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— Avete per caso saputo di un certo Thorstern?

— Esatto. — Carson si agitò a disagio sulla poltrona, ma riuscì a controllare i pensieri. — Da parecchio avevamo i nostri agenti alle calcagna di Wollencott, l’uomo che tutti indicavano quale capo della rivolta. Alla fine due nostri agenti avevano riferito che Thorstern era la vera forza nell’ombra, ma non erano riusciti a trovare prove convincenti. Thorstern ha sempre agito con molta prudenza, e nessuno può provare la minima cosa a suo carico.

— È tutto?

— No — ammise Carson con riluttanza, quasi che non volesse dilungarsi sull’argomento. — Heraty ha detto che Thorstern sta trattando con lui.

— Davvero? Vi ha detto a che proposito? Vi ha dato dei dettagli?

— Ha osservato che dubitava della buona fede di Thorstern, o meglio, che dubitava che fosse veramente la persona che diceva di essere, cioè l’uomo capace di fermare l’intransigenza venusiana. E Thorstern si è offerto di provarlo.

— Come?

— Togliendo di mezzo Wollencott… Così! — soggiunse Carson facendo schioccare le dita. Rimase qualche istante in silenzio, poi sospirò e riprese a parlare. — Questo è successo l’altro ieri. Oggi abbiamo ricevuto un messaggio da Venere con l’annuncio che Wollencott è caduto da un apparecchio antigravità ed è morto sul colpo.

— Uhm! — Raven riuscì quasi a vedere la disgrazia e a sentire lo schianto delle ossa. — Bel modo di licenziare un fedele servitore, vero?

— Meglio non dirlo apertamente… Sarebbe una insinuazione.

— Potrei farne qualcun’altra. Potrei parlare di un membro del Consiglio Mondiale. Di Gilchist, per esempio. È un individuo che si potrebbe tranquillamente chiamare un lurido pidocchio.

— Perché dite questo? — chiese Carson, facendosi improvvisamente attento.

— È la mosca sospetta che vola sul piatto. Thorstern stesso lo ha detto, senza sapere che stava tradendo un traditore. — Raven rimase un attimo soprappensiero. — Non so che faccia abbia questo Gilchist. Il giorno in cui mi trovavo al Consiglio ho annusato i presenti, e non ho sentito puzzo di bruciato. Com’è possibile?

— Non c’era. — Carson scrisse alcune annotazioni su un pezzo di carta. — Mancavano quattro membri. Due per malattia, due per affari urgenti. Uno di questi era Gilchist. È arrivato pochi minuti dopo la vostra partenza.

— Il suo affare urgente era il denunciarmi ai suoi complici — disse Raven. — Cosa farete adesso?

— Niente. La vostra informazione non basta. Passerò la notizia a Heraty, e il Consiglio Mondiale prenderà le sue decisioni. Una cosa è lanciare un’accusa, un’altra è provarla.

— Credo che abbiate ragione. Comunque non ha importanza, sia che non lo puniscano, sia che gli diano una medaglia d’oro per il suo tradimento. In fondo, ben poche cose sulla Terra hanno delle vere conseguenze. — Raven si alzò e raggiunse la porta. — Ma c’è una cosa che conta, per quel piccolo peso che possono avere le cose. Thorstern è un essere normale. E anche Heraty. Voi e io non lo siamo.

— E con questo? — chiese Carson a disagio.

— Ci sono uomini che non possono accettare la sconfitta. Ci sono uomini che possono starsene seduti in un apparecchio antigravità e guardare il compagno fedele che precipita nel vuoto. Ci sono uomini che cadono in preda al panico se stimolati nel modo adatto. Questa è la grande maledizione del mondo… la paura! — Fissò Carson negli occhi. — Sapete cosa atterrisce gli uomini?

— La morte — rispose Carson con voce sepolcrale.

— Gli altri uomini — lo corresse Raven. — Ricordatelo… specialmente quando Heraty vi riferisce parte delle cose e trascura accuratamente il resto.

