— Allora? — chiese.
— Siamo stati sfortunati — disse Steen. — Se ne è andato.
— Da quanto?
— Da quaranta minuti — rispose Steen.
— Aveva tre ore di vantaggio — disse Haller battendosi un dito sui denti. — Significa che stiamo guadagnando terreno. Dov’è andato?
— Questo non l’ha detto alla prosperosa signora che abbiamo trovato in quella casa — rispose Steen. — Lei sapeva soltanto che è arrivato con un aerotaxi, che ha preso alcune sue cose che aveva lasciato in deposito e che è ripartito con lo scafo XB 109.
— C’era una donna? — chiese Haller. — Che posizione occupa nella sua vita?
Steen sogghignò.
— Capisco — disse Haller, senza aver capito niente. Spostò lo sguardo sull’inebetito Grayson e rimase a scrutarlo per qualche istante. Poi corrugò la fronte.
— Che diavolo hai?
— Come? — Grayson batté le palpebre, incerto. — Dite a me?
— Sei un telepatico e dovresti saper leggere nella mia mente anche se io non sono in grado di leggere nella tua. Ti ho chiesto mentalmente una decina di volte se hai mal di pancia o qualcosa del genere, e tu hai reagito come se il pensiero fosse uno strano fenomeno confinato in qualche inaccessibile regione sull’altra faccia di Giove. Cosa ti succede? Sembra quasi che ti abbiano dato una dose eccessiva di ipnosi.
— È stata una dose eccessiva della sua stessa medicina — disse Steen rapidamente, per allontanare i sospetti di Haller. — La donna in quella casa era del suo stesso tipo, e lui ha voluto fare il furbo. Potete immaginare cosa significhi farsi graffiare telepaticamente oltre che vocalmente.
— Capisco — disse Haller, convinto. E smise di indagare oltre sulla scarsa loquacità di Grayson. — Meglio ripartire subito. Questo Raven non ci lascerà nemmeno un attimo di riposo.
Entrò nello scafo e gli altri lo seguirono. Mentre venivano chiusi i portelli e accesi i reattori, Haller prese il registro interplanetario e lo sfogliò rapidamente. Trovò quello che stava cercando.
— Eccolo. XB 109. Monoposto con scafo in berillio. Venti reattori. Massa a terra trecento tonnellate. Autonomia massima, ottocentomila chilometri. Scafo del Consiglio Mondiale, esente dai controlli di polizia e di dogana. Sarà difficile fermarlo, con tutti i testimoni che possono esserci attorno.
— Ammesso che si riesca a trovarlo — osservò Steen. — Il mondo è alquanto grande.
— Finirà col passare davanti a qualche nostro apparecchio di ricerca — assicurò Haller, fiducioso. — Questa autonomia di ottocentomila chilometri è consolante: lo tiene relegato tra Terra e Luna. E così sappiamo che non può essersene andato direttamente su Marte o su Venere. — Consultò il codice dei canali radio e delle ore. Le tre e mezzo: Canale nove. Schiacciò il pulsante del canale e parlò al microfono. Quello che disse fu troppo breve e distorto per concedere alle stazioni di ascolto di poterli localizzare. — Chiamata. Haller a Dean. Trovate XB 109.
Girò leggermente la poltroncina di pilotaggio e accese un nero sigaro venusiano. Aspirò voluttuosamente qualche boccata di fumo, poi appoggiò i piedi sul pannello di comando e fissò gli occhi sull’altoparlante.
— XB 109. Non elencato nelle partenze di oggi. Non elencato nei rapporti di osservazione della polizia — fu la risposta. — Restate in ascolto.
— Che servizio! — esclamò Haller. Guardò soddisfatto il suo sigaro, poi Steen.
Passarono cinque minuti, poi:
— XB 109. Non si trova nei parcheggi del Consiglio da uno a ventotto. Restate in ascolto.
— Strano — disse Haller, soffiando un anello di fumo. — Se non è a terra, deve essere nell’aria. Ma non può essere partito oggi senza il permesso di decollo.
— Forse è partito ieri, o l’altro ieri, ed è rimasto nascosto vicino alla casa — disse Steen.
