— Non… non ripetiamo questa esperienza! — balbettò Nils, inspirando profondamente.
— Ora manteniamo la quota senza spostamento laterale — disse Arnie, con voce calma, nonostante le difficoltà di respiro. — Preferite tornare… o terminare ia prova?
— Se non capiterà più niente di simile, io continuerei — rispose Nils.
— D’accordo. Ma propongo di agire con le batterie.
— Com’è la carica?
— Eccellente. La diminuzione è inferiore del cinque per cento.
— Ci alzeremo di nuovo. Avvisatemi quando si sarà ridotta del settanta per cento, e torneremo. Dovremmo avere un discreto margine di sicurezza. E poi si potranno rimettere in funzione i motori quando saremo più in basso. Fu tutto facile, divertente. Le nubi si allontanarono di nuovo, mentre il motore pulsava. Henning lo fermò e sigillò!a presa d’aria. Si alzarono.
— Cinquemila metri almeno — disse Nils, sbirciando la coltre di nubi sottostante, con l’occhio esperto del pilota. — La maggior parte dell’atmosfera ce la siamo lasciata dietro.
— Dunque posso aumentare l’accelerazione. Per favore, segnate l’ora.
— È tutto nel giornale di bordo. E qualcosa è annotato con una calligrafia molto irregolare, ve lo posso assicurare.
Era ormai visibile la curvatura della Terra e, sopra di essa, la striscia azzurra dell’atmosfera che si stemperava nel nero dello spazio. Si scorgevano le stelle più lucenti; il sole brillava come un faro e, entrando attraverso l’oblò, formava una macchia di luce accecante sul ponte. La pressione verso l’alto cessò.
— Eccoci — disse Arnie. — L’attrezzatura funziona bene, manteniamo la nostra posizione. Sapete calcolare la quota?
— Centocinquanta chilometri — disse Nils. — Novanta o cento miglia. Il panorama ha tutta l’aria delle foto prese dai satelliti a quell’altezza.
— La riserva della batteria è calata ancora e diminuisce lentamente.
— Sì, ci vuole molta energia per restare sospesi: poco meno che per l’accelerazione.
— Allora ce l’abbiamo fatta! — disse Nils. Poi, più forte, come se solo allora comprendesse l’importanza dell’avvenimento, soggiunse: — Ce l’abbiamo fatta! Possiamo andare dovunque! Fare qualsiasi cosa…
— Riserva della batteria calata del settanta per cento.
— Allora scendiamo.
— Un po’ più lentamente dell’altra volta?
— Potete esserne certo.
E il sottomarino cominciò a perdere quota con la delicatezza di una foglia che si stacca dall’albero. Poi attraversò uno strato di alti cirri argentei.
— Ma non atterreremo troppo a ovest? — domandò Nils. — La Terra avrà ruotato sotto di noi. e non potremo scendere nel medesimo punto.
— No, ne ho tenuto conto. Non dovremmo fermarci a più di tre chilometri dal punto di partenza.
— Meglio che mi attacchi alla radio, allora. — Henning mise in funzione l’apparecchio. — Presto saremo alla portata giusta…
Fra le scariche arrivò chiaramente una voce che parlava il danese di Copenaghen, tanto ricco di frasi in gergo che solo chi è nato in quella città è in grado di capirlo.
… tuffati, figlia, tuffati, e non risalire a prendere aria. Nuota nel profondo, sorellina, nuota nel profondo….
— Ma che diavolo stanno dicendo? — Arnie alzò gli occhi, sorpreso.
— Là! — disse Nils, guardando dall’oblò, e spostando la testa rapidamente per seguire le argentee forme alate che sfrecciavano sotto di loro. — MIG russi. Siamo appena usciti dalle nubi e non credo che ci abbiano visti. Possiamo scendere un po’ più in fretta?
— Tenetevi.
Arnie mosse un dito e tutti si sentirono lo stomaco in gola.
— Avvisatemi quando saremo a circa duecento metri dall’acqua — raccomandò il professore, calmo. — Così potrò rallentare la caduta prima dell’ammaraggio.
