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I due intrusi si fermarono in mezzo al cortile. Nella parete alla loro destra si apriva un grande portone borchiato. Anche se perfettamente nascosto dalla densa coltre di nebbia, loro sapevano che esisteva: si avvicinarono per esaminarlo.

— Al cancello hanno messo una serratura con quattordici tipi di seghettatura. Poi l’hanno collegata a una suoneria di allarme contro chi volesse forzare, e alla fine hanno inserito un contatto che interrompe l’allarme per tutto il tempo in cui la guardia deve parlare con quelli che si trovano all’esterno — disse Charles. Poi sogghignò. — Un modo di essere ingegnosi che rasenta l’imbecillità.

— Non mi sembra — disse Raven. — Il congegno è fatto per difesa contro quelli della loro razza, mutanti o no. Per difendersi dai Deneb, o da esseri come noi, il problema è completamente diverso. Thorstern e tutti i suoi amici perderebbero il loro tempo se volessero cercare di risolverlo.

— Forse hai ragione. Secondo il concetto difensivo di questo mondo, il cancello rappresenta qualcosa di invalicabile. — Charles spostò lo sguardo verso la grossa porta e lo stipite che la circondava. — Vedi anche tu quello che vedo io?

— Sì, immediatamente dietro la porta c’è un invisibile raggio di luce che attraversa il passaggio. Aprendo il battente si interrompe il raggio, e subito entrerebbero in azione tutti i campanelli d’allarme.

— Tutto per farci perdere tempo — borbottò Charles, seccato di dover superare delle difficoltà di poco conto. — Sembra che lo abbiano fatto apposta. — Si guardò la pancia. — Ecco cosa ci è d’intralcio — aggiunse con amarezza — il nostro travestimento! Se non lo avessimo, potremmo entrare senza tante difficoltà.

— Potevamo dire la stessa cosa qualche minuto fa. Abbiamo a che fare con degli uomini, e di conseguenza dobbiamo agire come loro. — Raven studiò Charles e sorrise divertito. — Siamo degli uomini, vero?

— No… certe sono donne.

— Sai perfettamente cosa voglio dire. Siamo uomini e donne.

— Certo. Però a volte… — Charles si interruppe e corrugò la fronte. — Questo mi ricorda un pensiero ricorrente, David.

— Quale?

— Quanti cavalli sono veramente cavalli? E quanti cani sono veramente cani?

— È un problema che potremo studiare quando avremo cose meno importanti da risolvere — disse Raven. — Ci può tenere occupati un paio di millenni futuri. — Fece un cenno verso la porta. — Ora ci troviamo di fronte a un piccolo congegno d’allarme. Se qualcuno vuole aprire la porta dall’interno deve prima spegnere il raggio luminoso. Quindi, seguendo i fili, verremo a scoprire dove si trova l’interruttore. Ci vorrà un po’ di tempo.

— Tu rintraccia l’interruttore — disse Charles. — Io mi occupo della porta. Un lavoro ciascuno.

Si occupò immediatamente della parte di lavoro che si era scelta: non ebbe da fare altro che starsene con le mani in tasca e fissare intensamente l’ostacolo.

Raven spostò lo sguardo e fissò con identica concentrazione lo stipite in pietra. La parete non presentava nessun particolare, ma le sue pupille cominciarono a spostarsi verso destra e verso l’alto.

Nessuno disse una parola. Rimasero concentrati nel loro lavoro, uno accanto all’altro, immobili, con gli occhi fissi, come assorbiti da una visione soprannaturale che soltanto loro erano in grado di vedere. Dopo qualche istante Charles si rilassò, ma rimase in silenzio per non disturbare il compagno.

Mezzo minuto dopo, anche Raven allentò la rigidità che aveva assunto.

— Il filo percorre un corridoio, poi gira a destra in un corridoio più piccolo e termina in una specie di piccola anticamera. Quando ho schiacciato l’interruttore si è sentito uno scatto secco, ma per fortuna la stanza era deserta.

