— Come vedete, le possibilità di sfruttamento della propulsione Daleth sono pressoché incalcolabili. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento nei riguardi delle dimensioni del sistema solare. Ma prima di poter partire per la Luna, per trascorrervi un week-end dedicato all’esplorazione, dobbiamo essere certi di avere una fonte di potenza motrice adeguata. Funzionerà la propulsione lontano dalla superficie terrestre? E la si potrà controllare con esattezza? Potremo cioè effettuare le delicate correzioni di rotta necessarie per raggiungere un oggetto a distanze astronomiche? Possediamo una fonte di potenza sufficiente a fornirci il fabbisogno di energia indispensabile al viaggio? Ci si può fidare costantemente della propulsione? Il prossimo volo del Blaeksprutten dovrebbe rispondere a tutti questi interrogativi. Il veicolo tenterà di sollevarsi molto in alto nell’atmosfera terrestre. E poiché io sono la persona più qualificata per tutto ciò che riguarda le attrezzature relative alla propulsione, eseguirò personalmente le prove. — Si guardò intorno, aspettandosi forse che qualcuno cercasse di dissuaderlo. Ma ci fu solo silenzio. Quella era la sua grande giornata.
— Grazie. Propongo che il secondo esperimento abbia inizio immediatamente.
8
— Comincio a capire perché gli serve un pilota di linea su un sottomarino — disse Nils, azionando l’ingranaggio che sigillava il boccaporto inferiore della torretta di comando.
— Se non vi spiace, tenete voi il giornale di bordo — fece Henning, indicando il libro aperto che stava sul piccolo tavolo del navigatore, fissato alla paratia.
— Va bene — disse Nils, lanciando un’occhiata all’orologio e scrivendo subito qualcosa. — Se l’esperimento funziona, voi sarete l’unico comandante di un sottomarino che sia mai stato stipendiato dalle forze aeree.
— Allontaniamoci un poco, comandante Wilhelmsen, per favore — disse Arnie, intento ai suoi strumenti. — Almeno alla distanza dell’altra volta.
— Ja el. — Henning armeggiò con un dispositivo, e le pompe pulsarono sotto i loro piedi. Poi sedette al posto del pilota, davanti alla torretta di comando. Lo scafo si sollevava, in una specie di protuberanza che conteneva tre oblò rotondi, molto spessi. Un volante, molto simile a quello di un aereo, serviva a dare la direzione: per voltare bastava variare la velocità relativa dei getti d’acqua gemelli che propellevano il sottomarino e che erano orientati dai deflettori di poppa.
— Siamo distanti duecento metri — annunciò infine Wilhelmsen, riducendo la velocità.
— Le pompe dei vostri getti sono meccaniche? — domandò Arnie.
— Sì, azionate elettricamente.
— Potete staccarle completamente e mantenere un’emissione costante del vostro generatore? Abbiamo regolatori di voltaggio, ma sarebbe bene se poteste produrre una quantità il più costante possibile.
Henning abbassò una serie di interruttori. — Tutti i motori sono staccati. Sono inseriti ancora la strumentazione e l’impianto dell’aria. Posso staccare anche quelli, per breve tempo, se desiderate.
— No, basta così. Ora metterò in funzione l’unità di propulsione e ci solleveremo con un minimo di energia all’altezza approssimativa di cento metri.
Nils scrisse qualcosa sul giornale di bordo e guardò le onde che si frangevano contro l’oblò più vicino. — Avete un altimetro a bordo, Henning?
— No.
— Peccato. Bisognerà farne installare uno. E ci vorrà il radar, invece di quel sonar. Ho l’impressione che stiate uscendo dalla vostra sfera di competenza…
Henning assunse un’espressione addolorata e crollò malinconicamente la testa. Poi lanciò un’occhiata all’oblò, mentre una strana vibrazione percorreva tutto il sommergibile. La superficie dell’acqua si allontanava a velocità costante.
— È sospeso nell’aria, ora — disse, sgomento, guardando gli strumenti ormai inutili. L’ascesa continuava, gli istanti passavano.
