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Raven afferrò la mano destra dell’uomo disteso a terra, e immediatamente le contorsioni cessarono; sempre stringendo, cominciò a scuotere il braccio come se avesse toccato un filo percorso da alta tensione. Sembrava che stesse combattendo contro una entità invisibile. Thorstern aprì le labbra e boccheggiò come un pesce fuor d’acqua.

— No, no, andate via… lasciatemi… io…

Charles andò all’altro lato dell’uomo disteso e aiutò Raven a trasportarlo su una poltrona. Mavis chiuse la porta, poi rientrò in cucina, accigliata.

Dopo qualche istante, Thorstern riprese a respirare regolarmente e aprì gli occhi. Sentiva strani fremiti in tutti il corpo, e aveva la spiacevole sensazione che il suo sangue fosse diventato effervescente. Gli arti avevano perso la loro forza, e i muscoli sembravano essersi trasformati in acqua. Per quanto gli seccasse ammetterlo anche con se stesso, non si era mai sentito così scosso in vita sua. La faccia era diventata cerea. Ma c’era un fatto molto più curioso: la sua mente aveva perso ogni ricordo di quanto aveva detto in quei terribili momenti, di quanto era accaduto.

Fissò Raven. — Mi avete bloccato il cuore — disse con voce tremante.

— Non è vero.

— Mi avete quasi ucciso.

— Non sono stato io.

— Allora è colpa vostra — disse girando lo sguardo adirato verso Charles.

— No. Per la verità, noi vi abbiamo salvato… se la potete chiamare salvezza — disse Charles sorridendo. — Se non fosse stato per noi, ora sareste uno dei tanti poveri defunti.

— Pretendete che vi creda? Deve essere stato uno di voi.

— E come? — chiese Raven osservandolo esternamente e internamente.

— Uno di voi è telecinetico. Ha girato la maniglia e ha spalancato la porta senza muovere un dito. E nello stesso modo mi ha stretto il cuore. Ecco cos’avete fatto a Greatorex.

— Un telecinetico muove gli oggetti per influenza esterna — osservò Raven. — Non può penetrare all’interno di un corpo umano per sconvolgerne gli organi.

— Per poco non morivo — insistette Thorstern, ancora sconvolto dal pericolo corso. — Ho sentito il mio cuore che veniva compresso… il mio corpo cadere. Come se qualcuno stesse cercando di strapparmi dal mio stesso corpo. Deve essere stato qualcuno a farlo!

— Non necessariamente. Ogni giorno muoiono milioni di persone.

— Io non posso morire in questo modo — piagnucolò Thorstern.

— Perché?

— Ho cinquantotto anni, e non soffro di nessuna malattia. — Si passò una mano sul petto per sentire i battiti del cuore. — Sono sano come un pesce.

— Così pare — osservò Raven.

— Se sono destinato a morire di morte naturale, per un attacco cardiaco, è una strana coincidenza che mi sia venuto proprio in quel momento.

Thorstern ritenne di aver conquistato un buon punto a favore scaricando su di loro la responsabilità di quanto gli era successo. Anche se non poteva essergli di utilità, lui aveva provato una gran gioia nel dare la colpa a loro. Comunque non riusciva a capire… Perché mai negare di averlo fermato sulla porta, quando potevano vantarsene per intimidirlo maggiormente?

Ma a poco a poco, in un angolo oscuro del suo intimo, cominciò a formarsi lo spaventoso sospetto che avessero detto la verità: forse aveva veramente i giorni contati, dal destino. Nessun uomo è immortale. Forse gli restava poco tempo di vita, e il tempo passa veloce.

— Se siete destinato a morire per un attacco cardiaco — disse Raven — è logico che questi attacchi vi vengano nei momenti di maggiore tensione nervosa. Ecco spiegata la coincidenza. Comunque, non siete fuggito e non siete morto. Forse vi capiterà di morire la settimana prossima. O domani. O prima dell’alba. Nessuno conosce il giorno e l’ora della propria morte. — Indicò il piccolo cronometro di Thorstern. — Intanto i cinque minuti sono diventati quindici.