Carson non chiese cosa intendesse dire. Da tempo era abituato alle tecniche difensive degli esseri normali. Gli venivano a parlare di persona quando non avevano niente da nascondere, in caso contrario gli scrivevano o gli telefonavano. E quasi sempre c’era qualcosa da tenere nascosto.

Rimase in silenzio a guardare Raven che se ne andava. Era un mutante, e non aveva mancato di comprendere l’avvertimento di Raven.

A Heraty piaceva forse troppo sbrigare gli affari per telefono.

Il piccolo e vistoso ufficio in cima a quattro rampe di luride scale erano il rifugio di Samuel Glaustrab, un povero ipno capace appena di incantare un passero. Certi suoi antenati dovevano essere stati mutanti, poi il talento doveva aver saltato alcune generazioni ed era ricomparso ma molto indebolito.

Da altri antenati aveva ereditato una mentalità legale e una lingua pronta, doti che lui valutava molto più dei trucchi di qualsiasi mutante.

Entrato nell’ufficio, Raven raggiunse la scrivania sporca d’inchiostro e salutò. — Buon giorno, Sam.

Glaustrab lo guardò da dietro le spesse lenti degli occhiali cerchiati di corno. — Ci conosciamo?

— No.

— Oh, pensavo di sì — spinse da parte alcuni documenti che stava consultando e si alzò.

“Perché mi chiama per nome?” si chiese. “Chi si crede di essere? Non sono mica il suo valletto.”

Raven si protese sulla scrivania e fissò i pantaloni sdruciti dall’altro.

— Con quegli abiti non ne avete proprio l’aria.

— Un telepatico, vero? — disse Glaustrab e si passò imbarazzato una mano sui pantaloni. — Be’, io non ci faccio caso. Fortunatamente ho la coscienza pulita.

— Vi invidio. Pochi possono dire la stessa cosa.

L’altro si accigliò, perché la frase gli era parsa ironica. — Che cosa posso fare per voi?

— Avete un cliente che si chiama Arthur Kayder?

— Sì, la sua causa verrà discussa domani mattina. — Scosse lentamente la testa. — Dovrò difenderlo con tutta la mia abilità, ma temo che la mia fatica andrà sprecata.

— Perché?

— È accusato di aver fatto pubblicamente minacce d’omicidio, e dato che la parte lesa è assente l’accusa verrà sostenuta dal pubblico ministero. Questo rende il mio compito molto più difficile. Le minacce sono registrate su nastro audiovisivo. Questo nastro verrà presentato alla Corte, e io non potrò negare l’evidenza. — Guardò Raven con aria triste. — Siete un suo amico?

— Sono il suo peggior nemico, per quanto mi risulta.

Glaustrab fece una risatina forzata. — Immagino che stiate scherzando.

— Vi sbagliate, Sammy. Sono l’uomo che lui voleva uccidere.

— Eh? — Spalancò la bocca, poi si piegò sulla scrivania e sfogliò nervosamente alcune carte.

— Vi chiamate David Raven?

— Esatto.

Glaustrab pareva completamente sconvolto. Si tolse gli occhiali, li appoggiò sulla scrivania, se li rimise e li cercò sulla scrivania.

— Li avete sul naso — lo informò Raven.

— Come? — Si scosse di colpo, poi rimase un attimo impacciato. — Già. Che sciocco. — Si rialzò, e infine tornò a sedersi. — Bene, voi siete il signor Raven. Il testimone d’accusa!

— Chi ha detto che voglio testimoniare contro il vostro cliente?

— Lo immagino. Essendo tornato alla vigilia del processo io…

— Supponiamo che non mi presenti al processo… Cosa succederebbe?

— Niente. Le prove registrate saranno più che sufficienti per farlo condannare.

— Già, ma solo perché si presume che io confermi i capi d’accusa. Cosa succederebbe se dicessi di sapere che Kayder stava scherzando?