccati da una palla al piede. Ditemi cosa avete scoperto e lasciate a me il compito di trarre le conclusioni.
— Suo padre era pilota delle astronavi di linea per Marte. Un telepate eccezionale nato da quattro generazioni di telepati. Non ci sono stati miscugli di talenti, in senso coniugale, fino a quando i genitori di Raven non si sono incontrati.
— Continuate.
— La madre era radiosensitiva, con antenati radiosensitivi più un supersonico. Secondo il professor Hartman, con tutta probabilità, il prodotto di una simile unione dovrebbe ereditare solo il talento dominante. È lontanamente possibile che il risultato, Raven in questo caso, abbia una ricezione telepatica su una banda eccezionalmente ampia.
— Su questo Hartman si sbaglia. Il nostro uomo può penetrare la mente altrui e nello stesso tempo impedisce agli altri di penetrare nella sua.
— Non so cosa dirvi. Non sono un esperto in materia — disse Murray. — Io vi ho ripetuto soltanto quello che ha detto Hartman.
— Lasciate perdere. Ditemi il resto.
— Fino a un certo punto Raven ha seguito la carriera del padre. Ha ottenuto il brevetto di pilota per le astronavi sulla linea di Marte, e con il brevetto anche il grado di capitano. Non ha fatto altro. Per quanto ottimamente qualificato, non ha mai pilotato un’astronave per Marte. Dopo aver ottenuto il grado, non ha fatto altro che aggirarsi senza scopo qui attorno. Poi Carson l’ha chiamato.
— Hmm! Molto strano! — Kayder corrugò la fronte. — Siete riuscito a scoprirne la ragione?
— Forse crede che la sua salute non possa permettergli i viaggi su Marte — azzardò Murray. — Dal giorno in cui è stato ucciso.
— Cosa? — I capelli di Kayder si rizzarono sulla testa. — Volete ripetere?
— Dieci anni fa, quando il vecchio Rimfire è scoppiato come una bomba, Raven si trovava allo spazioporto. L’esplosione ha fatto cadere la torre di controllo e c’è stata una carneficina. Ricordate?
— Sì. L’ho vista sullo spettroschermo.
— Raven venne raccolto con gli altri corpi. Era definitivamente uno dei cari estinti. Un giovane medico, quasi per divertimento, si è messo a giocherellare con il cadavere di Raven. Ha sistemato le costole spezzate, ha iniettato adrenalina, ha messo la testa in un polmone a ossigeno e ha fatto il massaggio cardiaco. Raven è ritornato in vita: è uno di quei rari casi di uscita dalla tomba. — Murray fece una leggera pausa. — Probabile che da quel momento abbia perso il coraggio.
— Nient’altro?
— È tutto.
Dopo aver riappeso, Kayder si appoggiò allo schienale della poltrona e guardò Santil. — Ha perso il coraggio. Balle! Da quello che ho visto, Raven non ne ha mai avuto di coraggio da perdere. È una faccenda diversa.
— Chi ha mai detto una cosa simile? — chiese Santil.
— Tieni la bocca chiusa e lasciami pensare.
Il ragno uscì dalla tasca e si guardò attorno. Kayder mise l’insetto sul ripiano della scrivania e lo lasciò giocare con la punta del suo dito.
— Raven ha verso la morte un atteggiamento non umano — rifletté a voce alta. — Ha indovinato che Haller sarebbe morto, dieci minuti prima che questo avvenisse… perché un simile sa riconoscere il suo simile.
— Forse avete ragione.
— C’è da pensare che lo scampato pericolo gli abbia lasciato qualcosa di storto nella testa. Guarda la morte come qualcosa da disprezzare anziché temere. Perché l’ha sfidata una volta e immagina di poterlo fare ancora. — Spostò lo sguardo dal ragno a Santil. — Il suo rientro dall’oltretomba è veramente insolito, e lui deve aver tratto conclusioni pazzesche. Capisci cosa significa?
— Cosa? — chiese Santil a disagio.
— Illimitata temerarietà e coraggio pazzesco. È un telepate superiore a quelli normali, e ha la disposizione mentale del fanatico religioso. Aver conosciuto la morte ha ucciso tutta la paura che poteva averne. È probabile che faccia qualsiasi cosa che gli salti in mente, e in qualsiasi momento. Questo lo rende totalmente imprevedibile. Forse Carson conta proprio su questi fattori. In lui ha trovato un agente dai poteri eccezionali che non teme di correre nei luoghi che intimoriscono anche gli angeli… come ha fatto poco fa.
— Immaginavo che fosse qualcosa di più — disse Santil.
— Anch’io. Dimostra che più la voce si spande, più diventa esagerata. Ora ho l’esatta misura di lui. Dagli una corda lunga abbastanza, e lui ci si impiccherà da solo.
— Cosa volete dire?
— Che sono sempre gli animali che caricano a testa bassa a cadere nella rete. — Kayder solleticò il ragno sul ventre rugoso. — È il tipo che esce da una trappola per lanciarsi subito in un’altra. Non dobbiamo fare altro che aspettare il momento opportuno e si eliminerà da solo. — Qualcosa ticchettò sotto il pavimento. Kayder aprì un cassetto e sollevò un piccolo telefono. — Kayder.