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Rimaneva comunque il rischio, anche se minimo, che le squadre avessero la sua fotografia, e che uno degli apparecchi scendesse a bassa quota per poterlo osservare in faccia.

Ma nessuno gli prestò particolare attenzione. A poca distanza da Plain City, un elicottero andò a volteggiare sopra la sua testa, e lui sentì quattro menti frugare nella sua. Per il disturbo che si erano presi, Raven elargì un quadro dettagliato di una violenta lite familiare tra le pareti di un tugurio. Nell’attimo in cui si ritiravano dalla sua mente, riuscì quasi a sentire il disprezzo che avevano provato. Immediatamente i rotori cominciarono a girare con maggiore velocità, e l’apparecchio si diresse di nuovo verso la foresta.

Alla periferia della città, Raven si portò al margine della strada per lasciar passare un enorme trattore che trascinava a rimorchio una grande gabbia di ferro. Due ipnotici e un telecinetico avevano l’incarico di svolgere quella tardiva parte della caccia con i gatti selvatici che si trovavano nella gabbia. Quegli animali potevano seguire una traccia vecchia di una settimana e salire agilmente in cima a tutti i giganteschi alberi della foresta che non fossero coperti di spine.

Dovendo fingersi un essere comune, Raven prese a masticare un filo d’erba rossa e fissò con occhi pieni di curiosità il gruppo di persone che gli stava passando accanto. Le menti di tutti risultarono aperte come libri: uno degli ipnotici era impegnato a smaltire rapidamente una sbornia di tambar, l’altro aveva passato una notte insonne e aveva la sola preoccupazione di restare sveglio. Stranamente, il telecinetico era preoccupato dal fatto di catturare la preda e di essere poi accusato dalle autorità terrestri. In gioventù aveva subito diverse volte le conseguenze dell’aver obbedito a certi ordini, e non l’avrebbe mai dimenticato.

Anche i gatti selvatici trasmettevano i loro desideri felini. Da dietro le sbarre, dieci animali fissarono Raven sbavando, e promisero a se stessi che un giorno o l’altro avrebbero finito con l’assaggiare la carne della razza che dominava. Sei pensavano alla possibilità di fuggire nella foresta e di trovare riparo dove l’uomo non poteva raggiungerli. Gli altri quattro pensavano a cosa avrebbero fatto nel caso che la pista dell’uomo da inseguire si fosse incrociata con quella di una gatta selvatica. Evidentemente gli sarebbe piaciuto unire l’utile al dilettevole.

Il ridicolo gruppo si allontanò lungo la strada sotto gli occhi della preda. Probabilmente sarebbero tornati verso sera, rossi d’orgoglio per il successo, dopo aver fatto a pezzi qualche povero diavolo che vagabondava nella giungla, o qualche distillatore clandestino di tambar.

Continuando il cammino verso la città, Raven raggiunse una piccola casa in granito, con brillanti orchidee dietro i vetri delle finestre. Non ebbe difficoltà nel trovare la strada, anche se era la prima volta che visitava Plain City. Raggiunse la destinazione come se si fosse trattato di raggiungere una luce lontana nel pieno della notte. E quando arrivò alla porta non ebbe bisogno di bussare. Quelli che lo stavano aspettando avevano contato ogni suo passo e sapevano perfettamente che lui sarebbe arrivato in quel momento.

8

Mavis, piccola, bionda, con occhi azzurri, si rannicchiò nella poltrona e fissò Raven con lo stesso sguardo penetrante con cui spesso lui metteva a disagio gli altri. Era come se lo volesse osservare internamente, per vedere il vero io che si nascondeva dietro la maschera di carne.

Charles era un tipo grasso e alquanto pomposo, affetto dallo sguardo inespressivo degli esseri di grado inferiore. Qualsiasi umano superiore osservando Charles avrebbe dichiarato senza esitazione che doveva essere un idiota. Un rivestimento di stoltezza gli avvolgeva il cervello, e questo serviva a convalidare la prima impressione di quelli che avessero voluto scrutargli nella mente. Charles era un’entità nascosta in modo eccezionale, più per fortuna che per artificio.

