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— Non lo fanno in modo che possa risultarci evidente, almeno.

— Abbiamo scoperto la tattica dei Deneb — osservò Charles. — Si sono dati da fare parecchio, ma non ci hanno mai toccato. Viceversa potrebbero esserci altri che ci spingono senza sapere chi stanno spingendo, né noi sapere chi ci sta spingendo.

— Meglio ancora, potrebbero usare i nostri stessi metodi per metterci in confusione — disse Raven, scettico, ma con l’intenzione di continuare il discorso. — Potrebbero apparire a te e a me come noi appariamo a questi altri: perfettamente comuni. — Fece un gesto della mano per indicare la città. — Come uno qualsiasi di questi abitanti. Supponi che io di tica di essere un Deneb travestito di carne… Avresti il coraggio di dirmi che sono un bugiardo?

— Certo — disse Charles senza esitazione. — Sei uno sporco bugiardo.

— Mi spiace di doverlo ammettere. — Diede una manata amichevole sulle spalle di Charles. — Vedi, tu sai chi sono. Quindi devi avere una consapevolezza intuitiva. Sei decisamente un paranormale, e ti dovrestri esprimere con la danza.

— Come? — Charles abbassò gli occhi e si guardò il grosso ventre. Sporgeva come un pacco-dono natalizio, nascosto sotto il vestito. — Questo è prendermi in giro.

Tacque nell’attimo in cui tre uomini in uniforme girarono l’angolo della casa e si fermarono sul loro cammino.

Indossavano l’uniforme delle guardie forestali, l’unico corpo organizzato, a parte le speciali squadre di polizia, ufficialmente autorizzato a girare con le armi. Rimasero uno vicino all’altro, come tre amici che terminano le loro chiacchiere prima di tornare a casa. Ma la loro attenzione era rivolta verso le due persone che stavano andando verso di loro. Le loro menti dicevano che si trattava di pirotici a caccia di un certo Raven.

Il capo della piccola squadra tenne d’occhio i due che stavano avanzando e aspettò che fossero giunti alla loro altezza. Poi si spostò di scatto per sbarrare la strada.

— Vi chiamate David Raven? — chiese in tono autoritario.

Raven si fermò, spalancando gli occhi con espressione sorpresa.

— Come avete fatto a indovinarlo?

— Non fate lo stupido — ammonì la guardia fissandolo con rabbia.

Raven si girò verso Charles: la sua espressione si era fatta triste.

— Mi ha detto di non fare lo stupido. Pensi che io lo sia?

— Sì — rispose Charles con prontezza. — Lo sei da quando hai battuto la testa da bambino. — Poi girò interrogativamente gli occhi verso la guardia. — Perché cercate questa persona di nome… di nome…

— Raven — suggerì Raven, per essergli di aiuto.

— Oh, sì, Raven. Perché lo cercate?

— Ha una taglia sulla testa. Non guardate mai lo spettroschermo?

— Di tanto in tanto — rispose Charles. — Il più delle volte trasmettono programmi che mi annoiano a morte, e così non lo accendo.

La guardia sogghignò verso i compagni. — Adesso avrete capito come fa certa gente a restare povera. La fortuna bussa alla porta di tutti, ma certi si rifiutano di ascoltarla. — Riprese a parlare con Charles, senza minimamente badare a Raven. — Dallo spettroschermo hanno comunicato che è necessario catturarlo al più presto possibile.

— Cos’ha fatto?

— Ha messo in pericolo l’equipaggio e i passeggeri del Fantôme. Ha spalancato un portello violando il regolamento, si è rifiutato di obbedire al comandante dell’astronave, è sceso in una zona proibita, ha eluso la visita medica dell’arrivo, ha evitato il controllo doganale, si è rifiutato di passare nella camera di sterilizzazione antibatterica e… — Fece una pausa per riprendere fiato e girò la testa verso i compagni. — C’è qualcos’altro?

— Ha sputato nella cabina principale — suggerì uno, che era sempre stato tentato di farlo, ma non aveva mai osato.

— Io non sputo mai — disse Raven guardandolo gelidamente.