— Mi arrendo. — Thorstern prese un grosso fazzoletto e se lo passò sulla fronte. Respirava ancora a fatica e aveva la faccia bianca come un lenzuolo. — Mi arrendo.

Era vero. Nella mente gli si poteva leggere la decisione che aveva ormai preso per una mezza dozzina di ragioni, alcune contrastanti, ma tutte soddisfacenti.

“Non si può correre per sempre al massimo. Per vivere più a lungo, mi devo fermare. Devo badare a me stesso. Perché costruire qualcosa che poi godranno gli altri? Wollencott è di dodici anni più giovane di me. Diventerà lui il grande capo, quando io sarò nella fossa. Perché sudare per lui? È un mediocre. Un malleabile che ho tolto dalla strada e che ho trasformato in uomo. Un semplice mutante bersaglio. Floreat Venusia… sotto un mutante puzzolente! Anche la Terra riesce a fare di meglio. Heraty e quasi tutti quelli del Consiglio sono esseri normali… Gilchist me lo ha assicurato.”

Raven prese mentalmente nota del nome: Gilchist, uno del Consiglio Mondiale. Il traditore nelle loro file, e senza dubbio l’uomo che aveva fatto il suo nome al movimento clandestino che agiva sulla Terra. L’uomo che né Kayder né gli altri conoscevano perché non volevano conoscerlo.

“Se non sarà un mutante, sarà un altro” continuò a pensare la mente di Thorstern. “Uno di loro saprà aspettare fino al momento di raccogliere senza difficoltà il mio impero. Ero al sicuro finché l’attenzione era concentrata su Wollencott, ora invece mi hanno scoperto. I mutanti sono una potenza. Un giorno o l’altro si organizzeranno per mettersi contro i comuni esseri umani. E io non voglio trovarmi nella mischia allora.”

Alzò gli occhi, e vide che gli altri lo stavano osservando attenti.

— Vi ho già detto che mi arrendo. Cos’altro volete?

— Niente — disse Raven. Poi indicò il telefono alla parete. — Volete che vi chiami un aerotaxi?

— No. Preferiscono andare a piedi. Tra l’altro, non mi fido di voi.

Si alzò lentamente e si portò ancora una volta la mano sul petto. Non era convinto… avevano accettato la sua resa con troppa disinvoltura, e adesso lo lasciavano andare come se niente fosse. Aveva la sensazione, quasi la certezza, che gli avrebbero teso una trappola chissà dove. Sarebbe scattata in fondo alla strada, lontano dalla loro casa? Gli sarebbe venuto un secondo collasso cardiaco?

— Ci fidiamo di voi perché possiamo leggervi nella mente — disse Raven. — È un peccato che non possiate sapere, senza ombra di dubbio, che stiamo dicendo la verità. Non vi toccheremo… sempre che manteniate la vostra promessa.

Thorstern raggiunse la porta e si voltò a guardarli un’ultima volta, sempre pallido; sembrava leggermente invecchiato, ma aveva ritrovato una certa dignità.

— Ho promesso di far cessare gli atti ostili contro la Terra — disse, — e manterrò la promessa alla lettera. Questo, è nient’altro!

Uscì nella notte e chiuse accuratamente la porta: era un tocco di assurdità alla sua uscita dalla scena. Sarebbe stato più logico lasciare la porta aperta, o chiuderla con tanta violenza da far tremare la casa. Ma cinquant’anni prima una donna acida gli aveva ingiunto mille volte di non sbattere le porte, e quelle parole, inconsciamente, risuonavano ancora nelle sue orecchie.

Avanzò il più rapidamente possibile, rasentando i muri delle case. La visibilità scarsissima gli dava la sensazione di essere cieco.

Si fermò due o tre volte ad ascoltare nella nebbia, poi riprese il cammino. A quell’ora di notte, oltre i soliti notturni perennemente irrequieti avrebbe dovuto incontrare le pattuglie di polizia. Dopo aver percorso una distanza che non poteva calcolare, sentì dei rumori alla sua sinistra.

Si portò le mani alla bocca. — C’è qualcuno? — gridò.