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— Non capisco proprio che c’entrino gli Stati Uniti — replicò Martha. — Queste cose sono accadute qui, e non in America. Non c’è nessun nesso. — Afferrò la caffettiera per versarsi il caffè e il foglio cadde.

— Ti sarei grato se non mandassi a finire il giornale nella marmellata: è difficile leggerlo, poi. — Nils lo raccolse e ripulì col tovagliolo le macchie rosse e appiccicaticce. — Il nesso c’è, e tu lo sai bene. I giornali statunitensi sono sempre pieni di delitti, stupri e pestaggi, perché là accadono abitualmente cose di questo genere. Le cifre parlano chiaro: ci sono stati più delitti a Dallas in un anno, che in Inghilterra, Irlanda, Scozia e Galles messi insieme. E scommetto che potresti aggiungerci anche la Danimarca.

— Se detesti tanto gli americani, perché mi hai sposato? — domandò Martha, addentando il pane abbrustolito.

Nils aprì la bocca per rispondere, ma poi scoprì che non c’era assolutamente niente da ribattere a quella sottile esibizione di logica femminile, e si limitò a grugnire, cercando la pagina sportiva. Martha annuì, come se quella fosse proprio la risposta che si aspettava.

— Non è ora di andare? — chiese.

Nils lanciò un’occhiata all’orologio sulla porta della cucina.

— Ancora qualche minuto. Non dobbiamo arrivare là prima che si apra l’ufficio postale, alle nove. — Posò il giornale e allungò una mano per prendere la tazza del caffè. Indossava un vestito marrone scuro, invece dell’uniforme.

— Non volerai più? — chiese Martha.

— Non so. Mi piacerebbe, ma Skou continua a tirare in ballo la sicurezza. Forse sarebbe meglio che cominciassero a dare un po’ più retta a lui. Va’ a prendere il soprabito, ora. Ti aspetto in auto.

Attraverso una porta si poteva passare dal ripostiglio nella rimessa, e ciò gli rendeva più facile uscire inosservato. Anche Skou aveva riconosciuto che era molto improbabile che la casa di Nils fosse sorvegliata, ma non si poteva mai essere certi. Da come parlava Skou, sembrava che tutti gli aerei diretti in Danimarca portassero più spie che turisti. Ma forse in questo aveva ragione: non c’era un paese al mondo che non desiderasse la propulsione Daleth. Nils aprì la portiera posteriore della grossa Jaguar e salì. Si ritrovò con le ginocchia in bocca, e si accorse di non essere mai salito sul sedile posteriore prima di allora. In quel momento arrivò Martha, bella ed elegante nel cappotto svedese marrone, con una striscia di seta che le tratteneva i capelli. Dimostrava meno dei suoi ventisei anni. Nils abbassò il finestrino.

— Moglie-bambina! — gridò. — Non mi hai dato il bacio dell’addio.

— Ti impiastriccerei di rossetto. — Gli gettò un bacio sulla punta delle dita e soggiunse: — Ora chiudi il finestrino e accucciati giù sul fondo, che alzo la saracinesca della rimessa.

— Accucciati giù… — grugnì lui, cercando di sistemare la propria mole massiccia sul tappetino dell’auto. — Americana, sei… Impari nuovi vocaboli ogni giorno. Non sapevo che ci si potesse anche accucciare «su»!

— Sta’ buono — disse lei, salendo. — La strada sembra deserta.

Uscirono dal garage, e Nils riuscì a scorgere soltanto le cime degli alberi lungo Strandvejen mentre la moglie riabbassava la saracinesca. Quando partirono, vide soltanto il cielo e qualche rara nuvola.

— Che noia starsene qui…

— È questione di poco. Il treno è alle nove e dodici, no?

— Sì. Non arrivare troppo in anticipo, perché non me la sento di starmene a bighellonare sulla piattaforma.

— Rallenterò quando arriveremo al bosco. Tornerai per cena?

— Non so. Ti telefonerò appena riuscirò a saperlo.

— Non prima di mezzogiorno, però. Vado a fare qualche compera, mentre sono a Birkerød. C’è quella piccola boutique nuova, sai.

— Ci sono anche dei nuovi conticini da pagare… — Nils sospirò teatralmente e cercò di cambiare posizione senza riuscirci.

