Выбрать главу

— Cosa?

— Signorsì. Aiutai a saldare la prima unità sperimentale. Per poco non spezzò la schiena alla nave… Il capitano Hougaard sta ancora cercando qualcuno da denunciare.

— Lieto di avervi a bordo, Jens — disse Nils, provando un certo imbarazzo nell’usare termini nautici, anche se nessuno ci faceva caso.

Il lento viaggio continuava. Ci avrebbero messo di più a percorrere trenta chilometri via mare da Helsingør a Copenaghen, che non le migliaia di chilometri che li separavano dalla Luna. Ma non c’erano alternative. Fino a che la propulsione Daleth non fosse stata installata, la Galatea era soltanto una barcaccia elettrica che andava come una lumaca.

A oriente l’orizzonte mostrava già le strisce d’oro dell’aurora, quando arrivarono all’ingresso del porto franco di Copenaghen, dov’erano in attesa due rimorchiatori che agganciarono la nave, e tornarono indietro, trascinandola delicatamente dentro il Frihavn, verso lo scalo di attesa di Vestbassin.

— Puntualissimo — disse Nils, indicando il convoglio che si fermava in quel momento sulla banchina. — Devono averci seguito continuamente. Skou mi ha detto che c’era poco meno di una divisione di soldati, dislocata qui. Lungo la strada che porta all’Istituto non c’è un metro che non sia sorvegliato. Vorrei che fosse già tutto finito. — Stringeva i pugni, di quando in quando, e quello era l’unico segno esterno di tensione.

— Non può andar storto niente. Troppe precauzioni, comunque…

— Comunque tutte le nostre uova sono nello stesso paniere. Ecco la nostra propulsione! — Indicò la forma coperta di plastica che veniva scaricata da un autocarro aperto, presso una gru. — E certo i professori sono lì anche loro. Tutte in un solo cesto… Ma non preoccupatevi: sembra proprio che ci sia l’intero esercito danese. Solo una bomba atomica potrebbe aver ragione di un simile spiegamento di forze!

— E chi mi dice che non ricorrano a quella? — Henning era bianco come un panno lavato. — Ce ne sono molte nel mondo, no? Chi può impedire a un paese, che non riesce a mettere le mani sulla propulsione, di fare in modo che non se ne serva più nessuno? Equilibrio delle forze…

— Chiudete il becco! Avete troppa fantasia. — Involontariamente, la voce di Nils aveva preso un’asprezza inaspettata. Tutt’e due alzarono gli occhi e trasalirono leggermente quando una formazione di reattori, lucenti nel sole che si stava levando, passarono rombando sopra la loro testa.

— Nostri! — disse Nils, sorridendo.

— Vorrei che si sbrigassero — rispose Henning, per nulla rasserenato.

Era necessario un lavoro di precisione per issare la gigantesca attrezzatura della propulsione Daleth a bordo e montarla; così, nonostante tutti i preparativi precedenti, l’operazione procedeva con lentezza esasperante. Mentre Galatea veniva solidamente ormeggiata alla banchina e si trafficava per aprire il grande boccaporto sul ponte di poppa, l’immensa gru se ne stava china su di esso col lungo collo metallico, pronta a sollevare il portello al momento opportuno. Quel boccaporto sarebbe servito una sola volta, poi l’avrebbero sigillato con una saldatura. Finalmente la grande lastra d’acciaio fu sollevata in aria, girò lentamente e venne deposta a riva. Nell’attimo in cui l’apertura rimase libera, l’altra gru si protese stringendo l’oscillante forma tubolare dell’attrezzatura Daleth. Con movimenti precisi, questa scomparve subito dentro il boccaporto.

Squillò il telefono, e Nils staccò il ricevitore. Ascoltò, annuendo. — Va bene. Nella mia cabina, lo ricevo là. — Poi riappese, ignorando lo sguardo interrogativo di Henning. — Prendete voi il mio posto. Torno subito — disse.

Un ufficiale nell’uniforme della Guardia del Corpo Reale era là ad attenderlo. L’uomo salutò e gli porse una grossa busta color crema, sigillata con ceralacca rossa. Nils riconobbe lo stemma, impresso nella ceralacca.

