— Be’, staccatela! Siete qui per questo, perbacco! — Si allontanò in fretta e guardò nel mirino della telecamera.
Leif Holm entrò con passo pesante nella stanza; era grande e grosso con lo stesso vestito di taglio sorpassato che indossava nel suo ufficio di Helsingør.
— Ho fatto un bel volo, in quel piccolo Blaeksprutten! — disse, dando una vigorosa stretta di mano ai due fisici. — Se fossi cattolico, mi sarei segnato senza interruzione per tutto il viaggio. Non potevo neppure fumare. Nils aveva paura che intasassi l’impianto di condizionamento dell’aria o qualcosa del genere. — E in memoria della forzata astinenza, sfilò una grande scatola di sigari da una tasca interna.
— Nils è qui, adesso? — domandò Arnie.
— Appena decollato — disse Ove. — Usano la nave come «ponte» televisivo e deve restare sospesa sopra l’orizzonte.
— Sul «retro» della Luna, per essere precisi — spiegò Leif Holm, decapitando il suo sigaro con una piccola lama appesa alla catena dell’orologio. — Così non potranno guardarci con i loro enormi telescopi.
— Non ho avuto ancora occasione di congratularmi con voi — disse Ove.
— Molto gentile, da parte vostra! Ministro dello spazio! Suona davvero bene. E poi non devo preoccuparmi di quello che hanno fatto i miei predecessori, perché non ce ne sono stati.
— Se non vi spiace prendere i vostri posti, ora vi darò le istruzioni necessarie — interruppe il funzionario del ministero degli interni, entrando frettolosamente. Cominciava a sudare. Amie e Leif Holm sedettero al tavolo, e qualcuno si precipitò a cercare un portacenere. — Ecco qui i principali punti che dovranno essere toccati. — Il giovanotto posò i fogli preparati davanti a loro. — So che sapete già che cosa dire, ma questi vi saranno comunque d’aiuto. Ministro Holm, a voi l’introduzione. Poi i giornalisti, dalla Terra, faranno le domande. A quelle tecniche, risponderà il professor Klein.
— Chi sono i giornalisti? — domandò Arnie. — Di quali paesi?
— Gente importante. Un gruppo agguerrito. Sovietici e americani, naturalmente, e poi di tutti i principali paesi d’Europa. Le altre nazioni si sono unite e hanno eletto i propri rappresentanti. Sono venticinque in tutto.
— Israele?
— Ha insistito per avere un rappresentante particolare. Tutto considerato, abbiamo acconsentito.
— Il collegamento è aperto — gridò il regista. — State pronti. Tre minuti. Siamo collegati in Eurovisione, e, via satellite, con l’America e con l’Asia. Guardate il monitor e saprete quando sarà il momento.
Un apparecchio televisivo con un grande schermo era sistemato sotto la telecamera numero uno. Le immagini erano chiare e il pubblico appariva teso. L’annunciatore danese stava terminando la presentazione in inglese, la lingua che sarebbe stata usata in quella trasmissione.
— … da tutto il mondo, riuniti qui a Copenaghen, oggi, per parlare a loro, sulla Luna. Bisogna ricordare che le onde radio impiegano circa due secondi a raggiungere la Luna, e la stessa quantità di tempo per tornare indietro. Avremo quindi un intervallo di due secondi tra domanda e risposta nella seconda metà di questa conferenza stampa. Ora ci collegheremo con la stazione lunare danese, dove si trova il signor Leif Holm, ministro dello spazio.
La luce rossa si accese sulla telecamera numero due, e sullo schermo del monitor apparve la base lunare. Leif Holm fece cadere accuratamente la cenere nell’apposito piattino e aspirò dal sigaro, cosicché le sue prime parole furono accompagnate da una generosa nube di fumo.
— Parlo dalla Luna, dove la Danimarca ha stabilito una base per ricerche scientifiche e per lo sfruttamento commerciale della propulsione Daleth, che ha permesso questi voli. Il progetto è ancora agli inizi, e infatti potete vedere alle mie spalle, attraverso la finestra, i lavori in corso, e continuerà fino a che qui non sarà sorta una piccola città. Dapprima ci dedicheremo unicamente allo studio della propulsione Daleth e dei suoi sviluppi. In un certo senso, questa parte del progetto è già stata realizzata, perché tutto — si protese, fissando severamente la telecamera — proprio tutto quanto riguarda detta propulsione è ormai quassù. Il professor Klein, seduto alla mia destra, è qui per dirigere le ricerche. Ha portato con sé i suoi assistenti, le sue attrezzature, i suoi appunti, tutto quanto ha a che fare con i suoi studi, insomma. — Si appoggiò all’indietro e aspirò ancora dal suo sigaro prima di continuare.