— Zitto, voi! — ordinò il capo, per far comprendere che non voleva essere interrotto da estranei, poi tornò a girarsi verso Charles, persona molto più a modo.

— Se vi capita di incontrare questo David Raven, o se vi capita di sentire qualcosa, chiamate Westwood diciassette diciassette e diteci dove si trova. È un individuo molto pericoloso. — Strizzò l’occhio ai compagni e ottenne un muto cenno di conferma. — Faremo in modo che possiate ricevere la vostra parte di taglia.

— Grazie — disse Charles, con umile gratitudine. Si girò verso Raven. — Vieni. Siamo già in ritardo.

Si allontanarono, consapevoli che gli altri li stavano osservando. I loro commenti li raggiungevano sotto forma di impulsi mentali di estrema chiarezza.

“Ci hanno proprio presi per guardie forestali”

“Speriamo che gli ufficiali la pensino alla stessa maniera se ci capita di incontrare qualcuno.”

“Stiamo perdendo tempo perché un tale sullo spettroschermo ha nominato i quattrini. Avremmo potuto impiegare questo tempo in modo molto migliore. A due isolati di qua c’è una rivendita di tambar. Che ne direste…”

“Perché non hanno trasmesso una sua foto?”

“Un telepate, come ho detto, ci sarebbe stato di grande aiuto. Avremmo dovuto solo aspettare la sua indicazione. Poi, avremmo fatto fuoco e fiamme. E non ci sarebbe rimasto che allungare le dita per ricevere il denaro.”

“A proposito di quei soldi, mi sembra che la taglia sia alquanto strana. Non hanno offerto una cifra tanto alta neppure per Squinty Mason, che pure aveva rapinato diverse banche e aveva ucciso parecchie persone.”

“Forse Wollencott lo vuole per qualche suo motivo personale.”

“Sentite, ragazzi, c’è una rivendita di tambar…”

“D’accordo, ci andremo per una mezz’ora. Se qualcuno ci trova in quella rivendita, abbiamo una scusa buona. Abbiamo sentito delle voci secondo cui Raven avrebbe dovuto incontrarsi in quel posto con una certa persona.”

La trasmissione mentale cominciò a diminuire lentamente.

“Se Wollencott lo vuole…”

Continuarono a parlare di Wollencott finché i pensieri non si persero in lontananza. Pensarono a circa venti motivi per cui Wollencott poteva essere stato offeso dalla persona in fuga, quaranta maniere per costringerlo alla resa dei conti, cento modi diversi in cui Wollencott avrebbe potuto condannare il colpevole per portarlo a esempio.

Era sempre Wollencott, Wollencott, Wollencott. Nessuno mai menzionò Thorstern, né lo pensò minimamente.

La qual cosa risultava una specie di tributo al cervello dell’uomo che portava quel nome.

10

Un gran castello di basalto nero era la casa di Emmanuel Thorstern; risaliva ai primi tempi della colonizzazione, quando le pareti lisce, spesse due metri, significavano una sicura protezione contro i grossi nemici della giungla. Lì il piccolo gruppo dei pionieri venuti dalla Terra si era abbarbicato con ostinazione, fino a quando altre astronavi non avevano portato rinforzi di uomini e di armi. Poi avevano cominciato a muoversi, conquistando sempre maggior terreno.

Sette altri castelli simili, in altri punti del pianeta, costruiti per lo stesso scopo, erano stati abbandonati quando avevano cessato di essere utili. Ora si ergevano, vuoti e cadenti, come cupi monumenti agli oscuri giorni della conquista.

Ma Thorstern ne aveva occupato uno e lo aveva fatto restaurare. Le mura erano state rinforzate ed erano state innalzate nuove torri e bastioni fortificati. Thorstern aveva speso con dovizia, come se la sua discrezione calcolata nelle faccende di potere dovesse venire bilanciata da qualcosa che tutti potevano vedere. Il risultato era una sinistra mostruosità architettonica che si ergeva sopra la densa nebbia come il rifugio di un maniaco signorotto medievale.