— Una giornata ideale per l’esperimento — disse premendo la lingua contro gli incisivi rimessi, che sentiva ancora estranei. — La visibilità è ridotta e sul radar non compare assolutamente niente. Un aeroplano delle forze aeree ha fatto un volo di ricognizione: la nave più vicina è a centoquaranta chilometri. Ed è soltanto una nave da carico polacca.
— Vorrei essere a bordo, durante l’esperimento, Ove.
Ove gli mise amichevolmente le mani sulle spalle. — Lo credo, mio caro… Io non voglio affatto prendere il tuo posto, ma il ministro pensa che tu sia troppo importante per farti correre grossi rischi, la prima volta. E, secondo me, ha ragione. Comunque, sarei disposto a fare come dici tu, se potessi: solo che non me lo permettono. L’ammiraglio ha ordini precisi e pretenderà che vengano eseguiti. Non preoccuparti, avrò cura del tuo pargoletto! Abbiamo eliminato quell’armonica di disturbo e non c’è altro che possa fare cilecca. Vedrai.
Arnie si strinse nelle spalle, rassegnato, sapendo che sarebbe stato inutile insistere.
Dopo molte oscillazioni e molti ordini gridati col megafono, il piccolo sottomarino fu staccato dalla nave e deposto in mare. Wilhelmsen sgattaiolò giù per la scaletta prima ancora che toccasse la superficie liquida dell’acqua, e con un balzo fu a bordo. Sparì nel boccaporto della torretta di comando, e pochi minuti dopo qualcosa rombò sott’acqua, e i motori si mossero. Henning sbucò di nuovo dal boccaporto e salutò con la mano. — Venite a bordo! — gridò.
Ove prese la mano di Arnie. — Andrà tutto bene — disse. — Abbiamo effettuato dodici controlli diversi dopo l’installazione dell’unità Daleth.
— Lo so, Ove. In bocca al lupo!
Rasmussen scese la scaletta, seguito da Nils Hansen, ed entrarono tutt’e due nel boccaporto, richiudendolo subito.
— Mollare! — gridò Henning. La sua voce rimbombò nell’altoparlante collegato alla radio a onde corte a bassa frequenza, che era stata installata sul ponte. Le gomene furono sciolte, e il piccolo sottomarino cominciò ad allontanarsi. Arnie agguantò il microfono.
— Allontanatevi di trecento metri, prima di iniziare resperimento!
— Ja vel!
I motori della Vitus Bering erano stati spenti, e la nave rollava sul mare tranquillo. Arnie si teneva stretto al parapetto e guardava il Blaeksprutten allontanarsi. Sembrava calmo come al solito, ma sentiva il cuore battere più in fretta di quanto gli fosse mai capitato. La teoria è una cosa, la pratica un’altra… come avrebbe detto Skou! Sorrise tra sé. Quello era resperimento finale.
Aveva un binocolo appeso al collo, e se lo portò agli occhi mentre il sottomarino compiva un’ampia virata intorno alla nave. Attraverso le lenti, il Blaeksprutten appariva distintamente: si muoveva sicuro, mentre le onde si rompevano contro lo scafo quasi completamente sommerso.
Poi, e non era un’illusione, le onde cominciarono a frangersi contro i fianchi e lo scafo restò quasi completamente scoperto. Sembrava sollevarsi nell’acqua in modo innaturale… sempre più.
Infine galleggiò come un enorme pallone sulla superficie del mare.
Poi si staccò anche da quella. Cinque, dieci, trenta metri. Arnie lasciò andare il binocolo e si tenne stretto al parapetto con tutt’e due le mani, impietrito.
Quel sottomarino da venti tonnellate e dallo scafo poderoso se ne stava sospeso con la grazia di un corpo più leggero dell’aria, quaranta metri sopra il livello del mare! Poi il Blaeksprutten sembrò ruotare sopra un perno invisibile, e puntò verso la nave appoggio. Si spostava lentamente, mentre una pioggerellina salata cadeva dallo scafo grondante. Nessuno parlava; tutti erano ammutoliti alla vista di quello spettacolo incredibile. Si udiva indistintamente il balbettio dei motori diesel del sottomarino. Senza staccare gli occhi dalla visione, Arnie agguantò il microfono.
— Potete scendere, ora — disse. — Credo che l’esperimento possa considerarsi riuscito.
