— No, non proprio. — Martha rise per mascherare la sua confusione. — Cioè sono sposata a un danese, ma sono ancora cittadina americana, con tanto di passaporto. — Perché gli aveva detto questo?
— Carte — disse lui, alzando la mano in un gesto di disprezzo — tutte cose senza senso. Noi siamo ciò che pensiamo di essere. Le nostre azioni riflettono la nostra moralità. Non mi esprimo bene, perché in filosofia non valgo niente… Io non sono mai riuscito in niente, tranne in fisica e in matematica. Una volta sono stato perfino bocciato in chimica: avevo dimenticato una storta sul. fornello, facendola così esplodere. E non mi sono mai preoccupato d’altro che del mio lavoro. E di Esther, naturalmente, dopo sposato. La gente mi definiva «orso» e aveva ragione. Non giocavo mai a carte, a cose del genere. Ma sapevo osservare e pensare. E vedevo i tentativi fatti per distruggere Israele. E quando l’idea della propulsione Daleth si fece sempre più prossima alla realizzazione, ho pensato con intensità sempre maggiore all’uso che dovevo farne. Ricordai Nobel e i suoi premi assegnati a individui dalla coscienza sporca. Ripensai agli scienziati atomici impazziti o che si erano suicidati. «Perché» mi ripetevo di continuo «perché non fare qualcosa prima di rivelare la scoperta? Non potrei destinarla al bene dell’umanità, invece che alla sua distruzione?» Quel pensiero mi perseguitava e non riuscivo a liberarmene. Infine dovetti decidermi ad agire di conseguenza. Sapevo che non sarebbe stato facile, ma non pensavo che fosse così arduo…
Arnie si interruppe e bevve qualche sorso. — Perdonatemi. Parlo troppo. È che sono stato molto tempo tra uomini. Basta una donna, un orecchio pietoso, e vedete che cosa succede?… Un bello scherzo. — E la sua faccia si contrasse in un sorriso doloroso.
— No! — Martha si protese d’impulso e gli afferrò una mano. — Una donna impazzirebbe se non potesse raccontare i suoi guai a nessuno. Credo che sia questo il guaio di voi uomini: vi tenete tutto dentro finché non esplodete e ammazzate qualcuno.
— Sì, certo. Grazie. Grazie infinite. — Le batté sulla mano, goffamente, poi si sdraiò, ad occhi chiusi. Un grosso calabrone ronzava affaccendato intorno all’altea rosata che si arrampicava sul muro della casa. Era l’unico rumore in quel pomeriggio tranquillo.
Nils cantarellava allegramente raschiando le bolle di vernice sul tetto dell’abitacolo. Il porto era deserto: in un pomeriggio di domenica come quello, tutte le barche erano fuori, sul Sound. Ci sarebbe andato anche lui, appena finito, ma non voleva vedere imperfezioni sulla sua Måge e così finì per passare quasi tutto il tempo a verniciare e lucidare, invece che a navigare. Be’, era divertente anche quello. Aveva buoni muscoli e gli piaceva usarli; anche se l’indomani sarebbero stati indolenziti, dopo tanti mesi di gravità lunare. Era lì a piedi nudi, in calzoncini da bagno, tutto sudato, e si divertiva straordinariamente. Cantava tanto forte che non udì neppure i passi sul ponte alle sue spalle.
— Accidenti, che baccano! — disse la voce.
— Inger! — Si sollevò a sedere e si asciugò le mani nello straccio. — Hai proprio preso l’abitudine di sorprendermi all’improvviso? E che diavolo fai qui?
— Un caso, se così si può dire. Sono qui con amici del Malmö Yacht Club, solo fino a stasera. — Indicò un grosso cruiser dall’altra parte del porto. — L’abbiamo ormeggiato là per pranzare e bere qualcosa, naturalmente. Lo sai che noi svedesi abbiamo sempre sete. Sono andati tutti nel kro. Devo raggiungerli.
— Non prima che t’abbia offerto qualcosa da bere! Ho qualche bottiglia di birra in un secchiello di ghiaccio. Santo cielo, come sei bella!
Era vero. Inger Ahlqvist: un metro e ottanta di bionda abbronzata, con un bikini così ridotto da vedersi appena.
