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Era forse andato al kro, oltre la strada, a bere qualcosa? No, di solito si fermava durante l’andata per comprare la birra. Dove diavolo poteva essere finito? Sotto coperta, probabilmente.

Stava per chiamarlo, quando vide la bottiglietta sul pavimento dell’abitacolo. Poco distante, sulla soglia dell’uscio semiaperto, notò una striscia di stoffa azzurra: la parte superiore di un bikini.

Nel medesimo istante, con chiarezza agghiacciante, capì che cosa avrebbe visto nella cabina. Era come se avesse già vissuto quell’istante prima, chissà quando, e ne avesse poi sepolto il ricordo che ora riaffiorava. Con calma, pur essendo sconvolta, si avvicinò all’estremità del pontile e si sporse, tenendosi aggrappata al palo d’ormeggio. Attraverso l’uscio socchiuso vedeva ora la cuccetta di tribordo, l’ampio dorso di Nils, le due mani che accarezzavano quel dorso e le gambe abbronzate…

Si rizzò, soffocando un singhiozzo, mentre un’ondata d’ira la travolgeva. Lì, nella loro barca, dopo essere stato via tanto tempo, e non ancora definitivamente a casa!

Stava per balzare dentro l’imbarcazione, per ferire, mordere, lacerare… Non aveva nessuna intenzione di dominarsi. Ma in quel momento esplosero delle grida.

— La vela è bloccata! — urlò qualcuno, in danese, dal panfilo a un solo albero che puntava veloce verso il pontile, dove stava lei.

Intravide un uomo che lottava con il sartiame aggrovigliato, una donna che spingeva la barra del timone e gridava qualcosa al compagno, e dei bambini che cercavano di afferrarsi alle gomene e cadevano uno sopra l’altro. In un altro momento, sarebbe stata una scena buffa. Il panfilo avanzava, ancora troppo veloce, ma la donna riuscì a manovrare il timone.

Invece di finire contro il timone con la prua, l’imbarcazione virò, investendo di striscio i pali di sostegno e rimbalzando lontano. Uno dei bambini cadde dal tetto della cabina e finì sul ponte, strillando per lo spavento. La vela scese, tutta aggrovigliata, e l’uomo si diede da fare con quella.

Poi il panfilo perse velocità e finì per fermarsi. La tragedia era scongiurata. Qualcuno cominciò a ridere. Tutto era avvenuto in pochi secondi. Martha fece di nuovo un passo avanti… poi esitò. In quei brevi istanti tutto era cambiato. Quei due, certo, si erano messi a sedere e stavano vestendosi, ridendo magari. Si sentì imbarazzata a quel pensiero e indugiò. Era ancora furente, anche se l’ira era come soffocata ora, dentro di lei. Il piccolo panfilo si era ormeggiato qualche metro più in là. E lei poteva adesso, a mente fredda, entrare nella cabina della Måge e fare una scenata, mentre quella gente era lì a sentire? Un ragazzo le passò accanto urtandola e si scusò mentre assicurava una delle gomene.

Con un singulto carico di odio e di dolore, si voltò di scatto e scappò via, di corsa. La rabbia, una rabbia terribile la bruciava. Come aveva potuto Nils comportarsi così? Sospirò di nuovo.

Solo quando si ritrovò davanti all’ingresso principale della sua casa si accorse che aveva ancora i sandali in mano e che le piante dei piedi le dolevano per la corsa sul marciapiede di cemento. Se li infilò, tremante, e ricordò che non aveva la chiave. Allora alzò il pugno per bussare, ma Skou la precedette aprendole la porta.

— Vigilanza è la nostra parola d’ordine — disse, facendola entrare e richiudendo a chiave l’uscio dietro di lei.

Martha annuì e se ne andò, senza badare a nulla. Vigilanza!… Avrebbe dovuto essere anche la sua parola d’ordine. Non voleva parlargli, né vedere nessuno. Attraversò rapidamente la casa e si chiuse in bagno. L’ira la consumava, prendendola alla gola; la rabbia impotente di non poter far niente. Non avrebbe dovuto fuggire! Ma che altro avrebbe potuto fare? Con un singhiozzo, aprì il rubinetto dell’acqua fredda e tuffò le braccia nel getto, spruzzandosi la faccia che scottava. Non riusciva neppure a piangere, tanto la rabbia era terribile. Nils! Come aveva potuto!

