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— Ne sono certo. A meno che non sia debole di cuore, possiamo farla morire molto più lentamente di Steen. Che ne dite?

— È disgustoso.

— Come?

— La mente eccelsa, il grande conquistatore, si nasconde dietro le sottane di una donna.

Thorstern fu nuovamente preso dalla collera, ma riuscì a controllarsi. — Sentite chi parla… la persona disposta a far scontare i suoi peccati alla donna.

— A lei non importa — disse Raven sorridendo, e spiazzandolo con quella rivelazione del tutto inaspettata.

— Voi siete pazzo! — esclamò Thorstern, che cominciava a crederlo seriamente.

— A Greatorex non importa minimamente. E neppure ad Haller. Steen è del tutto incurante. Perché mai dovrebbe preoccuparsi Leina?

— Siete un maniaco omicida! — disse Thorstern scattando in piedi. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche delle dita e riprese a parlare con voce vibrante di tensione mista a esultanza.

— Comunque, è ormai troppo tardi. Avete voluto parlare tutta la notte. E hanno captato i nostri pensieri. — Fece un gesto teatrale verso la porta. — Sentite questi passi? Sono di venti persone. Di cinquanta. Di cento. Sono i passi di tutti gli uomini della città!

— Peccato — disse Raven guardandolo impassibile.

— Provate a toccarmi e vedrete cosa otterrete! — invitò Thorstern. — Fra qualche secondo irromperanno nella casa e sarete trattato come vi meritate. — Girò lentamente la testa senza perdere di vista la porta. — A meno che io non sia in pieno possesso di tutte le mie facoltà e non dia l’ordine preciso di risparmiarvi.

— Pare che ci siamo cacciati in un brutto guaio — disse Charles, spostando lo sguardo dal soffitto alla porta, leggermente contrariato.

Thorstern si era irrigidito in mezzo alla stanza e lanciava pensieri con tutta la sua forza, senza preoccuparsi del fatto che i due li potevano captare. “Non possono avere il coraggio di uccidermi in questo momento. Il pericolo sarebbe troppo grande. Rimanderanno i loro piani a un momento che non verrà mai. Verranno giudicati secondo le leggi terrestri. Rapidamente, prima che Heraty possa intervenire. O potrei simulare un incidente. Sarebbe più rapido e più sicuro. Sì, in un modo o nell’altro…” La sua attenzione, come quella di Charles, era rivolta verso la porta. Poco prima aveva sentito, o gli era parso di sentire, lo strisciare cauto di molti piedi. “Devono aver sentito la presenza di questi due tipi formidabili, e procedono lentamente. Sono molto pericolosi. Quando irromperanno dovrò farmi riconoscere all’istante, prima che qualcuno tocchi con troppa precipitazione il grilletto.”

Con la coda dell’occhio guardò i due seduti sulle poltrone. Non si erano mossi e sembravano rassegnati a quella situazione senza via d’uscita. Comandata da una energia mentale lontana, la maniglia cominciò a girare, da sola.

14

La porta si socchiuse lentamente, centimetro per centimetro, come spinta da un leggero soffio di vento o da una mano invisibile e cauta che si trovava all’esterno. Un filo giallo di nebbia entrò dallo spiraglio e diffuse nella stanza il profumo della foresta.

Alle orecchie dei tre uomini giunse il rumore lontano delle pompe in funzione allo spazioporto, e le note di una musica che proveniva da uno dei locali in cui i notturni cercavano di divertirsi secondo le loro abitudini. All’interno della stanza, invece, regnava il silenzio assoluto. Non si udiva nemmeno il respiro dei tre uomini. Questo e il lento socchiudersi della porta crearono una tensione che Thorstern non riusciva a sopportare.

Tenne lo sguardo fissò sullo spiraglio e le orecchie tese per raccogliere il minimo rumore proveniente dall’esterno. Chi c’era in agguato là fuori? Stringevano già le armi in mano? Se avesse fatto un balzo verso la porta, sarebbe stato bersaglio di una raffica micidiale?