— Naturalmente siamo felici di vederti — disse Mavis vocalmente, per il piacere di sentirsi muovere la lingua in bocca. — Ma cosa ne è stato della disposizione che ciascuno deve restare sulla sua palla di polvere?

— Le circostanze modificano i casi — rispose Raven. — Comunque, Leina è al suo posto. Può risolvere lei qualsiasi problema improvviso.

— Però è sola, interamente sola — disse Mavis, mettendosi dalla parte di Leina. — Nessuno può risolvere questa situazione.

— Hai ragione, certo. Ma nessuno rimane isolato per sempre. Alla fine ci si riunisce — Raven rise in modo strano. — Anche se solo nel dolce futuro — aggiunse.

— La tua teologia si manifesta con chiarezza — commentò Charles. Si mise a sedere nella pneumopoltrona accanto a Mavis, distese le gambe e si posò le mani sulla pancia. — Secondo quanto dice Leina, tu hai voluto cacciare il naso negli affari degli altri. È vero?

— Per metà. Ma voi non siete ancora al corrente di tutta la storia. Qualcuno di questo pianeta, aiutato da sconosciuti che si trovano su Marte, si diverte a tirare la Terra per i capelli. Sono come bambini cattivi che giocano con un fucile, senza preoccuparsi del fatto che potrebbe essere carico. Vogliono conquistare l’indipendenza completa attraverso una forma di coercizione che equivale a un nuovo tipo di guerra.

— Guerra? — chiese Charles incredulo.

— Proprio così. Il fatto è che le guerre hanno il vizio di sfuggire sempre di mano. Di solito chi ne comincia una non è mai in grado di fermarla. Se è possibile, bisogna impedire che questo conflitto cominci sul serio, cioè che diventi ancor più cruento.

— Mmm! — fece Charles grattandosi il doppio mento. — Sappiamo che su questo pianeta esiste un forte movimento nazionalista, ma l’abbiamo ignorato, perché non riveste nessun interesse particolare dal nostro punto di vista. Anche se arrivano a lanciarsi bombe e a distruggersi l’un l’altro, che importanza ha? Per noi è una fortuna, non ti pare? Loro perdono, e noi ci guadagniamo.

— In un senso, ma non nell’altro.

— Perché?

— I Terrestri hanno assolutamente bisogno di unità perché stanno puntando verso i Deneb.

— Stanno puntando… — La voce di Charles si spense nella gola. Per un attimo gli occhi privi di espressione brillarono di una luce intensa. — Stai dicendo che le autorità terrestri sono veramente a conoscenza dei Deneb? Come diavolo fanno a saperlo?

— Perché si trovano allo stadio di sviluppo numero quattro — spiegò Raven. — Sono accadute cose che il grosso pubblico ancora non conosce, e che sono ancora meno conosciute qui e su Marte. I Terrestri hanno prodotto e sperimentato un reattore potentissimo. Ora lo vogliono provare su una distanza maggiore e non sono in grado di stabilire quali siano i suoi limiti. Per esseri materiali come loro, si comportano abbastanza bene.

— È evidente — disse Charles.

— Non sono stato in grado di scoprire con esattezza fin dove sono arrivati, né ho saputo i dati che gli astronauti hanno riferito, ma sono sicuro che hanno in mano elementi che hanno fatto nascere in loro il sospetto che prima o poi verranno a trovarsi in contatto con qualche forma di vita sconosciuta. Voi e io sappiamo che può trattarsi soltanto dei Deneb — Raven agitò un dito nell’aria. — Noi sappiamo anche che i Deneb stanno scorrazzando da lungo tempo come un branco di cani con cinquecento piste da seguire. Non sanno esattamente quale strada prendere, ma il loro spostamento generale si verifica in questa direzione.