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— Tenuta stagna perfetta — disse Nils, dando un giro in più all’ingranaggio che sigillava il boccaporto del ponte di plancia.

— E il boccaporto in cima alla torretta di comando? — domandò Ove.

— Chiuso, ma non sigillato, come avete detto voi. L’aria uscirà dalla torretta molto prima che noi si arrivi là.

— Bene. È quanto di più simile a una camera stagna siamo riusciti a mettere insieme in così breve tempo. Ora sappiamo tutti con esattezza che cosa fare e come farlo?

— Io, sì — brontolò Nils — ma sento la mancanza di una lista di controllo.

— Neanche i fratelli Wright l’avevano. La lasceremo a quelli che verranno dopo di noi. Arnie, possiamo ricapitolare ancora una volta?

— Sì, certo. Il conto inizierà soltanto fra dieci minuti. — Fece un passo avanti e guardò fuori dall’oblò. — La nave si sta allontanando per darci molto spazio. — Poi indicò i comandi che stavano di fronte a Nils, quasi tutti montati di recente sul pannello. — Nils, voi sarete il pilota. Ho sistemato qui i comandi che vi serviranno a modificare la rotta. Li avete già provati, dunque sapete come funzionano. Dovremo lavorare insieme durante i decolli e gli atterraggi, perché saranno effettuati per mezzo della propulsione Daleth, che farò funzionare io. Ove rappresenta la nostra sala macchine, e si preoccuperà di farci avere una fornitura costante di corrente. Le batterie ci sono ancora, cariche, ma le terremo in serbo per i casi di emergenza, che spero ardentemente non si verificheranno. Effettuerò un decollo verticale e usciremo dall’atmosfera. Voi, Nils, ci metterete, e ci manterrete, sulla rotta giusta. Io controllerò l’accelerazione. Se il computer dell’università collegato col radar funzionerà a dovere, dovrebbero saperci dire quando invertire la spinta. Se non ce lo diranno loro, dovremo servirci del cronometro e fare del nostro meglio da soli.

— Una cosa non capisco — disse Nils, spingendo indietro il berretto sulla nuca e indicando il periscopio. — Questo è un vecchio periscopio subacqueo, modificato in modo da farlo guardare in alto invece che di fronte. Dentro c’è un reticolo. Io dovrei tenere una stella al centro del reticolo; vorreste farmi credere che per navigare non è necessario altro? Non avremmo bisogno anche di un «navigatore»?

— Di un astronavigatore, per essere precisi.

— Va bene, un astronavigatore. Insomma qualcuno che possa calcolare la rotta.

— Qualcuno in cui possiate avere un po’ più di fiducia che nel periscopio, volete dire? — disse Ove, ridendo. E aprì la porta del compartimento macchine.

— Esattamente. Sto pensando a tutte le correzioni di rotta, a tutti i calcoli che americani e sovietici hanno dovuto fare per arrivare sulla Luna. Basterà davvero quell’aggeggio?

— Noi abbiamo alle spalle quei calcoli, rendetevene conto. Ma li applichiamo con semplicità assai maggiore, a causa della breve durata del nostro viaggio. A parte il tempo richiesto per attraversare l’atmosfera a una velocità iniziale più bassa, il nostro volo avrà la durata di quattro ore esatte. Tenendo presente questo, sono state scelte come punto di riferimento alcune stelle ben visibili ed eseguiti altri calcoli. Se partiremo al momento giusto, orientandoci sempre sulla stella-guida, ci dirigeremo verso il punto dell’orbita lunare che si troverà in quella data posizione al termine delle quattro ore. E giunti puntualmente all’appuntamento, potremo effettuare la discesa. Dopo aver individuato la capsula sovietica, naturalmente.

— E tutto si svolgerà con tanta facilità? — fece Nils, non troppo convinto.

— Perché no? — rispose Ove, cacciando fuori la testa dal compartimento macchine e ripulendosi le mani con uno straccio. — Il generatore è in funzione e l’energia erogata è del tutto soddisfacente. — Indicò la grande fotografia della Luna, incollata sulla paratia di fronte, e aggiunse: — Santo cielo! Tutti sappiamo com’è fatta la Luna, tutti l’abbiamo guardata attraverso un telescopio! E siamo in grado di localizzare il Mare della Tranquillità. Arriveremo là, nel posto esatto, e, se non avvisteremo subito i sovietici, ci serviremo del radiogoniometro per localizzarli.