Si passò le dita nei capelli, senza avere il coraggio di guardarsi allo specchio. Se lui non si vergognava, lei sì. Si spazzolò i capelli con violenza. Molti uomini sposati facevano cose del genere, in Danimarca. Ma Nils, no. E perché no? Adesso sapeva. L’aveva già fatto altre volte? Come doveva comportarsi, ora? Come poteva punirlo?

Le sembrò improvvisamente di vederlo tornare, lì, nella loro casa, e cercare di abbracciarla come se niente fosse accaduto. Già… ma come si sarebbe comportata lei? Poteva rinfacciargli le sue colpe? Ma sentiva poi il bisogno di lui? Sì. No! Voleva solo vendicarsi. Ciò che aveva fatto era imperdonabile.

Aveva un nodo alla gola, stava per scoppiare in lacrime. Ma no, non doveva! Perché piangere? C era di che infuriarsi, invece, questo sì.

Si rizzò di scatto, per non vedere più la propria immagine riflessa. Così facendo, notò un piccolo taccuino sopra il contenitore della biancheria sporca e lo raccolse perché quello non era il suo posto. Lo aprì distrattamente, domandandosi che cosa potesse farne, e vide che i fogli erano coperti da file di calcoli e da simboli strani piuttosto che da numeri. Allora lo chiuse di scatto, corse in camera sua e si appoggiò alla porta, tenendo il taccuino stretto al petto.

Se si può dire che a volte l’emozione si sostituisce ai processi logici del raziocinio, quella fu certo una di tali occasioni. Baxter l’aveva seccata raramente, negli ultimi tempi, ma lei non pensava affatto a lui. E neanche all’America o alla Danimarca, alla lealtà o al patriottismo… Pensava a Nils e a ciò che aveva visto sulla barca e, forse inconsciamente, decise di ferirlo come aveva fatto lui.

Fu estremamente facile. Chiusa a chiave la porta della camera, andò alla scrivania e prese la macchina fotografica dal cassetto. Ci aveva messo una pellicola il giorno avanti, in previsione del ritorno di Nils: una pellicola a colori per immortalare quella vacanza tanto attesa! Sul tappeto, accanto al letto, c’era una chiazza di sole che entrava dalla finestra aperta. Posò il taccuino proprio al centro e lo aprì alla prima pagina. Poi sedette sul bordo del letto e guardò nel mirino della macchina: giusto. Proprio un metro di distanza, la più breve da cui potesse fotografare senza che i contorni risultassero confusi. La scrittura risaltava chiaramente, e la macchina regolò automaticamente l’esposizione.

Clic.

Martha girò il rullino di uno scatto, si chinò a voltare la pagina, poi puntò di nuovo i gomiti sulle ginocchia.

Restavano ancora dieci scatti quando ebbe voltato l’ultimo foglio. Fotografò anche la copertina davanti e dietro, perché non voleva sprecare la pellicola. Ma, rendendosi conto che si stava comportando scioccamente, rimise la macchina nell’astuccio e la ripose nel cassetto. Poi prese il taccuino e uscì. Incontrò Arnie che saliva le scale.

— Martha — disse questi, aguzzando gli occhi nella penombra, abituato com’era alla luce di fuori. — Mi sono svegliato di soprassalto e mi sono accorto di avere lasciato il mio taccuino non so dove.

Lei trasalì leggermente, e la sua mano strinse più forte il blocchetto.

— Eccolo qui! — disse, porgendoglielo.

Lui sorrise. — Grazie!

— Stavo portandolo in camera vostra — disse lei con voce stranamente acuta. Ma Arnie non sembrò farci caso.

— Avete fatto bene a darmelo — continuò. — Se Skou l’avesse trovato in giro, probabilmente mi avrebbe rimandato subito sulla Luna. Grazie. Lo chiudo in valigia perché non càpiti più una cosa simile. Perdonate se mi sono addormentato così… Ma ora mi sento molto meglio. È stata una giornata meravigliosa.

Lei annuì, mentre lui entrava in camera sua.