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Nartov si strinse nelle spalle, senza neppure alzare gli occhi. — Due giorni, forse tre. Lo sapremo con certezza quando dovremo aprire l’ultimo cilindro.

— E poi?

— Allora decideremo il da farsi — rispose, irritato. Il gioco era riuscito a fargli dimenticare per qualche istante la loro situazione irrimediabile e non gli andava di esserci riportato di peso. — Ne abbiamo già parlato. La morte per asfissia può essere penosa. Ci sono modi assai più semplici di andarsene. Prenderemo una decisione al momento opportuno.

Shavkun si lasciò scivolare dalla cuccetta e si appoggiò all’oblò, che presentava solo una leggera inclinazione. Erano riusciti a raddrizzare il veicolo scavando sotto gli altri due supporti, ma niente poteva sostituire il combustibile perduto. E la Terra era là, così vicina… Prese la sua macchina fotografica e guardò nel pentaprisma socchiudendo gli occhi, servendosi delle lenti telescopiche più potenti che avevano in dotazione.

— Quella tempesta è finita. Tutto il Baltico è libero. Mi sembra perfino di vedere Leningrado. È sereno, veramente sereno, là, e il sole brilla…

— Piantatela — ordinò il colonnello Nartov, bruscamente.

Shavkun ubbidì.

11

Le acque grigie del Baltico mugghiavano contro i fianchi della Vitus Bering, frangendosi in tappeti di schiuma che venivano rapidamente lasciati indietro; un gabbiano volava battendo le ali lentamente, nell’ottimistica attesa che qualche rifiuto venisse gettato in mare. Arnie se ne stava appoggiato al parapetto e gustava l’aria tagliente del mattino, dopo una notte trascorsa nell’atmosfera stantia della cabina; il cielo, che mostrava ancora una striscia rossa ad est dove il sole si alzava sopra l’orizzonte, era quasi completamente senza nubi e la sua cupola azzurra riposava sulla superficie mossa del mare. Ad un tratto una porta si aprì, e Nils uscì sul ponte, sbadigliando e stiracchiandosi. Si guardò intorno, sbirciando con occhio clinico da sotto la visiera del berretto dell’uniforme delle forze aeree, che aveva sostituito quello della SAS, e sentenziò: — Mi sembra il tempo adatto per volare, professor Klein.

— Chiamatemi Arnie, per favore, capitano Hansen. Come compagni di volo in questo viaggio importante, credo che dovremmo mettere da parte le formalità.

— E voi chiamatemi Nils, allora. Naturalmente, avete ragione. Perbacco, se è importante! Comincio ad accorgermene solo ora. Anche se tutto è stato accuratamente progettato, quando penso che dopo la prima colazione partiremo per la Luna e che dovremmo essere di ritorno prima di pranzo… È difficile crederci. Venite, mangiamoci qualcosa prima che gli altri facciano fuori tutto.

Ce n’era più che a sufficienza, di cibo. Nils sparse la farina d’avena cruda sopra i cornflakes e innaffiò tutto col latte, secondo l’uso scandinavo. C’erano anche uova sode, quattro tipi di pane, un piatto di formaggio, prosciutto e salame. E, per chi disponesse di un appetito ancora più robusto, c’erano tre tipi di aringhe. Arnie, abituato alla leggera colazione di Israele, prese solo del pane nero con un po’ di burro e una tazza di caffè. Guardava affascinato il gigantesco pilota, che assaggiava tutto e poi si serviva una seconda volta. Infine arrivò Ove, che si versò il caffè e li raggiunse.

— Noi tre costituiremo l’equipaggio — disse. — È deciso. Sono rimasto alzato metà della notte per convincere l’ammiraglio Sander-Lange, che finalmente ha compreso il mio punto di vista.

— E quale sarebbe? — domandò Nils, con la bocca piena di aringa e rugbrød imburrato. — Sono pilota e dovete scegliermi per forza: ma che ci stanno a fare due fisici importanti come voi a bordo?

