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— So che siete un telepate e che potete leggere i miei pensieri — disse Thorstern avvicinandosi allo sportello. — So che potete fare anche molto di più. Sono impotente di fronte a voi… per ora…

Chiamò a raccolta tutto il suo coraggio. In quel momento Raven lo prese per un braccio e Charles gli afferrò l’altro. Come i levitanti hanno la mente condizionata da questa loro particolare abilità, così gli altri sono condizionati dalle loro limitazioni.

Thorstern aveva il cervello e il coraggio di una belva, tuttavia la sua natura si ribellava con tutte le forze a un salto nel vuoto. Con un paracadute o una cintura antigravità non avrebbe esitato un attimo. Stretto tra le mani di quei due avversari si sentiva invece terrorizzato.

Nel momento in cui si staccarono dall’elicottero, Thorstern chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Sentì un vuoto alla bocca dello stomaco e l’aria cominciò a fischiargli attorno alle orecchie.

Ebbe la momentanea visione di un tetto che saliva vertiginosamente per fracassargli le gambe e il corpo. Poi un energico strattone rallentò la sua caduta. Tenne gli occhi chiusi finché non sentì il terreno sotto i piedi. Erano scesi in mezzo a una strada.

In alto, nel cielo, il pilota aveva afferrato il microfono. — Due tipi lo hanno preso e lo hanno costretto a saltare con loro da oltre seicento metri. Ero convinto che fossero levitanti, invece li ho visti cadere come sassi. Come? No, non ha opposto resistenza né mi ha dato ordini. Per quanto posso dire, io penso che siano caduti nel Settore Nove, nei paraggi di Reece Avenue. — Ci fu una breve pausa. — No, se lo conosco bene. È stato molto strano. Non voleva saltare dall’elicottero, ma l’ha fatto.

— Il vostro pilota sta chiedendo aiuto alla polizia — disse Raven.

— Non credo che possa servire — rispose Thorstern, guardandosi disperatamente attorno nella nebbia per scoprire dove si trovavano. — Ma non ha importanza.

— State diventando fatalista?

— Accetto temporaneamente le situazioni che non posso cambiare. Al gioco non si può vincere sempre. — Prese un fazzoletto e si asciugò il sudore. — È sempre l’ultima mossa quella che conta.

L’affermazione venne detta senza tono di vanto. Era la voce dell’esperienza, la considerazione di un uomo abituato a vedere i propri piani ostacolati e costretto spesso a rimandarli di una settimana, di un mese, di un anno. Sapeva armarsi d’infinita pazienza, quando se ne presentava la necessità. Ma era l’uomo che non perdeva mai di vista la meta, pronto a riprendere la marcia non appena fosse stato possibile.

Ammetteva di essere stato battuto quella notte, ma ammoniva gli avversari che ci sarebbe sempre stato un domani, un altro giorno. Era un modo di sfidarli, di mostrare i denti. In quel momento non poteva fare altro.

13

Mavis andò ad aprire la porta prima che qualcuno di loro avesse bussato o suonato il campanello. Non dimostrò né gioia né sorpresa nel rivedere Raven e Charles, e mantenne l’indifferenza tipica di chi sa benissimo quello che è successo.

— Ti pentirai per quello che hai fatto — disse rivolgendosi a Charles col tono della madre che rimprovera il bambino. — Me lo sento. — Poi Mavis tornò nella sua cucina.

— Ecco che abbiamo un nuovo tipo di mutante — borbottò Charles senza scomporsi. Si lasciò cadere pesantemente su una poltrona. — Abbiamo il chiaroveggente.

Thqrstern indicò la cucina in segno di approvazione verso la donna.

— È un piacere sentire finalmente qualcuno che parla con un po’ di buonsenso.

— Ciascuno parla assennatamente secondo il suo particolare punto di vista. Ogni uomo è l’oracolo di se stesso — disse Raven spingendo una poltrona verso Thorstern. — Accomodatevi. È inutile restare impalati per il solo fatto che si è in cattiva compagnia.

Thorstern si mise a sedere e cercò disperatamente di scacciare una serie di pensieri che cercavano di formarsi nella sua mente. Sapeva che le due persone sedute di fronte gli potevano leggere nel cervello e, per quanto poteva immaginare, lo stavano sondando anche in quel momento.