— Non dovresti andartene intorno così — disse Nils, sentendosi contrarre involontariamente i muscoli. — Sei perfida a torturare un poveraccio che gioca all’Uomo sulla Luna da tanto tempo che si è dimenticato di com’è fatta una ragazza!
— Esattamente come me — replicò lei, ridendo. — Va bene, dammi quella birra, così poi me ne vado a mangiare. La vela mette appetito. Com’è la Luna?
— Indescrivibile. Ma ci andrai presto. La DFRS ha bisogno di hostess, e io ti strapperò alla SAS col miraggio di uno stipendio più alto. — Saltò dentro l’abitacolo, atterrando più pesantemente di quanto si aspettasse perché non si era ancora riabituato al cambiamento di gravità. E aprì la porta della cabina. — Ne prendo una anche per me. Che tempo splendido! Che cosa hai fatto, ultimamente?
Andò in fondo al locale, dove teneva le bottigliette verdi in un secchio d’acqua con pezzetti di ghiaccio. Lei lo seguì nell’abitacolo.
— La solita vita. Sempre divertente, ma non credere che non ti abbia invidiato per i viaggi sulla Luna e su Marte. Dicevi davvero, per la faccenda delle hostess?
— Certo. — Nils fece saltare i tappi con un aggeggio fissato alla parete. — Non posso ancora dirti i particolari, per via del segreto, eccetera, eccetera, ma esistono piani precisi per un servizio passeggeri, in futuro. Deve essere così. Ti rendi conto che possiamo raggiungere la base lunare impiegando meno tempo di quanto ci impiega un aereo di linea a volare da Kastrup a New York? Ecco qui.
Le allungò la bottiglia e lei fece un passo avanti per afferrarla.
— Skal.
La ragazza bevve avidamente, poi staccò la bottiglia dalle labbra umide, con un sorriso soddisfatto. Era a pochi centimetri da lui, ora.
Nils lasciò cadere la sua bottiglia, che rotolò sul ponte rovesciando un pallido ruscello di schiuma. Afferrò la ragazza alla vita e sentì sotto le mani il calore della pelle… Il corpo di Inger fu contro il suo.
Anche la bottiglia della ragazza cadde a terra e rotolò, fermandosi rumorosamente contro le altre.
Ma loro non se ne accorsero.
Arnie riposava con la bocca aperta e la testa ripiegata di lato; il respiro era profondo e regolare. Martha si alzò piano per non disturbarlo. Se fosse rimasta lì ancora, nel calore pesante del giardino, si sarebbe addormentata anche lei, e non voleva. Entrò in casa, si infilò una leggera giacca da spiaggia e bussò alla porta di Skou.
Lui venne ad aprire con un paio di auricolari in testa e le fece cenno di entrare. Aveva trasformato la camera da letto in un posto di comando, e c’era un tavolo pieno di dispositivi per comunicare con i suoi uomini. Impartì degli ordini, poi tolse il collegamento.
— Faccio una corsa fino al porto — disse Martha. — Il professor Klein dorme in giardino, dietro la casa, e non voglio disturbarlo.
— Ci pensiamo noi a sorvegliarlo. Gli dirò dove siete andata, se si sveglia.
Era una passeggiata di soli cinque minuti. Martha camminò lungo la spiaggia, tenendo in mano i sandali. La sabbia calda le accarezzava piacevolmente i piedi. Si tenne lontana dall’acqua che, lo sapeva, era sempre troppo fredda per poterci nuotare. L’aria era immobile, e non si udiva nulla tranne il pulsare di un elicottero, in alto. Probabilmente apparteneva al servizio di sorveglianza per Arnie. Nei dintorni erano parcheggiate parecchie auto e molti autocarri che venivano da fuori, e lei sapeva che alcuni vicini avevano ospiti inattesi. Quel povero ometto stanco veniva sorvegliato come un tesoro nazionale! Be’, probabilmente lo era. Salutò con la mano un gruppo di amici che pigliavano il sole sulla spiaggia, e salì i gradini di pietra fino sulla sommità dei frangiflutti. Nel porto c’erano pochissime imbarcazioni e scorse subito la Måge. Ma Nils non si vedeva.