— Vi ringrazio — disse Thorstern.
— Quindi ci è di grande sollievo il fatto che la vittima cancelli i nostri scrupoli — aggiunse Raven, e sentì che quello era il preciso istante, l’esatto momento. Girò di scatto la testa e fissò gli occhi scintillanti d’argento sullo schermo. — Addio, Emmanuel! Un giorno forse ci incontreremo di nuovo.
Thorstern non rispose. Non ne fu capace. I suoi lineamenti aggressivi vennero scossi da una serie di violente contrazioni e gli occhi parvero voler schizzare dalle orbite. Le labbra si mossero, ma non ne uscirono suoni. La fronte si coprì di sudore. Thorstern sembrava sottoposto a una violenta tortura.
Raven osservò la scena senza mostrare la minima sorpresa, e continuò a massaggiare il petto di Charles. La faccia di Thorstern scomparve sotto il limite inferiore dello schermo. Una mano si sollevò per annaspare spasmodicamente nell’aria. Poi ricomparve la faccia, sempre contratta in maniera spaventosa. Tutta la scena si era svolta in meno di venti secondi.
Alla fine, lo strano fenomeno cessò con la stessa rapidità con cui era cominciato. I muscoli della faccia si rilassarono e l’espressione tornò quella di prima. Rimase solo il sudore sulla fronte. La voce profonda riprese a parlare, calma e fredda. Era la voce di Thorstern, con un leggero timbro che non gli apparteneva. Bocca, laringe e corde vocali sembravano essere diventate quelle del pupazzo di un ventriloquo. L’uomo girò la testa verso un microfono situato alla sinistra dello schermo e disse: — Jesmond, i miei visitatori stanno per uscire. Fate in modo che non vengano fermati.
Il pupazzo Thorstern distese il braccio, premette un pulsante, e tutte le serrature si aprirono. Fu l’ultimo atto della sua vita. L’espressione del viso cambiò ancora una volta, la bocca si aprì, e tutti i muscoli ebbero rapidissime alterazioni. Poi la testa svanì dallo schermo. Nell’attimo in cui il corpo crollava a terra parve quasi di sentirne il tonfo.
Charles si agitò. Quando Raven lo scosse con vigore, socchiuse gli occhi e cercò di sollevarsi. Tremava leggermente e aveva il respiro affannoso.
— Dobbiamo fare presto, David. Credevo di poterlo tenere sotto controllo, ma quel maledetto…
— Lo so. Ho visto la sua faccia. Andiamo!
Balzò verso la porta e la spalancò.
Poi aiutò Charles a uscire. La sala era immersa nel silenzio e lo schermo continuava a brillare vuoto. Raven richiuse il battente e svoltò nel corridoio. Era deserto.
— Quel maledetto! — disse Charles, ansimando.
— Stai zitto. Risparmia il fiato.
Superarono la porta protetta dal raggio invisibile e si trovarono nel cortile avvolto nella nebbia. Il flusso di pensieri che giungeva da ogni angolo consigliò loro di allungare il passo.
“… la ballerina avanza contorcendosi come un serpente e… È morto, te lo assicuro. È impossibile che…, ci vuole altro per incendiare quel magazzino…, …sono riusciti a colpirlo nel momento in cui stava per premere il pulsante del gas. Non so come abbiano…, …si dice che qualche anno fa un apparecchio monoposto abbia raggiunto Giove. Io immagino che siano voci sparse dai Terrestri per…, …devono esserci mutanti con diversi talenti, anche se qualcuno afferma il contrario. In questo caso…, …ha scoperto un filone d’argento su un versante delle Sawtooths, così…, …non possono essere andati lontano. Suona l’allarme, idiota! Non startene a contemplare un morto mentre quelli…, …il levitante si solleva per mettersi a camminare sul soffitto e dalla tasca gli esce una fotografia che cade ai piedi della moglie. Lei la raccoglie e…, …non possono essere ancora arrivati al cancello. Mettete in azione la sirene, e sparate a vista… Avresti dovuto giocare l’asso. Ehi, cos’è tutto questo baccano?…, …non importa chi siano e cosa sanno fare. Possono morire come tutti gli altri.”