Erano le nove e nove minuti quando l’auto si fermò nell’area riservata al parcheggio, vicino alla stazione ferroviaria, proprio dirimpetto alla Posta.

— C’è qualcuno intorno? — domandò lui.

— Un tale che sta entrando nell’ufficio postale. E un uomo che sta mettendo il lucchetto alla sua bici. Ora entra nella stazione… Nessuno guarda da questa parte.

Nils spuntò dal fondo dell’auto e si abbandonò sul sedile, sollevato.

— Non ne potevo più.

— Andrà tutto bene, vero? — gli chiese Martha, voltandosi a guardarlo. Aveva sulla fronte, tra gli occhi, una piccola ruga; come quando, appena sposati, l’abitudine di saperlo in volo non aveva ancora cancellato, almeno esteriormente, una preoccupazione assillante.

— Ma certo — la rassicurò lui, allungando un braccio e spianando col dito la ruga.

Lei sorrise, senza molto successo. — Non avrei mai immaginato di desiderare che tu te ne andassi in giro per il mondo su quei grossi aerei. Eppure ora è così.

— Non prendertela. So badare a me stesso. E poi il cane da guardia Skou sarà con me.

Seguì con gli occhi la deliziosa figuretta della moglie che attraversava la strada, poi guardò l’orologio. Un altro minuto. La via era deserta, ora. Scese dall’auto e andò a comprare un biglietto. Uscì sulla piattaforma di legno proprio mentre il treno sbucava dalla curva alla periferia della città, fischiando vigorosamente. Altre tre o quattro persone aspettavano il treno di Copenaghen, ma nessuno si curò di lui, e quando il convoglio si fermò Nils salì sulla prima carrozza. Ove Rasmussen alzò gli occhi dal giornale e gli fece un cenno con la mano. Si salutarono, e il pilota gli si sedette accanto.

— Credevo che ci fosse Arnie, con voi — disse.

— Lui parte con Skou, con qualche altro sistema segreto e complicato.

— Ora non è più un gioco, vero?

— Avete ragione. Chissà se riusciremo a scovare quel delinquente!

— Skou dice che è altamente improbabile. È stato un lavoretto da professionisti: nessun indizio di alcun genere. Quei bastardi di assassini! E tutto per niente… Perché non c’era niente sulla propulsione Daleth nell’ufficio.

Dopo di che viaggiarono in silenzio fino a Hillerød, dove dovevano cambiare treno. Quello per Helsingør era pronto a partire: un solo binario con sole tre carrozze. Il convoglio si lanciò sferragliando attraverso le foreste di faggi e betulle e rasentò i giardinetti posteriori delle case bianche dal tetto rosso, dove la biancheria distesa si gonfiava al vento freddo che soffiava dal Sound. Poi i boschi cedettero il passo ai campi, e a Snekkersten si vide l’oceano per la prima volta: le acque plumbee dell’Øresund, con il verde della Svezia sull’altra sponda. Quella era l’ultima fermata prima di Helsingør, e quando i due viaggiatori scesero trovarono Skou ad attenderli. Nessun altro era sceso dal treno al piccolo villaggio di pescatori, ma Skou si allontanò senza una parola, e loro lo seguirono. Le case vecchie erano circondate da alte siepi e la strada era deserta. Oltre la prima svolta, aspettava un furgone con la scritta KOBENHAVNS ELEKTRISKE ARTIKLER dipinta sui fianchi, in una cornice di simboliche saette culminante in una lampadina dalla luce violenta. Skou aprì gli sportelli posteriori, e gli altri due salirono, cercando di accomodarsi il meglio possibile sui rotoli pesanti di fil di ferro; poi lui sedette al posto di guida, cambiò il proprio cappello a cencio con un berretto a visiera da operaio, e partì.

Entrarono a Helsingør, per strade secondarie, quindi costeggiarono il porto fino a Helsingør Skibsvaerft. La guardia che stava al cancello fece cenno di passare, e il furgone entrò nel cantiere. Lì c’erano gli scheletri di due navi in costruzione. Le macchine chiodatrici martellavano, e la luce attinica mordeva all’improvviso quando i saldatori entravano in azione. Il furgone si fermò davanti agli uffici posteriori, che restavano piuttosto nascosti.