Nils si aggrappò ai braccioli della sua poltroncina per impedire al proprio corpo di fluttuare verso l’alto, nonostante la cintura. La superficie plumbea del Baltico si avvicinava vertiginosamente: ormai erano visibili le onde, con la loro cresta bianca, e la Vitus Bering, lontana, da un lato.
— Più vicino… più vicino… Ecco!
Il sommergibile venne come schiacciato verso il basso, e le attrezzature non assicurate rollarono scivolando sul ponte che si inclinò all’improvviso. Poi una forma ancora più possente investì il sottomarino, comprimendone tutto lo scafo: affondavano.
— Ora tocca a voi, comandante Wilhelmsen — disse Arnie. E per la prima volta la sua voce risuonò un po’ tesa. — Sto disinserendo l’unità Daleth.
Le pompe si risvegliarono pulsando, e Henning accarezzò il quadro dei comandi. Era duro viaggiare come passeggero nel proprio sottomarino… Mentre virava lentamente e risaliva tanto da poter usare il periscopio, fischiettò un’arietta allegra.
— Date un’occhiata attraverso il periscopio, Hansen, vi spiace? È facile, proprio come nei film.
— Ma certo! — esclamò Nils. Abbassò le maniglie del dispositivo e spinse indietro il berretto. Poi premette il viso contro l’imbottitura di gomma. — Non vedo un bel niente.
— Girate la manopola per mettere a fuoco le lenti!
— Sì, così va meglio. Vedo la nave. — Spostò il periscopio con un movimento circolare. — Nessun’altra unità in vista. Ma questo aggeggio non ha un campo abbastanza vasto, così non si sa niente del cielo.
— Dobbiamo correre il rischio. Ora saliremo un po’, per liberare l’antenna.
La radio sibilò per il rumore di fondo, poi si inserì una voce, che subito si spense per risvegliarsi un istante dopo.
— Hello! Blaeksprutten, mi sentite? Passo. Hello…
— Qui Blaeksprutten. Che succede? Passo.
— Sembra che siate comparsi sugli schermi radar dei russi. I MIG sorvolano la zona da quando siete partiti. Ora nessuno è in vista. Crediamo che non vi abbiano visto rientrare. Per favore, avvicinatevi e riferite sull’esperimento. Passo.
Arnie afferrò il microfono.
— L’attrezzatura funziona perfettamente. Nessun problema. Quota approssimativa di centocinquanta chilometri, raggiunta con le batterie. Passo.
Alzò un interruttore e il suono degli applausi lontani giunse attraverso l’altoparlante.
9
Il tavolo era ricoperto di riviste e opuscoli che non interessavano affatto a Horst Schmidt. Novy Mir, La Russia oggi, La Pravda, A dodici anni dall’aggressione imperialistica statunitense nel Laos. Schmidt si appoggiò allo schienale della sedia, puntando un gomito sui giornali, e aspirò profondamente dalla sigaretta. Un piccione si posò battendo le ali sul davanzale della finestra, e lo fissò con gli occhi vispi attraverso il vetro imperlato di gocce d’acqua. Schmidt sbatté la sigaretta sull’orlo del portacenere, e bastò un movimento improvviso a far fuggire il piccione. Nello stesso istante la porta si aprì ed entrò Lidia Efimovna Schirochenka. Era snella e bionda, e poteva sembrare scandinava, se non fosse stato per gli alti zigomi slavi. Portava un abito di tweed verde, di buon taglio e alla moda, indubbiamente acquistato in Danimarca. Schmidt vide che stava leggendo la sua relazione e che aggrottava la fronte.
— Qui dentro c’è ben poco di importante, considerato quello che vi paghiamo — disse seccamente la donna. Poi sedette dietro la scrivania, che portava una targhetta con la scritta Troisième Secrétaire de la Legation. Parlava in tedesco, da bravo membro del partito, approfittando dell’occasione di potersi esercitare con un autentico figlio della Germania.