— Cento metri — dichiarò Nils tenendo come punto di riferimento la nave sottostante. Arnie compì una lieve correzione e si voltò.
— Sembra che ci sia una riserva di energia più che sufficiente, anche quando la propulsione tiene la massa del sommergibile a que sta quota. Gli apparecchi funzionano bene e non c’è pericolo di sovraccarico. Siete pronti, signori?
— Mai stato più pronto in vita mia.
— Premete il pulsante, professore. È spiacevole restare qui, sospesi a mezz’aria!
Il ronzio cessò, e gli occupanti si sentirono schiacciare contro i sedili. Nils e Henning, ammutoliti dall’emozione, guardavano fuori dagli oblò mentre il minuscolo sottomarino balzava verso il cielo. Un fischio leggero, appena più forte del gemito dell’impianto per l’aria condizionata, vibrò attraverso tutto lo scafo mentre l’aria fuggiva veloce all’esterno. Il motore pulsava regolarmente. Senza sforzo e in assoluto silenzio, lo strano veicolo proseguiva la sua corsa. L’oceano sottostante si era fatto liscio, e la nave-appoggio era diventata piccola come un giocattolo, prima che le nubi basse si chiudessero intorno a loro.
— Questo è peggio del volo cieco — disse Nils, stringendo a pugno le grosse mani. — Nessuno strumento, tranne la bussola. Impossibile!
Arnie era il più calmo dei tre, troppo occupato con i suoi strumenti anche solo per dare un’occhiata dall’oblò. — Nel prossimo volo avremo tutto l’occorrente — disse. — Questo è un esperimento. Su e giù, come con l’ascensore. Intanto l’unità Daleth mostra che siamo ancora verticali rispetto alla gravità della Terra, e che ci stiamo ancora allontanando da essa alla stessa velocità.
Gli strati di nubi erano spessi, ma presto si allontanarono dalla chiglia. Poi il ritmo regolare dei motori diesel cambiò. — La corrente… cade! Che cosa non va? — gridò Arnie.
Henning era nel minuscolo compartimento delle macchine.
— Qualcosa, il combustibile, non so… I motori perdono potenza… — gridò.
— La pressione atmosferica! — disse Nils. — Abbiamo raggiunto il limite estremo dell’atmosfera. L’ossigeno è molto più in basso!
Il motore tossì, balbettò, quasi si fermò, e il sottomarino fu percorso da un brivido. Un istante dopo cominciò a precipitare.
— Non si può far niente? — gridò Arnie, azionando disperatamente i comandi. — Il flusso… così irregolare… l’effetto Daleth sta diventando inservibile! Non potete stabilizzare la corrente?
— Le batterie! — Henning cercò di tornare al suo posto, galleggiando quasi nell’aria tanto la caduta andava accelerando rapidamente.
Cercò di aggrapparsi allo schienale del sedile, ma non ci riuscì e fluttuò su e giù, battendo contro il periscopio e rimbalzando all’indietro. Finalmente riuscì ad aggrapparsi alla poltroncina e ci sì piantò sopra, legandosi con la cinghia. Poi si sedette verso i comandi.
— Corrente… al massimo!
La caduta continuò. Arnie lanciò una rapida occhiata ai compagni.
— Preparatevi. Ho staccato completamente la mia propulsione. Quando la reinserirò, temo che la reazione non sarà molto delicata, perché…
Il metallo cigolò, le attrezzature si schiantarono, gli uomini rantolarono per la decelerazione improvvisa che strappava l’aria ai polmoni. Si sentirono comprimere duramente sui sedili, e per un istante furono sul punto di svenire, mentre il sangue abbandonava il cervello.
Poi tutto finì, e si ritrovarono a bocca aperta, con le vertigini. La faccia di Henning era una maschera bianca, striata del sangue che usciva dalla ferita che si era prodotto battendo la testa contro il periscopio. Fuori c’erano solo nubi. Il motore pulsava normalmente, facendo da sottofondo al respiro affannoso degli uomini.