— Perdonate se insisto su questo punto, ma voglio chiarirlo perfettamente. Negli scorsi mesi, la Danimarca ha subito molti atti di violenza contro le sue frontiere. Sono stati commessi delitti. Sono state uccise persone. Triste a dirsi, ma sulla Terra esistono potenze nazionali pronte a qualsiasi cosa pur di ottenere informazioni sulla propulsione Daleth. Mi rivolgo proprio a loro, in questo momento, scusandomi in anticipo con tutti i paesi del mondo che invece amano la pace, e che costituiscono la stragrande maggioranza. Basta con la prepotenza, ora: andatevene! Non c’è più niente da rubare. Noi danesi vogliamo approfondire la conoscenza dell’effetto Daleth per il bene dell’umanità, non per fomentare la violenza.
Si fermò, fissando con un’occhiata di fuoco la scena, poi si appoggiò allo schienale. Arnie guardava innanzi a sé, senza espressione, come aveva fatto durante l’intero discorso.
— E adesso, signori, risponderemo alle domande specifiche che vorrete farci.
La scena sul monitor cambiò. Ora si vedeva l’auditorio di Copenaghen dove aspettavano i rappresentanti della stampa. Sedevano sulle loro sedie, in file ordinate, in atteggiamento di attenzione silenziosa, e i secondi scorrevano lentamente. Davvero sconcertante constatare come le onde radio, pur viaggiando alla velocità della luce, impiegassero secondi misurabili a percorrere l’immensa distanza tra la Luna e la Terra… Poi, all’improvviso, la scena cambiò bruscamente e un certo numero di giornalisti balzò in piedi, gridando per attrarre l’attenzione. Le telecamere inquadrarono uno di essi, un uomo corpulento, con una gran massa di capelli. Sullo schermo, sotto di lui, apparve, in lettere bianche, la scritta: STATI UNITI D’AMERICA.
— Potete precisare chi sarebbe responsabile dei sunnominati «atti di violenza» in Danimarca? La definizione di «potenze nazionali», per usare le vostre stesse parole, potrebbe essere applicata a qualsiasi nazione. Perciò, implicitamente, tutte le nazioni si sentono condannate. E questo è estremamente spiacevole… — concluse, fissando ferocemente la telecamera.
— Dolente che la prendiate così — replicò Holm, con calma — ma questa è la verità. Sono state compiute aggressioni, sono morte diverse persone. Ritengo che sia inutile entrare in dettagli. La stampa mondiale avrà certo domande più importanti di questa da farmi.
Prima che il cronista furente potesse ribattere, fu inquadrato un altro tipo, il rappresentante dell’Unione Sovietica. Se era lui pure irritato, riuscì a nasconderlo bene.
— Naturalmente, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si schiera con le nazioni amanti della pace nel condannare le aggressioni verificatesi in Danimarca! — dichiarò, lanciando uno sguardo carico d’odio al cronista americano, che lo ricambiò. Poi continuò: — Ecco una domanda più importante: che cosa intende farne il vostro paese, della propulsione Daleth?
— Intendiamo sfruttarla commercialmente — rispose Holm, quando furono trascorsi i secondi necessari — seguendo l’esempio delle navi danesi che resero possibili gli scambi commerciali con l’Asia orientale durante il secolo scorso. È stata formata un’apposita società, la Det Forenede Rumskibsselskab, società delle navi spaziali unite, tra il governo e l’industria privata. Intendiamo aprire all’uomo la strada della Luna e di altri mondi. Per il momento, naturalmente, non ci sono ancora progetti specifici, ma siamo certi di avere davanti grandi possibilità. Materie prime, ricerche, turismo… chissà dove si finirà? In Danimarca tutti ne siamo entusiasti, perché ci sembra di poterne trarre vantaggi a non finire.