Выбрать главу

— Che morte orribile, così lontani da casa… — disse l’assistente, interpretando il pensiero di tutti.

Arnie rifletté, con calma, considerando l’accaduto. I suoi occhi andarono al generatore a fusione, e quando li staccò, vide che anche Ove l’aveva guardato, come se tutti e due avessero avuto la stessa idea.

— Andiamo — disse Rasmussen — torniamocene a casa. Qui, adesso, non c’è più niente da fare, e se partiamo subito riusciremo forse a evitare il traffico dell’ora di punta.

Mentre Ove si destreggiava nel fiume di biciclette, svoltando poi a nord, sulla Lyngbyvej, nessuno dei due parlò. La radio era accesa, e ascoltarono le ultime notizie fino a che non furono arrivati a Charlottenlund.

— Siete in anticipo — disse Ulla, quando li vide entrare. Ulla era la moglie di Ove, una rossa ancora piacente malgrado i suoi quarantacinque anni. Quando Arnie stava con loro, lei aveva una notevole tendenza a trattarlo troppo maternamente, perché la sua magrezza la commuoveva. Così approfittò subito di quell’occasione inaspettata. — Stavo appunto facendo il tè, e ve ne porto una tazza. Con qualche panino, per farvi resistere fino all’ora di cena. — Non si curò delle proteste e corse via.

I due uomini entrarono nel soggiorno e accesero la televisione. Il canale danese non era ancora collegato, ma quello della Svezia stava trasmettendo un programma speciale sui cosmonauti. Ascoltarono attentamente. I particolari venivano rilasciati a malincuore da Mosca, ma si cominciava a ricostruire l’intera tragedia.

L’allunaggio si era svolto regolarmente fino all’ultimo momento. La capsula era scesa nella zona scelta e, fino all’attimo in cui si era posata sulla crosta lunare, tutto era andato alla perfezione. Ma mentre venivano spenti i motori uno dei sostegni aveva ceduto. Non si sapeva con esattezza se il supporto si fosse spezzato o se fosse affondato in una buca, ma il risultato era chiaro: il modulo lunare si era inclinato su un fianco. Uno dei motori si era staccato, e una grande quantità di combustibile era andata perduta. Il veicolo non era più in grado di decollare e gli astronauti si trovavano bloccati là per sempre.

— Chissà se i sovietici hanno qualche razzo appoggio che possa arrivare in tempo? — disse Arnie.

— Ne dubito. L’avrebbero detto, se ci fosse stata la minima speranza. Hai sentito anche tu che toni da tragedia aveva l’intervista. Ormai li considerano spacciati e stanno preparando i loro busti per le onoranze.

— E gli americani?

— Se solo potessero farci qualcosa, salterebbero dalla gioia, ma non si sono ancora permessi commenti. Anche se un’astronave fosse pronta alla partenza, questo non sarebbe il mese adatto per tentare un viaggio sulla Luna partendo dall’America. E quando verrà il momento buono, per i tre cosmonauti sarà troppo tardi.

— Allora… non si può fare proprio niente?

— Ecco il vostro tè — disse Ulla, arrivando col vassoio carico.

— Lo sai anche tu, vero? — replicò Ove. — Stai pensando quello che penso io. Perché non prendere il generatore a fusione, caricarlo sul Blaeksprutten e andare fin lassù, sulla Luna, a salvarli?

— Sembra un’idea pazzesca, quando la si esprime a parole.

— Anche il mondo in cui viviamo è pazzesco. Dobbiamo tentare di parlarne al ministro?

— Perché no? — Arnie alzò la sua tazza. — Alla Luna, allora.

— Alla Luna!

Ulla, con gli occhi dilatati dallo stupore, guardava ora l’uno ora l’altro come se li credesse impazziti tutt’e due.