Non poteva però stabilire se lo scrutavano di continuo. Un telepatico si accorge quando una mente estranea penetra nella sua, ma al nontelepatico non è possibile. Thorstern si rendeva perfettamente conto di essere in posizione di enorme svantaggio. In altri casi, nel suo castello, sarebbe corso ai ripari facendo allontanare i telepatici. Ora cercò di scacciare i pensieri, come avrebbe fatto con una nuvola di mosche moleste, ma, come le mosche, i pensieri continuarono a ronzargli attorno.

“Questi mutanti con pluripoteri possono proteggere le loro menti. Forse anche la donna può farlo. Ma io non posso nascondere i miei pensieri, e dubito che loro possano schermare i flussi mentali degli altri. Le pattuglie della polizia staranno già setacciando le strade, e forse qualcuna si trova già qui vicino. Le avranno rinforzate con tutti i telepatici che sono stati in grado di trovare a quest’ora di notte. Così, a meno che la stanza non sia protetta da schermi, c’è la possibilità che qualcuno rintracci le mie onde mentali e che scopra da dove provengono. Le pattuglie convergerebbero subito in questa zona e…”

Riuscì a scacciare il pensiero, ma dopo qualche secondo fu costretto a concluderlo.

“Vorrei sapere se le onde dei pensieri hanno la stessa tonalità individuale della voce. Forse sono tutti identici. In questo caso devo lanciare il pensiero adatto nel momento esatto. Se questi lo raccolgono, può succedere un finimondo. Comunque, devo tentare.”

Fissò lo sguardo su Raven, accigliato.

— Mi avete fatto saltare nel vuoto. Mi sono messo a sedere quando me lo avete detto. Mi sono sottomesso a tutti i vostri ordini. Che cosa facciamo adesso?

— Parliamo.

— Sono le due di notte. Si potrebbe parlare domani mattina, a un’ora ragionevole. — Thorstern arricciò le labbra. — Era proprio necessario fare tutte queste scene melodrammatiche?

— Sfortunatamente, sì. È molto difficile giungere fino a voi. Inoltre mi state facendo dare la caccia come se fossi il cane che ha rubato l’arrosto della domenica.

— Io? — disse Thorstern, spalancando gli occhi stupito.

— Voi e l’organizzazione che comandate.

— State parlando della mia ditta commerciale? Ma è un controsenso! Abbiamo altro da fare che molestare la gente. Mi sembra che soffriate di mania di persecuzione.

— Sentite, di questo abbiamo già parlato. E la cosa comincia a perdere d’interesse. Non avete ascoltato la registrazione del nostro colloquio con Greatorex?

Thorstern avrebbe voluto negare l’esistenza dei malleabili che recitavano la sua parte, ma era troppo abile per negare qualcosa che la sua mente ammetteva. Non poteva sperare di convincerli con le parole. Poteva soltanto cercare di rispondere in modo evasivo, per guadagnare tempo.

— Non so cosa abbiate detto a Greatorex — disse. — So soltanto che è morto e che voi c’entrate in qualcosa. Non mi piace. E un giorno non piacerà neanche a voi due!

Charles scoppiò a ridere. — Ecco una perfetta immagine di due persone con la corda al collo. La vostra mente pensa a colori. Mi piace il modo in cui avete fatto uscire le lingue dalla bocca, gonfie e nere. Però, certi particolari sono imprecisi. I nodi non sono fatti nel modo giusto… e io non ho due piedi sinistri.

— Devo sopportare anche la critica, oltre al fatto che mi state leggendo nel pensiero? — chiese Thorstern, rivolgendosi a Raven.

— Non ho potuto farne a meno. I pensieri sadici richiedono una risposta adatta — disse Raven. Poi cominciò a passeggiare avanti e indietro. — Convinti che Greatorex foste voi, noi gli abbiamo chiesto di non pestare i piedi alla Terra. Ha negato e noi lo abbiamo ammonito che il pestare i piedi a qualcuno è una pratica che può giustamente far risentire la vittima. Lui ha continuato a negare. In modo superbo, anche se frenato da certe limitazioni.