7
Con la lavagna alle spalle e di fronte un cerchio di ascoltatori intenti, Arnie si sentiva profondamente a suo agio. Gli sembrava di trovarsi ancora in un’aula dell’università, invece che nel quadrato della Vitus Bering. Con fatica, resisté all’impulso di voltarsi a scrivere il suo nome in caratteri cubitali sulla lavagna. ARNIE KLEIN. Scrisse invece EFFETTO DALETH, molto chiaramente, aggiungendoci la lettera daleth, scritta in grafia ebraica.
— Se avrete la pazienza di ascoltarmi, vi terrò una breve lezione di storia, prima di spiegarvi ciò a cui avete assistito stamattina. Ricorderete certo che alcuni anni fa Israele eseguì con i razzi una serie di esperimenti per lo studio dell’atmosfera. Tali esperimenti dovevano servire a parecchi scopi: per esempio, a dimostrare ai paesi arabi che noi… cioè Israele… possedevamo razzi fatti in casa e non dovevamo dipendere dal capriccio degli stranieri. Date le limitazioni materiali imposte dai paesi limitrofi e dalle dimensioni stesse di Israele, avevamo ben poche possibilità di scelta riguardo alle traiettorie: dovevamo limitarci a un lancio verticale con ritorno altrettanto verticale. Non si poteva fare altro, e per ottenere questo fu necessario approntare precise tecniche di controllo. Ma un razzo capace di alzarsi verticalmente e di rimanere altrettanto verticalmente sopra la rampa di lancio, si dimostrò un mezzo di ricerca di valore inestimabile, sotto moltissimi aspetti. Una nube di fumo strisciante dava modo ai meteorologi di stabilire la direzione e la velocità del vento a qualsiasi quota, mentre i dati rilevati dagli strumenti che stavano all’interno del razzo permettevano poi di coordinare queste con la pressione atmosferica e la temperatura. Una volta fuori dall’atmosfera, si effettuavano altri esperimenti, ma quello che ci interessa ora è il test che inavvertitamente rivelò quelle che si possono soltanto chiamare anomalie gravimetriche. — E cominciò a scrivere la definizione sulla lavagna; ma poi si trattenne.
— A quel punto mi interessavo alle quasar e alla possibile fonte delle loro incomprensibili energie: neppure l’annichilimento totale della materia può spiegare la quantità di energia generata nelle quasar. Ma la cosa accadde quasi incidentalmente perché, per puro caso, quel razzo-sonda si trovava fuori dall’atmosfera quando ebbe inizio un brillamento solare. Rimase lì era oltre cinquanta minuti. Altre sonde erano state lanciate in passato, non appena ci si era accorti di un brillamento, ma con un ritardo inevitabile di almeno un’ora dal momento dell’esplosione originale di energia. Perciò io fui il primo ad ottenere dati riguardanti l’evoluzione completa di un brillamento solare e a poterli studiare. Magnetometro, particelle di raggi cosmici… e qualcosa che allora sembrò del tutto trascurabile: i dati tecnici. Ciò attrasse la mia attenzione perché da alcuni anni stavo studiando certi aspetti della teoria einsteiniana dei quanti, riguardanti la gravità. Queste ricerche erano arrivate a un punto morto, ma le avevo ancora in mente. Così, quando gli altri scartarono alcuni dei dati perché credevano che la telemetria desse un’interpretazione errata a causa dei forti campi magnetici, io investigai più dettagliatamente. I dati erano in realtà esatti, tuttavia ciò dimostrava che una forza del tutto inspiegabile era in azione e riduceva il peso della sonda, ma non la sua massa. Vale a dire che la sua massa gravitazionale e la sua massa di inerzia erano temporaneamente ineguali. Assegnai il simbolo Daleth a questo fattore di differenza e quindi cercai di scoprire che cosa fosse. Tanto per cominciare, pensai subito alla massa di Schwarzchild, o piuttosto all’applicazione di questa al continuum quadridimensionale dell’universo di Minkowski…
L’espressione perplessa di tutti i presenti colpì Arnie, che si fermò. Tra gli altri, c’era un alto ufficiale che lo fissava con occhi che quasi schizzavano dalle orbite. Il professore tossì, portandosi la mano alla bocca per celare la sua confusione: quelli non erano studenti di fisica, dopo tutto…