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Ardern corrugò la pelle gialla della fronte. Sembrava preoccupato.

— Mi sono allontanato dalla passerella per venirvi a telefonare…

— E con questo?

— Come possiamo avere la certezza che Raven si trovi sullo scafo? Ha avuto tutto il tempo di uscire tranquillamente dall’astroporto. Chiedere una cabina può essere stata una mossa per metterci su una pista sbagliata.

— Potrebbe essere — borbottò Kayder. — È abbastanza furbo da escogitare una cosa del genere. Comunque, possiamo controllare. Quei maledetti se ne sono andati tutti, dalla base?

— Chiedo subito. — Ardern premette un piccolo pulsante inserito nella parete e parlò nell’apertura che si apriva poco più in alto. — C’è ancora attorno qualche ficcanaso?

— Se ne sono andati tutti.

— Bene, Philby. Scendo con Kayder per…

— Bene, un corno — interruppe Philby. — Hanno portato via otto dei nostri.

— Otto? E per quale ragione?

— Li vogliono sottoporre ad altri interrogatori.

— Erano accuratamente trattati? — chiese Kayder, avvicinandosi alla parete.

— Certo!

— Allora non c’è da preoccuparsi. Noi scendiamo per usare la trasmittente a onde corte. Cominciate ad accenderla. — Ardern riportò il pulsante nella posizione primitiva. — È la prima volta che portano via qualcuno per interrogarlo. Non mi piace. Credete che abbiano trovato il modo di rompere il blocco mentale?

— Perché allora non fermare tutti quanti, voi e me compresi? — Kayder fece un gesto di disprezzo. — È soltanto un modo per dimostrare che si stanno guadagnando la loro paga. Venite. Occupiamoci di una cosa alla volta. Ora dobbiamo parlare con il Fantôme.

Il grosso schermo della ricevente si illuminò e comparvero i lineamenti di una persona dalla pelle scura. Era l’operatore radio del Fantôme.

— Presto, Ardern, datemi i nomi dei nostri uomini — mormorò Kayder. Prese la lista e si inumidì le labbra, preparandosi a parlare.

— Nome, prego — disse l’operatore fissandolo.

— Arthur Kayder. Vorrei parlare con…

— Kayder? — ripeté l’operatore.

L’immagine si annebbiò leggermente, poi lo schermo si coprì di linee diagonali luminose. Alla fine ricomparve l’immagine. — C’è un passeggero in attesa di parlare con voi. Aspettava la vostra chiamata.

— Ecco! — disse Ardern annuendo. — Deve essere uno dei nostri uomini che l’ha individuato.

Prima che Kayder potesse rispondere, l’operatore si protese in avanti per premere dei pulsanti che non erano in vista. La sua faccia scomparve dallo schermo, che ne inquadrò subito un’altra: quella di Raven.

— Cominciate a volermi un po’ di bene, domatore di pulci? — chiese Raven.

— Voi? — esclamò Kayder, spalancando gli occhi.

— In persona. Pensavo che sareste venuto a controllare prima della partenza dell’astronave, ma siete stato lento, molto lento. — Raven scosse la testa in segno di rimprovero.

— Aspettavo la vostra chiamata. Come potete vedere sono proprio a bordo di questa astronave.

— E ve ne pentirete — promise Kayder.

— Per quello che mi aspetta allo sbarco? So che li avviserete del mio arrivo. Vi attaccherete alla radio per mettere in allarme l’intero pianeta. Vi assicuro che mi sento lusingato.

— Vi accorgerete di quanto vi state sbagliando — rispose Kayder, in tono di oscura minaccia.

— Questo sarà da vedere. Preferisco vivere nella speanza che morire in disperazione.

— Una cosa seguirà l’altra, vi piaccia o no.

— Ne dubito, Pidocchio, perché…

— Non chiamatemi Pidocchio! — gridò Kayder, rosso di collera.

— Calma, calma! — lo ammonì Raven. — Se il vostro sguardo potesse uccidere, sarei morto in questo momento.

— Morirete comunque — urlò Kayder, completamente fuori di sé. — Non appena sarà possibile farvi morire. Ve ne accorgerete.