— Devo attendere la risposta — disse l’ufficiale.

Nils annuì e aprì la busta. Lesse il breve messaggio, poi andò alla scrivania. In un cassetto c’era la carta da lettere intestata col nome della nave, messa lì da qualche solerte ufficiale e che fino a quel momento era passata inosservata. Ne prese un foglio, scrisse poche parole. Chiuse il tutto in una busta e la consegnò all’ufficiale.

— Suppongo che non sia necessario l’indirizzo, vero? — domandò.

— No, signore. — L’uomo sorrise. — Permettete che da parte mia, da parte di tutti, vi faccia i miei migliori auguri. Non avete idea di che cosa provi il Paese, oggi.

— Credo di cominciare a capirlo. — E si salutarono con una stretta di mano.

Di ritorno sul ponte, Nils pensò alla lettera che se ne stava al sicuro nella sua cassaforte.

— Naturalmente, non mi direte nulla, vero? — domandò Henning.

— E perché dovrei? — Ammiccò, poi chiamò a sé il radiotelegrafista, l’unica persona che stava sul ponte in quel momento. — Neergaard, prendetevi un po’ di riposo — disse. — Tornate fra quindici minuti.

Ci fu silenzio fino a che la porta non si fu richiusa.

— Veniva dal Re — disse allora Nils. — La cerimonia pubblica di questo pomeriggio non è che una commedia. Una finta. Stanno per annunciarla e diranno che noi attraccheremo presso il castello Amalienborg… ma non ci andremo affatto. Appena pronti, usciamo di qui e partiamo. Ci augura buona fortuna. Spiacente di non poter venire. Appena fuori del porto, la prima tappa sarà…

— La Luna! — disse Henning, guardando i saldatori intenti al lavoro in coperta.

16

Martha Hansen aveva dormito male. Non che le desse noia trovarsi sola nella casa vuota… Era sempre così quando Nils partiva. Ma forse da un po’ di tempo a quella parte si era abituata ad averlo con sé troppo spesso, e per questo il grande letto matrimoniale le sembrava deserto.

No, non si trattava neppure di questo. In realtà stava accadendo qualcosa di molto importante, forse di pericoloso, di cui Nils non le aveva potuto parlare. Ormai lo conosceva abbastanza bene da capire subito quando aveva un segreto. Dovrò rimanere fuori una notte, forse alcuni giorni, aveva detto. Poi si era voltato e aveva acceso il televisore. Si trattava di una cosa importante, ne era certa, e quel pensiero la teneva sveglia. Aveva sonnecchiato un po’, si era svegliata di soprassalto, e non era più riuscita a riaddormentarsi. Troppo stanca per leggere e troppo tesa per dormire, non aveva fatto che girare e rigirare il guanciale fino all’alba. Poi si era alzata, e dopo aver preparato la macchinetta per il caffè aveva fatto la doccia.

Mentre sorseggiava la bevanda bollente, aprì la radio per ascoltare le notizie, ma non c’era niente. Passò allora sulle onde corte e incappò in un incomprensibile discorso tenuto in una strana lingua gutturale; sorvolò sopra un programma arabo di musica leggera, e finalmente captò il giornale radio della trasmissione per stranieri mandato in onda dalla BBC. C era un servizio riguardante la stasi dei colloqui sul sud-est asiatico. Si versò altro caffè, ma per poco la tazzina non le sfuggì di mano quando sentì pronunciare la parola Copenaghen.

… rapporto incompleto, sebbene finora non sia stata fatta alcuna dichiarazione ufficiale. Tuttavia, testimoni oculari affermano che la città trabocca di soldati e che c’è molto movimento sulla banchina. Voci non ufficiali fanno il nome dell’Istituto Nils Bohr, e pare che siano in corso altri esperimenti sulla propulsione Daleth.

Martha alzò il volume al massimo per non perdere una parola mentre si vestiva. Che cosa stava accadendo? E soprattutto, c’era pericolo? Dal giorno in cui erano state uccise le spie e ferito Arnie, lei viveva nel terrore del peggio.