— Ci sono due dispositivi completamente separati — rispose Ove, con la prontezza acquisita discutendo per metà della notte. — La propulsione Daleth e il generatore a fusione. Entrambi richiedono l’attenzione costante di un esperto, e si dà il caso che noi due siamo le sole persone adatte a quel compito; due «tecnici specializzati», che hanno una funzione molto importante. Se il Blaeksprutten è in grado di volare, soltanto noi possiamo indurlo a farlo. A questo punto non si può tornare indietro. Il nostro rischio è davvero minimo, paragonato alla morte certa di quei cosmonauti sulla Luna. Ed è anche questione d’onore, ora. Sappiamo di potercela fare e dobbiamo tentare.

— Onore danese — disse Nils con gravità. Poi scoppiò a ridere. — Questo lascerà i russi di stucco! Quanti abitanti ci sono nel loro paese? Duecentoventisei o duecentoventisette milioni, troppi per contarli tutti. E quanti, in Danimarca?

— Poco più di cinque milioni.

— Esatto, molto meno che nella sola Mosca. Dunque i russi organizzano le parate, lanciano i razzi, fanno i loro bravi discorsi… e infine ia pentola si rovescia e tutto il sugo esce fuori. Ed ecco che noi arriviamo a raccogliere i cocci!

Gli ufficiali della nave, seduti al tavolo accanto, che erano rimasti in silenzio mentre Nils alzava la voce pieno di entusiasmo, esplosero in un applauso, ridendo forte. Quell’impresa stuzzicava il senso dell’umorismo danese. La Danimarca era un paese piccolo, ma immensamente orgoglioso, con una storia lunga e affascinante, che durava un migliaio d’anni. E, come tutti i paesi del Baltico, temeva la presenza dell’Unione Sovietica che se ne stava al di là di quel piccolo mare poco profondo. Certo quel tentativo di salvataggio sarebbe stato ricordato per molto tempo.

Ove guardò l’orologio e si alzò.

— Mancano meno di due ore al nostro primo conto alla rovescia. Vediamo se possiamo farcela.

Terminarono rapidamente di mangiare e salirono sul ponte. Il sottomarino era già fuori dal compartimento e galleggiava sull’acqua, mentre i tecnici compivano gli ultimi controlli a bordo.

— Dopo tutte queste trasformazioni, quel veicolo dovrebbe cambiare nome — disse Nils. — Den Flyvende Blaeksprutte, magari… La Seppia Volante. Suona davvero bene.

Henning Wilhelmsen risalì sulla nave, scavalcando il parapetto, e si unì agli altri. Poiché conosceva bene il sottomarino, aveva diretto i lavori di modifica e l’impianto delle nuove installazioni.

— Non so che cosa sia diventato ora… Un’astronave, forse. Certo non ha più niente a che fare con quello che era in origine. Niente apparato motore, nessuna trasmissione. Ho dovuto togliere il motore per far posto a quel grosso bidone pieno di fili. E ho perfino praticato dei fori nello scafo resistente alla pressione! — Quest’ultimo delitto era paragonabile alla fine del mondo, per l’equipaggio di un sottomarino.

— Su con la vita! Voi avete fatto il vostro dovere. L’avete trasformato da umile larva in una farfalla dei cieli.

— Molto poetico. — Henning non si rasserenò. — Per adesso, ha più della falena notturna che di una farfalla. Abbiatene cura.

— Di questo potete esserne sicuro — dichiarò Nils, con convinzione. — La mia pelle mi preme assai e la Seppia Volante è l’unico mezzo di trasporto a disposizione. Tutto finito?

— Tutto a posto. Ora avete un altimetro aneroide e un radioaltimetro. Serbatoi di ossigeno extra, impianto per la rigenerazione dell’aria e un’antenna esterna più grande: tutto quello che avevate chiesto, e anche di più. Vi abbiamo perfino preparato il pranzo a bordo e l’ammiraglio ha offerto una bottiglia di snaps. Pronto per la partenza. — Allungò una mano e strinse quella del pilota. — Buona fortuna.

— Arrivederci a stasera.

Ci fu un gran numero di strette di mano, poi furono date le istruzioni dell’ultimo minuto. Un forte applauso accompagnò gli uomini mentre salivano a bordo e chiudevano il portello. Sulla torretta di comando era stata dipinta una bandiera danese che brillava nel primo sole del mattino.