— Non mi sembra tanto formidabile — osservò Raven.
— Aspetta un momento. Non ho ancora finito. Wollencott è il perfetto ritratto del dinamico capo di un movimento patriottico clandestino, tanto da fare pensare che sia una persona chiamata a recitare una parte. Ed è proprio così.
— Da chi?
— Da un certo Thorstern, il vero capo, la potenza che sta dietro il trono, quello che cospira nell’ombra, l’uomo che continuerà a vivere dopo l’impiccagione di Wollencott.
— Il burattinaio, vero? Sai qualcosa di particolare sul suo conto?
— Sì e no. La cosa più sorprendente è che non si tratta di un mutante. Non ha una sola attitudine paranormale. — Charles fece una pausa e rimase un attimo a riflettere. — Ma è spietato, ambizioso, astuto. Uno psicologo di prim’ordine, con un cervello sorprendentemente agile.
— Un comune con quoziente d’intelligenza altissimo.
— Esatto! E questo significa tutto, quando i talenti temibili non hanno menti temibili. Data una lucidità di prim’ordine, anche un essere comune può mettere nel sacco un telepatico dai riflessi lenti. Il suo pensiero si muoverebbe di una frazione più veloce, tanto da impedire la reazione del telepatico.
— Lo so. Ho già sentito parlare di un paio di casi del genere. È facile che i mutanti commettano lo sbaglio di sottovalutare un avversario per il solo fatto che è un essere comune. Inoltre, la forza in sé non è mai sufficiente. Bisogna anche possedere una grande abilità per applicarla. Ecco dove eccellono i Deneb. Fanno pieno uso di tutto quello che possiedono. — Raven si alzò e andò alla porta. — Ma non dobbiamo ancora occuparci di loro. Non qui. Adesso il nostro primo obiettivo è Thorstern.
— Vengo con te. — Charles si sollevò dalla pneumopoltrona e si girò verso Mavis. — Ti affido il forte, cara. Se qualcuno mi cerca, racconta che papà è andato a pescare… ma non dire che cosa.
— Cerca di tornare — disse Mavis. — Possibilmente intero.
— In questa strana fase di esistenza di vita nella morte non si può promettere niente. — Charles scoppiò a ridere facendo tremare la pancia.
— Comunque farò il possibile.
Uscì con Raven, lasciando la ragazza al compito che si era scelta: quello di fare la guardia a cose della Terra ma non terrestri.
E come Leina, Mavis rimase sola a osservare… ad ascoltare… Unica consolazione, il pensiero che la sua solitudine era condivisa da altre sentinelle lontane.
9
La solita nebbia serale stava avanzando sulla città e rotolava con pigra decisione lungo le strade e i viali. A poco a poco, con il calar del sole, la massa giallastra diventava sempre più densa. Verso mezzanotte sarebbe stata una calda e umida coperta nera che nessuno avrebbe potuto attraversare speditamente. Soltanto i ciechi, gli agitati e gli insonni notturni, e qualche supersonico dotato di eco-radar, che riusciva a trovare la strada come i pipistrelli.
Nelle foreste era diverso. Le piante si stendevano su una zona considerevolmente più alta, e la nebbia scendeva a ricoprire soltanto le valli e la pianura. La caccia sarebbe continuata. Gli elicotteri avrebbero sorvolato senza interruzione le cime degli alberi, e le squadre a terra avrebbero frugato in tutte le radure.
Charles e Raven passarono di fronte a una vetrina in cui uno spettroschermo proiettava dei ballerini che danzavano Le Silfidi. La prima ballerina attraversò la scena con grazia infinita, pallida e fragile come un fiocco di neve.
A qualche chilometro di distanza, avvolte nell’oscurità, creature mostruose e alberi spaventosi segnavano il confine tra il quasi-conosciuto e l’ignoto. Era un contrasto di estremi che pochi notavano, a cui pochi pensavano. Quando un pianeta risultava occupato da un periodo tanto lungo da possedere una popolazione composta quasi totalmente di esseri nati sul pianeta stesso, gli antichi sogni diventavano monotonia, lo sconosciuto diventava il familiare, e le fantasie di un tempo venivano sostituite con fantasie nuove e totalmente diverse.