— È bello sentirvi dire una cosa simile. Le confessioni pubbliche danno conforto all’anima. — Raven rimase un attimo a guardarlo in silenzio.

— Vi consiglio di mettere le vostre cose a posto il più presto possibile — disse poi. — Potreste assentarvi per parecchio tempo.

Tolse il contatto senza dare al furioso Kayder la possibilità di rispondere. E sullo schermo ricomparve l’immagine dell’operatore.

— Volete parlare con qualcun altro, signor Kayder?

— No… non ha più importanza. — Spense con rabbia la trasmittente e si girò verso Ardern. — Cosa voleva dire affermando che potrei assentarmi per parecchio tempo? Non riesco a capire.

— Nemmeno io.

Rimasero in silenzio a studiare quella frase sibillina, preoccupati. Poi entrò Philby.

— C’è una chiamata per voi da non-si-sa-chi-è.

Kayder prese il microfono e si mise in ascolto. Dall’altro capo della linea gli giunse la voce familiare dell’uomo che lui non conosceva.

— Ho già seccature sufficienti anche senza dover correre altri rischi per coprire quello che viene gridato ai quattro venti dal primo idiota.

— Come? — chiese Kayder fissando l’apparecchio e sbattendo le palpebre.

— Con mezzo controspionaggio in ascolto, proferire minacce di morte da una trasmittente a circuito aperto è come mettersi in ginocchio ai piedi di qualcuno e pregarlo di sferrarci un calcio nel sedere — continuò la voce in tono acido. — Con le leggi della Terra, la pena è dai cinque ai sette anni di carcere. E io non potrei intervenire.

— Ma…

— Voi siete un collerico, e lui lo sa. Vi ha spinto a gridare per tutto l’etere le vostre intenzioni illegali. Idiota! — Una breve pausa. — Non posso proteggervi senza tradirmi, quindi dovete scomparire alla svelta. Prendete le vostre scatole e bruciatele, con tutto il contenuto. Poi andatevi a nascondere, fino a quando non riusciremo a farvi lasciare il pianeta in qualche modo.

— Come posso fare? — chiese Kayder, completamente annichilito.

— Sono affari vostri. Lasciate immediatamente la base… Non devono trovarvi là. E siate prudente nel rientrare in casa per prendere le scatole. Possono già aver messo l’edificio sotto sorveglianza. Se non riuscite a recuperarle entro un’ora, lasciate perdere.

— Ma contengono il mio esercito. Con quelle scatole potrei…

— Non potreste fare niente — lo interruppe, secca, la voce — perché non vi darebbero la possibilità di usarle. Ora non perdete tempo a discutere con me. Sparite dalla circolazione e statevene tranquillo. Quando il chiasso si sarà un po’ calmato, cercheremo di nascondervi su qualche astronave diretta a Venere.

— Potrei difendermi dall’accusa — disse Kayder con tono supplichevole. — Potrei dire che si trattava soltanto di frasi dette senza intenzione in un momento di collera.

— Sentite — disse stancamente la voce — il controspionaggio vuole togliervi dalla circolazione. Da mesi sta cercando un pretesto per farlo. Niente può salvarvi tranne una deposizione di Raven in cui dica di sapere che si trattava di parole senza importanza… E io non credo che riuscirete a ottenerla. Ora piantatela e cercate di non farvi trovare.

All’altro capo delle linee la comunicazione venne tolta, e Kayder riappese cupo il ricevitore.

— Che cosa succede? — chiese Ardern guardandolo fisso.

— Cercano di mettermi in gabbia per cinque o sette anni.

— Perché?

— Minaccia di omicidio.

— Possono farlo, se veramente ne hanno l’intenzione — disse Ardern. Dalla sua espressione trapelava l’intenso sforzo mentale. Poi i suoi piedi si staccarono da terra, e lui si sollevò lentamente verso la presa d’aria che si apriva nel soffitto. — Me ne vado finché sono ancora in tempo. Io non vi conosco. Mi siete completamente sconosciuto. — E scomparve nel condotto.