— E in che punto del Mare della Tranquillità li cercheremo? Ci fidiamo di questa? — Nils indicò la foto confusa della Luna che era stata ritagliata dalla Pravda. C’era una stella rossa stampata a nord del «mare», dove erano scesi i cosmonauti. — La Pravda dice che sono lì. E noi ci orientiamo basandoci sulla foto di un giornale?

— Proprio così, a meno che abbiate voi da proporci qualcosa di meglio — rispose Arnie garbatamente. — E non dimenticate che il nostro radiogoniometro è un modello standard per piccole imbarcazioni, acquistato in un normale negozio di forniture nautiche. Vi preoccupa anche questo? Nils aggrottò la fronte, poi scoppiò a ridere. — È tutto così pazzesco, che per forza l’impresa deve riuscire! — Si abbottonò la giacca. — Blaeksprutten, al salvataggio! — gridò.

— È tutto assai più sicuro di quel che sembra — disse Ove. — In primo luogo, questo sottomarino è una nave spaziale a tenuta stagna, sperimentata, collaudata, autonoma; è stata costruita, sì, per un diverso tipo di spazio, ma lavora bene nel vuoto quanto nell’acqua. E poi la propulsione Daleth è degna di fiducia e ci porterà sulla Luna in poche ore. Inoltre il radar e il calcolatore, sulla Terra, calcoleranno per noi la rotta che dovremo seguire. Sono state prese tutte le precauzioni possibili perché il viaggio sia sicuro. In seguito si faranno altre spedizioni e gli strumenti verranno perfezionati, ma ora abbiamo tutto ciò che ci serve per andare e tornare con sicurezza. Dunque non preoccupatevi.

— E chi si preoccupa? — disse Nils. — Io sudo e impallidisco sempre, a quest’ora del giorno. Si parte?

— Ancora qualche minuto — disse Arnie, guardando il cronometro elettronico che gli stava davanti. — Ora decolleremo e prenderemo quota.

Le sue dita sfiorarono i comandi e i corpi cominciarono a premere sui sedili. Le onde si allontanarono. Sul ponte della Vitus Bering si vedevano minuscole figure salutare entusiasticamente con la mano. Poi le figure si rimpicciolirono sempre più e scomparvero alla vista, mentre il Blaeksprutten si levava sempre più veloce nel cielo.

La cosa più strana in quel viaggio, era la mancanza assoluta di imprevisti. Una volta usciti dall’atmosfera, accelerarono a un «G» costante. E un’accelerazione simile non dava sensazioni diverse da quelle date dalla gravità sulla superficie terrestre. Dietro a loro, come un giocattolo o un’immagine proiettata sopra un enorme schermo, la Terra si rimpiccioliva sempre più. E niente rumore assordante di razzi, rombo di motori, sballottamenti, vuoti d’aria… Poiché il sommergibile era a tenuta stagna perfetta, non si verificava neppure quel minimo abbassamento di pressione atmosferica che si produce sempre su un aereo di linea. Le attrezzature funzionavano alla perfezione e, una volta uscito dall’involucro atmosferico della Terra, il veicolo aumentò la velocità.

— Siamo in rotta… O almeno, stiamo puntando in direzione della stella-guida — disse Nils. — Ora potremmo metterci in collegamento con Copenaghen e vedere se ci seguono. Sarebbe simpatico sapere se proseguiamo nella direzione giusta. — Accese la ricetrasmittente sulla frequenza prestabilita e chiamò, usando il codice convenuto.

— Kylling chiama Halvabe. Mi sentite? Passo. — Girò l’interruttore. — Vorrei sapere chi è l’ubriaco che ha inventato questi nomi — borbottò tra sè. Il sottomarino era il pollo, e l’altra stazione il lemure, ma quei nomi, in gergo, significavano anche bottiglia da un quarto e bottiglia da mezzo litro di acquavite.

— Vi sentiamo forte e chiaramente, Kylling. Siete in rotta, anche se la vostra accelerazione supera leggermente l’optimum. Consigliamo una riduzione del cinque per cento.