Charles si fermò di fronte alla vetrina per guardare la scena del balletto. — Osserva la facilità e la grazia con cui volteggia, la sottigliezza degli arti, la calma impassibile, e la bellezza quasi eterea del suo viso. Nota come si ferma, come esita, e come riprende a danzare. Sembra una rara e stupenda farfalla. Quella ragazza è un ottimo esempio di quel tipo quasi irreale che ha entusiasmato l’umanità per secoli interi. Il tipo “balletto”. Quella ragazza mi affascina perché mi costringe a pormi un quesito.
— Quale? — chiese Raven.
— Se per caso le persone come lei sono di un tipo paranormale, non riconosciuto e da loro stesse insospettato. Io penso che possa esistere un talento troppo fine per essere definito e classificato.
— Spiegati meglio.
— Mi chiedo se gli esseri come lei non abbiano una forma subconscia di percezioni extrasensoriali che le obbliga a tendersi in modo poetico verso una meta che non conoscono né sanno descrivere. Questa consapevolezza intuitiva dà loro un intenso anelito che possono esprimere in un solo modo. — Charles indicò la ragazza sullo schermo. — Sembra una farfalla. La farfalla… una falena che ama il giorno.
— Può esserci qualcosa di vero in questo.
— Io ne sono certo, David. — Charles si staccò dalla vetrina e riprese il cammino insieme all’amico. — Come forma di vita libera, gli esseri umani hanno acquisito un gran cumulo di conoscenze. Quanto immensamente più grandi sarebbero se potessero sommare anche quelle nozioni che nascono istintive nel subconscio, ma che loro non possono portare al livello di conoscenza.
— Fratello Carson pensa la stessa cosa — disse Raven. — Mi ha mostrato una lista dei tipi di mutanti conosciuti, poi mi ha detto che poteva non essere completa… Possono esistere dei tipi che non hanno ancora scoperto le qualità che possiedono, e che non sono mai stati scoperti da altri. È difficile identificarsi come stranezza, a meno che la stranezza non si manifesti in modo evidente.
Charles fece un cenno affermativo. — Questa settimana si è sparsa la voce della scoperta accidentale di un tipo completamente diverso. Un giovane operaio ha perso la mano mentre lavorava con una sega circolare e ora pare che gli stia crescendo una nuova mano.
— Un biomeccanico — lo definì Raven. — Può procurarsi nuove parti del corpo. Be’, si tratta di una facoltà innocua, cosa che non possiamo dire di certe altre.
— Sì, certo. Il fatto è che fino a oggi non sapeva di possedere questa dote perché non gli era mai capitato di perdere parti del corpo. Senza l’incidente occorsogli, sarebbe magari giunto fino al giorno della morte senza sospettare di avere poteri paranormali. Spesso mi domando quante altre persone mancano di una adeguata conoscenza di se stesse.
— Moltissime. Considera quello che sappiamo noi.
— Certo — rispose Charles con calma. — Sarebbe sufficiente a scuotere un migliaio di mondi. — Afferrò il braccio dell’amico e strinse le dita con forza. — Infatti, ne sappiamo tanto da essere convinti che sia tutto. David, pensi che… che…?
Raven si fermò di scatto. Gli occhi punteggiati d’argento si erano accesi, esattamente come quelli dell’altro. — Continua, Charles. Fini sci quello che stavi dicendo.
— Pensi forse che noi sappiamo soltanto la metà di quanto c’è da sapere? Che quanto sappiamo è ben lungi dall’essere l’intera storia? Che ci sono altri più informati di noi, che ci osservano attentamente come noi osserviamo questi altri? Per deriderci, talvolta, e per compiangerci?
— Non posso saperlo — disse Raven, piegando le labbra con amarezza. — Ma se esistono, noi sappiamo una cosa: e cioè che non interferiscono nelle nostre faccende.
— No? Come possiamo esserne certi?