O disponevano di telepatici che tenevano gli agenti armati al corrente delle sue intenzioni? Certo, in quel momento, non potevano ancora aver dato ordine di trattenere il fuoco, perché lui esitava, non aveva ancora preso la decisione. Un telepatico poteva leggere i suoi pensieri, ma non poteva certo prevedere il momento esatto in cui li avrebbe messi in atto. No, non c’era scampo in quel senso.

La porta smise di muoversi e rimase aperta in maniera invitante. Il salto verso il buio della strada lo tentò.

Ma che diavolo stavano aspettando? Avevano paura di poterlo colpire durante l’irruzione nella stanza? Avevano forse un piano che richiedeva un’azione simultanea da parte sua? In nome del cielo, perché stavano aspettando?

Altra nebbia entrò nella stanza. Thorstern se ne accorse solo in quel momento e subito gli balenò quella che poteva essere la possibile soluzione. Il gas! Certo, quella doveva essere l’idea. Mescolare il gas con la nebbia. Quelli del castello, quelli che conoscevano la stanza Numero Dieci, dovevano aver suggerito l’idea. Lui non doveva fare altro che restarsene tranquillo e cadere a terra addormentato con quelli che lo tenevano prigioniero.

Era probabile che Raven e il grassone sapessero quello che stava succedendo. La nebbia era ormai perfettamente visibile, e lui aveva pensato al gas con molta chiarezza… A meno che non fossero troppo occupati a scrutare nelle menti di chi stava in agguato all’esterno. Un telepatico poteva leggere in più di un cervello alla volta? Thorstern non lo sapeva, mancava di dati al riguardo. Comunque, anche nelle menti degli altri doveva esserci un solo pensiero. Il gas! Cosa potevano fare per difendersi? Niente! Anche i mutanti, come tutti gli esseri normali, non potevano fare a meno di respirare.

Annusò l’aria per scoprire l’invisibile arrivo dell’arma che lo avrebbe liberato, anche se sapeva che doveva essere inodore. Ma c’erano altri segni capaci di indicare la presenza del gas: il rallentamento delle pulsazioni, una respirazione leggermente più affannosa, una improvvisa confusione della mente.

Si controllò per scoprire uno dei sintomi, e rimase in attesa per una manciata di secondi interminabili. Poi crollò. La tensione era diventata insopportabile e lui non poteva più aspettare.

Si mise a gridare con voce agonizzante. — Non sparate! Non sparate! — Si lanciò con un balzo verso la porta. — Sono io! Sono Thor…

La voce gli morì nella gola.

Rimase con gli occhi fissi verso il buio della notte. E passarono diversi secondi prima che la sua mente comprendesse la verità.

“Non c’è nessuno! Nessuno! Mi hanno ingannato. Mi hanno fatto sentire i rumori e immaginare le cose. Mi hanno trattato come una cavia da laboratorio. Hanno fatto girare la maniglia e hanno aperto la porta da lontano. Ipnotici e telecinetici nello stesso tempo. Possiedono talenti multipli nonostante quello che affermano gli scienziati!” Improvvisamente non riuscì più a controllare il nervosismo. “Corri, idiota! Mettiti in salvo!”

Poi accadde l’inatteso, l’avvenimento che sconvolge i piani meglio studiati: fu il tremendo sforzo nervoso di Thorstern a provocarlo.

Fermo sulla soglia, di fronte a una strada deserta, con la certezza che le pattuglie armate dovevano trovarsi nelle vicinanze, Thorstern sollevò un piede per fare il primo passo verso la libertà. Ma si fermò.

Rimase immobile, e sulla faccia gli comparve un’espressione di sgomento. Appoggiò il piede a terra e si lasciò cadere in ginocchio, come di fronte a una divinità invisibile. Un turbine di pensieri agitati trovò espressione in una serie di frasi e di parole prive di legame.

— No… oh, non fatelo!… Non posso. Io vi dico… Lasciatemi… Steen… Non è stata colpa mia… Oh, lasciatemi…

Cadde in avanti, scosso da un tremito violento. Raven gli si chinò accanto e Charles si alzò di scatto dalla poltrona, sinceramente sorpreso. Mavis comparve sulla soglia della cucina e fissò la scena con sguardo di condanna ma non disse niente.