Chiuse il portello della cabina di pilotaggio e si assicurò che fosse ben chiuso. Si mise poi a sedere sul pannello dei comandi, accanto ai piedi di Haller. Il messaggio giunse dopo dieci minuti.
— Dean a Haller. XB~109 affidato al Corriere Joseph McArd, Dome City, Luna. Ha fatto rifornimento per il rientro. Canale nove chiuso.
— Impossibile! — esclamò Haller. — Impossibile! — Si alzò, morse la punta del sigaro e sputò a terra. — Qualcuno sta mentendo! — Sollevò lo sguardo rabbioso su Steen. — Tu per caso?
— Io? — Steen si alzò con espressione addolorata e venne a trovarsi faccia a faccia con l’altro.
— O tu, o la donna che ti ha dato il falso numero di matricola, o Grayson, troppo stordito per capire che quel cervello stava mentendo. — Haller agitò il sigaro nell’aria. — Forse è stata la donna. Vi ha lanciati lungo un vicolo cieco, e deve aver riso quando vi ha visti correre in quella direzione. Se è così, la colpa ricade tutta su Grayson. Era lui il lettore mentale. Mandalo da me… voglio andare in fondo a questa faccenda.
— Come poteva leggere in una mente piatta e impenetrabile quanto una pietra tombale? — disse Steen.
— Avrebbe dovuto avvertirti che si trovava in difficoltà e lasciarti fare alla tua maniera. Se riducevi la donna a una statua, lui poi avrebbe potuto ricavare da quel cervello qualsiasi informazione. Non è così? A che serve mandarvi in coppia, se poi siete troppo stupidi per cooperare?
— Non siamo stupidi — protestò Steen.
— Qualcuno sta raccontando frottole — insistette Haller. — Lo sento. Quella maledetta donna deve aver imbottito Grayson di menzogne. Aveva ancora l’aria stupita di chi non riesce a convincersi di qualcosa. Non è da Grayson. Vai a chiamarlo… voglio dargli una strigliata.
— Non credo che sia necessario — disse Steen, con calma. — Questa è una faccenda fra noi due.
— Davvero? — L’autocontrollo di Haller e la sua assoluta mancanza di stupore rivelarono che aveva un carattere energico. C’era una pistola sul piano del pannello. Haller si girò per appoggiare il sigaro, ma non fece nessun gesto per afferrarla. — Ho la sensazione che sia tu a mentire — disse tornando a guardare Steen. — Non so cosa tu abbia in mente, ma ti consiglio di non andare troppo lontano.
— No?
— No. Tu sei un ipno, ma cosa significa? Io posso incenerire i tuoi centri nervosi tre o quattro secondi prima che tu riesca a paralizzare i miei. Inoltre, la paralisi scompare dopo qualche ora, le ceneri invece rimangono. Sono permanenti.
— Lo so, lo so. Sei un potente pirotico.
Steen fece un gesto, e la sua mano toccò casualmente quella di Haller.
Le due mani si unirono e Haller cercò di staccarsi, ma non ci riuscì. Le due mani aderivano quasi al punto di essere carne con carne. E qualcosa di terribile stava passando attraverso il punto di contatto.
— Anche questo è potere — disse Steen.
Molto sotto l’innocuo raggruppamento di magazzini appartenenti alla Transpatial Trading Company esisteva una città in miniatura che non apparteneva alla Terra, anche se si trovava sul suo territorio. Per quanto sconosciuta e insospettata dalla maggior parte degli abitanti della superficie, la città esisteva già da molto tempo.
Lì si trovava il quartier generale del movimento clandestino di Marte e di Venere: era il cuore di tutta l’organizzazione. Un migliaio di persone andavano e venivano lungo i freddi passaggi interminabili e attraverso la serie di grandi sale. Un migliaio di uomini scelti, ma nessuno di loro era uomo come lo sono gli uomini.
In una sala lavoravano una dozzina di anziani dalle dita sottili. Si muovevano lentamente, a tastoni, come le persone che hanno soltanto due decimi di vista. I loro occhi non erano occhi, ma qualcos’altro. Erano troppo miopi per poter vedere distintamente una cosa lontana più di tre o quattro centimetri dalla punta del naso. Tuttavia, erano organi che potevano distinguere, entro il loro breve raggio, gli angeli danzanti sulla punta di uno spillo.