Sollevò il braccio e spinse la porta. Il battente girò sui cardini senza il minimo rumore. Varcarono la soglia, si richiusero la porta alle spalle e si incamminarono lungo un corridoio illuminato da una fila di lampade incassate nel soffitto. Raven e Charles sembravano i due nuovi padroni del castello che visitassero la loro proprietà per studiare un nuovo arredamento.

— Ogni cosa ci dà qualche indicazione sulla psicologia di Thorstern — disse Raven. — La serratura complicata, le sbarre e il raggio di luce invisibile potevano essere localizzati da un qualsiasi mutante dotato di buone qualità extrasensoriali… anche se naturalmente, non avrebbe avuto modo di aprirsi la strada. D’altra parte, un telecinetico in grado di vedere i sistemi di sicurezza potrebbe annullare tutti i congegni con estrema facilità. Quindi, il castello è spalancato a tutti i telecinetici con qualità extrasensoriali. Thorstern vive nella convinzione che non esistono creature simili. Si pentirà di aver pensato una cosa sbagliata.

— Non mi sembra che sia in errore. Non esistono umani dotati di…

— Non ancora. Ma un giorno può darsi. Haller, per esempio, era classificato come pirotico e basta, tuttavia, nel momento in cui l’ho toccato ha capito fin troppe cose. Possedeva una forma rudimentale di percezione extrasensoriale, ma lo ha capito solo in quell’attimo. Possedeva un talento intero, più un decimo degli altri.

— Un capriccio della natura.

— Puoi chiamarlo così. Quindi il nostro caro Thorstern, quando si troverà di fronte a due capricci di natura come noi, non ci accoglierà con grande cortesia. Essendo un essere normale, anche se superiore ai suoi simili, ha verso i mutanti un atteggiamento determinato più dalla paura repressa che non da una gelosia aperta.

— Sarà un ostacolo, considerato che il nostro scopo è quello di convincerlo a ragionare.

— Proprio così, Charles. Non sarà facile inculcare un po’ di buonsenso in un individuo potente dominato dalla paura. Il fatto poi di non potergli dimostrare che le sue supposizioni sono errate e che le sue paure sono del tutto infondate renderà il compito ancora più arduo.

— Hai mai immaginato quali potrebbero essere, fra mille, le possibili reazioni di questo mondo se noi fossimo liberi di raccontare alcune verità persuasive? — chiese Charles.

— Sì, molte volte. Ma a che scopo pensarci? Un giorno i Deneb finiranno con l’arrivare. Meno sanno, meglio è.

— Le probabilità sono di almeno un milione contro una che trovino qualcosa degno di essere scoperto — disse Charles, ed era molto sicuro su questo punto. — Guarda Tashgar, Lumina e il gruppo Bootes i Deneb hanno esplorato, hanno trattato con disprezzo le forme di vita trovate, e sono ripartiti nella loro ricerca senza mai trovare il luogo adatto. Diventerebbero pazzi se venissero a sapere che per centinaia di volte hanno stretto in mano quello che cercavano ma che non hanno mai saputo riconoscerlo. — Si permise un leggero sogghigno. — I Deneb sono geni che mancano della capacità elementare di sommare due più due.

— In alcune circostanze, sommare due più due può anche creare grossi problemi matematici — osservò Raven. — A volte i Deneb mi fanno compassione. Se io fossi uno di loro, sarei già matto furioso e… — Nel girare a destra nel corridoio più piccolo, Raven si interruppe di colpo. Diversi uomini stavano venendo verso di loro.

Prima che in uno di questi potesse nascere qualche sospetto, Raven, con sicurezza disarmante, rivolse loro la parola. — Scusate, potreste dirmi da che parte si trova l’ufficio del signor Thorstern?

Rispose l’uomo che camminava al centro e che si dava un leggero tono di autorità sugli altri.