10

— Rimandiamo alle sedici il prossimo collegamento — disse il colonnello Nartov, girando l’interruttore della radio. Si era tolto la tuta spaziale e indossava solo un paio di calzoncini con il fondo strappato. I baffi scuri gli erano cresciuti tanto da sembrare quasi morbidi, quando li accarezzava. E la pelle gli prudeva. Se avesse avuto a disposizione acqua sufficiente per lavarsi a dovere! Aveva caldo, si sentiva tutto appiccicoso e il piccolo abitacolo puzzava come la tana di un orso.

Shavkun dormiva a bocca aperta, respirando rumorosamente. Il capitano Zlotnikov stava trafficando con le manopole del ricevitore, per captare il programma speciale che veniva trasmesso per loro giorno e notte. Avevano energia più che sufficiente, grazie ai pannelli solari. Scariche… un’esplosione di musica… poi il suono gentile di una balalaika che eseguiva una vecchia aria popolare.

Zlotnikov si sdraiò, mani sotto la nuca, e l’accompagnò canterellando piano. Nartov alzò gli occhi per guardare il globo bianco e azzurro che spiccava nel cielo nero e sentì il desiderio di fumare una sigaretta. Shavkun grugnì nel sonno facendo strani rumori con la bocca.

— Scacchi? — domandò Nartov. E Zlotnikov posò la copia sciupata delle Opere complete di V.I. Lenin stampate su carta velina, che aveva sfogliato fino a quel momento. Era l’unico libro a bordo: avevano pensato di leggerne dei brani quando avrebbero piantato la bandiera sovietica sul suolo lunare, e benché in altre circostanze il libro si fosse dimostrato ricco di ispirazioni, nella situazione attuale era di ben poco aiuto. Meglio gli scacchi. La piccola scacchiera tascabile era il pezzo più importante dell’equipaggiamento, a bordo della Vostok IV.

— Sono in testa io — dichiarò Nartov, porgendogliela. — A voi i bianchi.

Zlotnikov annuì e fece una mossa prudente: l’avversario era un giocatore agguerrito e non voleva correre rischi. Fuori, il sole, che riversava i suoi raggi sul Mare della Tranquillità, sembrava assolutamente immobile nel cielo nero, anche se in realtà si spostava di continuo verso l’orizzonte. Nonostante la protezione degli occhiali scuri, il capitano socchiuse gli occhi per il riflesso abbagliante, mentre cercava istintivamente qualcosa che si muovesse, qualche cambiamento in quell’oceano di roccia e sabbia color madreperla, o grigio-verde, senza vita.

— Tocca a voi.

Zlotnikov guardò di nuovo la scacchiera e spostò il cavallo. — Un luogo deserto, senz’aria… Chi mai avrebbe pensato che potesse fare tanto caldo? — disse.

— Chiunque avesse immaginato che ci saremmo trattenuti qui così a lungo, ve l’ho già detto! La capsula è stata trattata a dovere, ma qualche radiazione la penetra ugualmente. Non ha una tenuta del cento per cento. Per questo ci scaldiamo. Avremmo dovuto restare qui meno di un giorno e la cosa non era considerata importante.

— Sono più di undici giorni. Attento alla vostra regina!

Il colonnello si asciugò il sudore dalla fronte, col dorso della mano. Poi guardò il paesaggio immobile e tornò a fissare la scacchiera. Shavkun grugnì e aprì gli occhi.

— Fa troppo caldo, per dormire — brontolò.

— Però sembra che non ne abbiate risentito nelle ultime due ore — osservò Zlotnikov. E con un’altra mossa cercò di sottrarsi all’attacco deciso dell’avversario.

— Tenete la lingua a posto, capitano — disse Shavkun, irritato da quel sonno pesante nell’atmosfera soffocante.

— Sono un Eroe del Popolo Sovietico — rispose Zlotnikov, per niente impressionato dal rimprovero. Il grado aveva ben poca importanza ormai.

Shavkun guardò con disgusto i compagni chini sulla scacchiera. Lui era un giocatore di second’ordinc. Gli altri due lo battevano così facilmente che aveva deciso di non cimentarsi più. E questo gli lasciava troppo tempo per pensare.

— Quanto può durare l’ossigeno?