Jesmond, arcigno come sempre, stava aspettando vicino al cancello. La pessima visibilità gli impedì di riconoscerli fino a quando non furono a pochi passi. Allora spalancò gli occhi.
— Voi? Come avete fatto a entrare?
— Non sono affari che vi riguardano — disse Raven, poi fece un cenno verso il cancello. — Obbedite agli ordini e aprite.
— Va bene, state calmo.
Borbottando tra sé, Jesmond cominciò ad armeggiare attorno alla complicata serratura. Tutti gli avvenimenti di quella sera lo avevano già seccato abbastanza.
— Presto. Non abbiamo tempo da perdere.
— Davvero? — La guardia si girò per guardarli, risentito. — Chi sta tribolando con la serratura, voi o io?
— Io — disse Raven con rabbia, e sferrò un pugno potente sul naso di Jesmond. Poi si massaggiò le nocche indolenzite. — Scusami, amico.
Jesmond cadde a terra di schianto e dalle narici cominciò a uscire un filo di sangue. Gli occhi si erano chiusi e la mente doveva ondeggiare in qualche punto in mezzo alle stelle.
Raven terminò di aprire e spalancò il cancello. — Hai già fatto abbastanza — disse a Charles. — È ora che te ne torni a casa.
— Non ci penso nemmeno — rispose Charles, fissando l’amico con occhio esperto. — Il cancello aperto è una finta, altrimenti non avresti colpito con tanta forza quel disgraziato. Tu vuoi rientrare nel castello, e io voglio venire con te.
In quel momento, la sirena collocata sulla torre più alta si mise a suonare. Il suono, dapprima rauco, in pochi attimi si trasformò in un ululato lacerante che penetrò nella nebbia per echeggiare in tutta la regione circostante.
12
Avanzarono in mezzo alla nebbia fredda e umida. La scarsa visibilità, comunque, non impedì loro di procedere celermente. Camminavano come se si trovassero alla piena luce del giorno. In fondo al cortile, molto oltre la porta che avevano aperto per entrare nel castello, c’era uno stretto voltone di pietra con una lanterna appesa al centro. Di ottone smaltato, ricca di fregi ornamentali, la lanterna penzolava innocentemente e proiettava un tenue ventaglio di luce invisibile su una serie di cellule microscopiche incassate nel gradino sotto l’arcata.
La sirena continuava a lanciare il suo lugubre ululato, mentre Raven cercava di rintracciare il circuito che azionava quel sistema di sicurezza così ben mascherato. Infine superò l’arcata, seguito da Charles. Un attimo dopo la sirena ammutolì con una specie di rantolo.
L’improvviso silenzio fu rotto da un coro di voci rabbiose e da un’orda di pensieri altrettanto furenti.
— Pensavo di dover impiegare più tempo — disse Raven. — I fili corrono per quasi tutto il castello e terminano a un grande pannello di comando. Comunque, sono stato fortunato.
— In che senso?
— Quando ho interrotto il contatto si è accesa una spia luminosa… e nessuno ci ha fatto caso. Sembra che tutti al castello siano in preda al panico. Continuano a scambiarsi ordini a vicenda senza concludere niente.
Si sporse un poco oltre l’angolo per guardare verso il cancello. Si sentì il rumore di molti piedi in corsa; poi dalla porta sbucarono diversi uomini che si lanciarono verso l’uscita. Ci fu un confuso incrociarsi di voci che cercavano di dominarsi a vicenda.
Era molto più facile ascoltare i pensieri.
“Troppo tardi. Il cancello è aperto, e Jesmond è tramortito.”
“Voi tre eravate nella stanza delle guardie. Cosa stavate facendo? Giocavate a jimbo? Ma guarda che roba! Due anormali escono tranquillamente dal castello, e loro continuano a giocare!”
“Vi siete mossi soltanto quando è suonato l’allarme! Be’, avevate ormai un’ora di ritardo!”
“Basta con le discussioni! Non stiamo facendo un’inchiesta! I due fuggitivi non posso essersi allontanati troppo. Inseguiamoli.”